Bielorussia, nuova ondata di violenze: pena di morte contro gli attivisti
Un nuovo emendamento estende l'applicazione della pena capitale in Bielorussia. Un inasprimento che mette in pericolo anche gli attivisti che hanno causato ritardi nella consegna di materiale bellico ai militari russi impegnati in Ucraina, così come quelli già in prigione o perseguitati all’estero
L’assemblea nazionale della Bielorussia il 2 maggio ha inserito la pena di morte per chi ostacola con atti violenti le attività dello stato, attenta alla vita dei politici e del presidente. Una decisione politica presa per contrastare la nuova coraggiosa rivoluzione pacifica costruita dai bielorussi contro il regime di Alexander Lukashenko.
Il presidente aveva deciso a metà gennaio di accogliere i militari russi in vista dall’aggressione di fine febbraio all’Ucraina, senza però pensare ad una ribellione dei suoi tecnici. Dal 24 febbraio, primo giorno di guerra ufficiale, decine di centraline elettriche delle ferrovie sono state manomesse, ostacolando così l’approvvigionamento militare russo diretto a Kiev.
La reazione è arrivata prima contro i manifestanti pacifici fuori dalle stazioni, con decine di arresti e incarcerazioni preventive. Poi ha coinvolto la politica, che ha stabilito un’estensione della pena di morte per chi sabota beni statali e, più in generale, attraverso un nuovo emendamento all’articolo 59 del codice penale, a chi compie atti terroristici contro lo Stato. Per questo motivo, molti degli oltre 60 ferrovieri arrestati da fine febbraio, in particolare i tecnici elettronici, rischiano la vita.
«Sono i nostri nuovi partigiani, persone normali che non vogliono sottostare alla violenza contro i cugini ucraini», spiega a Osservatorio Diritti Ekaterina Ziuziuk, portavoce dell’associazione Supolka, bielorussi in Italia.
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Cosa sta succedendo in Bielorussia oggi ai giornalisti
L’associazione bielorussa dei giornalisti (Baj) a fine aprile ha ricevuto il Premio Unesco “Guillermo Cano” per la libertà di stampa 2022. Sciolta per decisione del ministero della Giustizia a metà 2021, l’associazione era nata nel 1995 per proteggere i giornalisti dalle aggressioni politiche iniziate con la prima elezione del 1994 e il primo mandato del presidente Alexandr Lukashenko. I media indipendenti sono stati fatti scomparire lentamente dopo aver raccontato le manifestazioni di agosto 2020 dopo le elezioni. Lo stesso presidente di Baj è fuggito illegalmente ed ora è nascosto in uno stato europeo.
Nei primi giorni di maggio la direttrice della testata indipendente Novy Chas, Aksana Kolb, è stata arrestata e ora si trova nel carcere della polizia segreta Kgb a Minsk. Per questa testata il giornalista Dzianis Ivashyn aveva pubblicato a marzo 2021 due puntate sulle forze speciali ucraine che avevano partecipato alla repressione di Maidan nel 2014.
Il giornalista aveva rintracciato i singoli poliziotti, migrati sotto la polizia bielorussa e attivi nella repressione durante le proteste delle false elezioni del 2020. «Ivashyn è stato arrestato subito dopo l’uscita dei pezzi, adesso rischia fino a 15 anni di reclusione», racconta Ziuziuk che per la giornata mondiale sulla libertà di stampa ha organizzato a Trento un sit in con le foto dei giornalisti arrestati.
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Bielorussia: storia di Yuliya, arrestata due volte e in cerca di protezione
«Ieri (mercoledì 4 maggio, ndr) mi è stato notificata una nuova causa criminale, dopo due arresti per la mia attività da attivista ancora mi cercano. Non ho neanche capito quale sia l’articolo penale che mi riguarda», dice sconfortata Yuliya Yukhno, di cui Osservatorio Diritti si era già occupato per il suo secondo arresto a luglio 2021 (leggi anche Bielorussia, la dittatura un anno dopo: il regime colpisce Olimpiadi e ong).
Yuliya attualmente vive in un paese europeo confinante con la sua patria, dove ha lasciato la famiglia. «Dopo il secondo arresto sono dovuta fuggire a piedi e in treno, senza pensare che sarei rimasta intrappolata nella burocrazia del primo paese che ti accoglie».
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Per il trattato di Dublino i migranti che entrano in Europa devono chiedere asilo nel paese dove arrivano. Malgrado la ragazza parli un ottimo italiano e abbia lavorato in Italia per alcuni anni, non ha molta fiducia di poter ottenere la protezione internazionale, uno strumento necessario per chi come lei ha bisogno di tutelarsi e tutelare i suoi cari.
«Il paese dove sono ora accoglie centinaia di rifugiati, sia bielorussi sia ucraini. Noi non siamo più ben visti a causa delle decisioni di Lukashenko di aiutare Putin nell’aggressione ucraina», spiega al telefono in italiano. Esiste infatti una discriminazione verso il popolo bielorusso all’estero, vista anche la poca informazione dei mezzi di comunicazione sulla realtà situazione interna al paese.
A causa della repressione del regime, sono oltre 2 milioni e mezzo i concittadini fuggiti negli ultimi anni dalla Bielorussia, su una popolazione di 9 milioni.