
Mezzi di risoluzione delle controversie internazionali: cosa sono e quando si attivano
Il linguaggio tecnico-giuridico delle relazioni internazionali domina il dibattito pubblico, ma qual è il vero significato di termini come "controversia" e "negoziato"? Di fronte a una disputa, gli Stati hanno una vasta gamma di strumenti tra cui scegliere per risolverla in modo pacifico: quali sono le alternative? Ecco una panoramica
di Sara Dovier
In tempo di guerra il vocabolario cambia e circolano con più facilità espressioni derivate dal diritto internazionale. Le dispute, del resto, hanno caratterizzato il panorama internazionale sin dall’affermazione delle prime entità statali, tanto che per facilitare l’intesa pacifica e limitare il ricorso alla violenza è stata elaborata una complessa e rigorosa struttura giuridica.
Il diritto internazionale stabilisce che l’esistenza di una controversia è un presupposto fondamentale per attivare dei metodi di risoluzione. Come primo passo, bisogna quindi verificare volta per volta che la questione sia effettivamente classificabile come controversia secondo la definizione fornita dalla Corte permanente di giustizia internazionale agli albori del suo mandato, negli anni Venti.
Secondo la definizione, una controversia è un disaccordo su un punto di diritto o di fatto, un’opposizione di tesi giuridiche o interessi che riguardano un rapporto disciplinato dal diritto internazionale. Da qui emerge una distinzione essenziale: quella tra dispute giuridiche e politiche.
Mentre le prime riguardano l’interpretazione o l’applicazione delle norme, le seconde riguardano gli interessi politici degli Stati e l’aspetto fattuale delle relazioni internazionali. Nella realtà, il confine tra i due tipi di controversie è labile e spesso strumenti giuridici vengono invocati dagli Stati per affrontare questioni che hanno anche natura politica.
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Mezzi giurisdizionali di risoluzione delle controversie internazionali: mezzi diplomatici e arbitrali
Una volta accertata l’esistenza di una controversia, le possibilità per far fronte al problema sono molteplici e gli Stati hanno completa libertà di scegliere quale via percorrere.
Ci sono però due norme complementari tra loro a cui tutti sono soggetti: l’obbligo di risolvere le dispute attraverso mezzi pacifici e il divieto di uso della forza, entrambi codificati nella Carta delle Nazioni Unite del 1945.
Definita la cornice giuridica che inquadra i metodi di risoluzione delle controversie, è necessario operare una prima distinzione tra due grandi categorie: mezzi diplomatici e mezzi arbitrali. I mezzi diplomatici si pongono il mero obiettivo di facilitare l’accordo tra le parti, senza determinare ragioni o torti e sono caratterizzati da esito non vincolante.
Al contrario, l’obiettivo dei mezzi arbitrali è proprio entrare nelle questioni di merito della controversia, quindi stabilire quale Stato è nel giusto e quale no. Inoltre, i metodi arbitrali conducono a una decisione che gli Stati sono obbligati a rispettare. È prassi che gli Stati ricorrano prima ai mezzi diplomatici e poi – solo eventualmente – a quelli arbitrali.
La via diplomatica
Per quanto riguarda i mezzi diplomatici, la Carta delle Nazioni Unite è il documento di riferimento. L’articolo 33 del documento, infatti, ne fornisce una lista comprensiva.
Come prima opzione si trova il negoziato, che prevede colloqui diretti tra le parti. Questo è il mezzo di prima scelta degli Stati e, di conseguenza, anche quello più conosciuto a livello di sapere comune, ma è solo una delle opzioni.
La Carta prevede poi i buoni uffici, ovvero l’intervento di una parte terza che agisce con l’obiettivo di indurre gli Stati a intavolare un negoziato, o quantomeno di facilitare il dialogo. Questo mezzo è perlopiù usato nei casi in cui i rapporti diplomatici tra i contendenti siano stati interrotti, magari a causa della controversia stessa. L’attore che più frequentemente ha offerto il proprio servizio di buoni uffici è la Svizzera, che al momento ha sette diversi mandati.
Un altro metodo che fa affidamento sul ruolo delle terze parti è la mediazione. In questo caso, a differenza dei buoni uffici, il mediatore interviene in prima persona nel merito della controversia. Tuttavia, visto che si tratta sempre di un mezzo diplomatico, il suo compito non è decidere ragioni e torti del caso, bensì elaborare potenziali soluzioni da proporre alle parti.
Ci sono poi le commissioni d’inchiesta, che si occupano dell’accertamento dei fatti: lo scopo è fare luce sulla controversia senza occuparsi dei suoi aspetti sostanziali. Tra gli esempi più rilevanti figurano due commissioni Onu: quella sul Myanmar, che dal 2017 indaga sulla questione della minoranza Rohingya, e la neoistituita commissione sui crimini di guerra in Ucraina.
L’ultimo mezzo previsto dall’articolo 33 è la conciliazione. Anche in questo caso c’è l’intervento di un terzo, il quale innanzitutto favorisce il dialogo tra le parti, ma è anche competente nel proporre accordi e ricostruire i fatti: in certa misura, la conciliazione racchiude in sé le funzioni di tutti gli altri strumenti. Tuttavia, questo mezzo può essere usato solo quando esplicitamente previsto da un trattato, quindi di fatto viene implementato raramente.
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La soluzione arbitrale come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali
Anche i mezzi arbitrali sono svariati, ma tutte le modalità sono accomunate dalla stessa logica: gli Stati rimettono la controversia al giudizio di un organo imparziale, che può essere un tribunale preesistente o istituito ad hoc. A differenza dei mezzi diplomatici, quelli arbitrali producono esito vincolante, ma possono essere attivati solo se le parti hanno espresso il loro consenso.
Sono numerosi i tribunali permanenti a disposizione degli Stati, prima fra tutti la Corte internazionale di giustizia (Cig) delle Nazioni Unite. In alternativa, è possibile stipulare un compromesso arbitrale, ovvero un trattato che proponga una soluzione alla controversia.
Un’altra opzione è aderire alla clausola compromissoria, una singola disposizione di un trattato che lega i due Stati e che rimette in automatico eventuali controversie (relative solo a quel trattato) a un arbitro.
Infine, il trattato generale di arbitrato viene stipulato in assenza immediata di una disputa, con lo scopo di definire in anticipo come verranno risolte eventuali questioni future.
A fine marzo 2022, l’Ucraina si è avvalsa proprio di un mezzo arbitrale per adire la Cig contro la Russia, richiedendo di trattare una presunta violazione della Convenzione sul Genocidio (1948), di cui entrambi gli Stati sono parte.
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Negoziato prima di tutto
Il negoziato è non solo il metodo di risoluzione delle controversie più famoso, ma anche quello che effettivamente gli Stati impiegano maggiormente. Da un lato, questo mezzo è accattivante in quanto è l’unico che non richiede la partecipazione di parti terze alla disputa: gli Stati hanno la possibilità di interfacciarsi direttamente e avere pieno controllo del processo di risoluzione.
Dall’altro lato, però, il negoziato presenta anche degli svantaggi. In primo luogo, si tratta di uno strumento intrinsecamente politico, che per essere messo in moto richiede un riconoscimento reciproco tra le parti. Alla luce di ciò, è evidente la ragione per cui molti Stati si sono mostrati riluttanti nell’intraprendere negoziati con l’Afghanistan dopo la presa di potere dei talebani.
Riguardo alla delicata situazione tra Russia e Ucraina, i negoziati sono iniziati in Bielorussia e sono poi proseguiti in Turchia, Stato che aveva assunto il ruolo di mediatore. Se per ora l’esito delle trattative – al momento ferme – rimane imprevedibile, è da tenere in considerazione la possibilità di ricorrere a numerosi mezzi alternativi.