Diritto di guerra: cos’è e da dove viene

Non tutte le guerre sono legittime e durante un conflitto non si può fare tutto: ecco cosa prevedono il diritto umanitario internazionale, la teoria filosofica della guerra giusta e la regolamentazione giuridica affermatasi con la Carta delle Nazioni Unite e nelle Convenzioni di Ginevra

di Alice Di Santo

Non tutte le guerre sono legittime: l’Onu ha condannato l’occupazione dell’Ucraina come un illecito atto di aggressione da parte della Russia. In guerra, non tutto è concesso.

Gli stupri e le impiccagioni subiti dai civili ucraini da parte di militari russi, la distruzione dell’asilo a Kharkiv, il bombardamento dell’ospedale pediatrico e del teatro a Mariupol, i civili uccisi nei corridoi umanitari e la minaccia dell’utilizzo di armi chimiche nel conflitto sono esempi di violazioni delle norme del diritto umanitario internazionale che stanno avvenendo in Ucraina durante il conflitto.

Diritto di guerra: jus ad bellum e jus in bello

Se non tutte le guerre sono giustificate e se in guerra non tutti i comportamenti sono legali, quali sono le cause per cui, e i modi in cui, una guerra può essere combattuta in modo legittimo? Per capire, bisogna fare una distinzione fra gli strumenti giuridici che regolano l’uso della forza nell’arena internazionale.

Le leggi che regolano lo jus ad bellum, ovvero i motivi per cui uno stato può ricorrere in modo legittimo alla forza nei confronti di un altro stato, sono codificate nella Carta delle Nazioni Unite (1945).

Dall’altro lato, le leggi che regolano lo jus in bello, ovvero le regole di condotta che disciplinano i modi in cui una guerra può essere condotta in modo legale, costituiscono le norme del diritto internazionale umanitario, codificate nelle quattro Convenzioni di Ginevra (1949).

I principi che sottostanno alla formulazione di queste leggi, tuttavia, non sono stati concepiti dal nulla e per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale. Al contrario, si inseriscono in una tradizione molto radicata nella cultura occidentale: la teoria filosofica della guerra giusta.

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Contro il realismo politico: la teoria filosofica della guerra giusta

Il problema della giustificazione morale della guerra è stata al centro della riflessione filosofica di molti pensatori, dal I sec a.C. fino all’età contemporanea. La teoria della guerra giusta nasce come antagonista dell’altra grande tradizione filosofica sulla guerra, il “realismo politico”.

Lo slogan di questa corrente è la famosa massima inter arma silent leges, ovvero “durante la guerra, le leggi tacciono”: la guerra è concepita come lo strumento necessario nelle mani degli Stati per risolvere le proprie dispute. Gli Stati quindi devono essere liberi di ricorrervi quante volte vogliono, per i motivi che vogliono, nel modo in cui vogliono. Tutte le guerre sono legittime e durante il conflitto non ci sono regole: una posizione, questa, che è largamente sostenuta anche oggi.

La teoria della guerra giusta parte proprio dalla critica della concezione della guerra come mezzo necessario e giustificato per risolvere le dispute fra Stati. Con il fine ultimo di porre un limite all’uso della violenza, i teorici della guerra giusta puntano ad identificare dei principi morali che consentano di distinguere quando una guerra possa essere intrapresa per essere considerata legittima (i principi dello jus ad bellum) e come una guerra debba essere combattuta affinché venga considerata legale (i principi dello jus in bello).

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Basi del diritto umanitario di guerra: le cause per una “guerra giusta”

Sin dall’inizio della riflessione filosofica sulle cause per una guerra giusta, il principio di legittima difesa viene individuato come l’unico motivo valido per l’inizio di un conflitto armato. Tutti i filosofi che si inseriscono nella tradizione della guerra giusta, a partire da Cicerone (I secolo a.C.), per continuare con Agostino d’Ippona (I secolo d.C.) e Tommaso d’Aquino (1250 circa), sono d’accordo nell’affermare che la guerra deve essere la risposta ad una ingiuria subita precedentemente: se non c’è un’offesa pregressa, non c’è giustificazione per un attacco.

La guerra quindi può essere giustificata solo se si inserisce in un contesto di legittima difesa. E non solo: il ricorso al principio di legittima difesa deve essere fondato dalla “retta intenzione” di voler ripristinare la pace. Il principio di legittima difesa non deve essere usato, per esempio, come scusa per un’espansione territoriale, ma deve essere volto alla ricostruzione della pace internazionale.

Diritto internazionale bellico: i metodi di un combattimento legittimo

Il filosofo che primo fra tutti si è dedicato all’identificazione di criteri per un combattimento giusto è Francisco de Vitoria, un domenicano che a metà del 1500 era professore all’università di Salamanca. Nel suo trattato De Iure Belli, Vitoria pone come obiettivi ultimi della sua riflessione sulla guerra la riduzione delle vittime e la limitazione dei danni collaterali. Individua così due principi fondamentali a cui bisogna attenersi per combattere una guerra in modo moralmente giusto.

Il primo è il principio di distinzione: la guerra deve rimanere limitata ai belligeranti. Tutti coloro che non prendono attivamente parte ai combattimenti – ossia, tutti coloro che non sono soldati (donne, bambini, anziani, malati, feriti, civili) – non possono essere obiettivi di attacchi militari.

Il secondo è il principio di proporzionalità: gli attacchi devono essere proporzionati, per forza impiegata e danni causati, all’aggressione ricevuta (per spiegare meglio il concetto, Vitoria fa questo esempio: se i francesi si impossessassero di un singolo villaggio spagnolo, sarebbe illegittimo se gli spagnoli rispondessero occupando l’intera Francia, perché sarebbe una risposta non proporzionata rispetto all’offesa subita).

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Diritto di guerra: dalla morale alla codificazione giuridica

Le leggi che oggi regolamentano la guerra riprendono, almeno negli aspetti fondamentali, i principi elaborati dalla teoria filosofica della guerra giusta. L’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, quello che regolamenta l’uso della forza nelle relazioni internazionali, vincola gli Stati membri a «risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici» e ad «astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato».

L’unica eccezione al divieto di utilizzo della forza armata è proprio il diritto all’autodifesa (articolo 51): se uno Stato subisce un’aggressione da parte di un altro Stato, è legittimato a difendersi usando la forza.

Proprio come nelle teorie dei filosofi della guerra giusta, anche per le Nazioni Unite l’unica causa legittima che giustifichi l’entrata in guerra di uno Stato è l’aver precedentemente subito un attacco armato da un altro Stato, e il fine della riposta armata deve essere il ripristino della pace internazionale.

Dal canto loro, anche le quattro Convenzioni di Ginevra e i due Protocolli Aggiuntivi (i trattati che insieme costituiscono il cuore delle norme dello jus in bello, descrivendo come l’uso della forza debba essere gestito sul campo di battaglia) pongono come assunti fondamentali del diritto internazionale umanitario due categorie di principi già formulati dalla teoria della guerra giusta.

Il primo è  infatti il principio di distinzione fra combattenti e non combattenti: tutti coloro che non prendono attivamente parte alle ostilità (i civili), o non prendono più parte alle ostilità (i prigionieri di guerra), non possono essere degli obiettivi militari.

Il secondo principio è il principio di necessità e proporzionalità: gli armamenti e tecniche di combattimento devono essere regolamentati, così da limitare l’uso della violenza al minimo necessario per sconfiggere il nemico.

Strumenti giuridici e sintomi di “tradizioni morali”

Sia la Carta delle Nazioni Unite sia i trattati del diritto umanitario non sono quindi strumenti giuridici elaborati da un momento all’altro, con il semplice fine di limitare i danni della guerra. Al contrario, cristallizzano nel diritto riflessioni morali profonde e di matrice ben più antica, profondamente radicate nella cultura occidentale, che fin dai tempi della Roma repubblicana si interrogano sul significato della guerra, sulle sue cause, sui suoi mezzi e, soprattutto, sui possibili modi per arginarne la devastazione che ne deriva.

Ecco che quindi si spiega anche come mai capita che, leggendo le notizie sulle violazioni del diritto umanitario internazionale nei vari conflitti del mondo, proviamo un forte sentimento di sconcerto e avversione: spesso (e questo è il caso del diritto di guerra) prima delle codificazioni giuridiche, arriva il giudizio morale.

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