Difensori dei diritti umani: un mese di morte in America Latina
Amnesty International denuncia una situazione insostenibilie in l'America Latina: nel solo mese di gennaio quattro giornalisti e 20 difensori dei diritti umani sono stati uccisi nella regione. Ecco dove sono avvenuti gli omicidi e chi sono le vittime
«L’assassinio di 20 difensori dei diritti umani e di quattro giornalisti in un solo mese è allarmante e mostra uno scenario terrificante rispetto a ció che potrebbe diventare l’anno appena iniziato per coloro che alzeranno la voce in difesa dei diritti umani nelle Americhe, a meno che gli Stati non prendano provvedimenti urgenti per invertire questa tendenza».
A dirlo lo scorso febbraio era stata Erika Guevara Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty International, che aveva cercato di scuotere le coscienze denunciando quanto successo in America Latina nei primi 31 giorni del 2022.
Messico, il Paese più pericoloso per i giornalisti
Il 27 gennaio Osservatorio Diritti aveva denunciato quanto stava succedendo in Messico (leggi Giornalisti uccisi: Messico, già tre vittime dall’inizio dell’anno), dove in solo 3 settimane erano stati uccisi i giornalisti José Luis Gamboa Arenas (fondatore e direttore del sito di informazione Inforegio), pugnalato a Veracruz, il fotoreporter Alfonso Margarito Martínez Esquivel e la giornalista Lourdes Maldonado, entrambi uccisi a Tijuana. A questo terribile bilancio si è aggiunto l’omicidio, proprio il 31 gennaio a Zitácuaro (Michoacán), del giornalista Roberto Toledo, collaboratore del giornale Monitor Michoacán.
La situazione dei giornalisti in Messico è particolarmente grave e il Meccanismo di protezione per i giornalisti e difensori dei diritti umani, strumento governativo creato ad hoc, ha dimostrato di non funzionare o quantomeno di non essere sufficiente: basti considerare che Lourdes Maldonado era iscritta nel meccanismo da un anno.
Inoltre, elemento di non minore importanza, secondo quanto pubblicato dall’ong Reporters sans frontières ad aprile 2021, il Messico si trovava al posto numero 143 su 180 nel World Press Freedom Index 2021, classifica che valuta la libertà nel mondo. (l’Italia si trova al 41esimo posto).
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Difensori dei diritti umani in America Latina: gli omicidi
«Dobbiamo costruire un futuro in cui difendere i diritti umani in questo continente non significhi rischiare la vita. È imperativo che gli Stati adottino misure urgenti per garantire uno spazio sicuro e favorevole per la difesa dei diritti umani e del giornalismo indipendente nella regione e che queste cessino di essere attività letali», ha detto ancora Erika Guevara Rosas.
Degli omicidi dei difensori diritti umani avvenuti a gennaio, ben 13 sono avvenuti in Colombia, 3 in Brasile, 3 in Honduras e uno in Messico. Dei 20 difensori dei diritti umani assassinati, 18 avevano dedicato la loro vita e il loro impegno alla difesa dei diritti legati all’accesso alla terra e alla protezione dell’ambiente.
Elemento, quest’ultimo, che aggiunge ancora più rabbia e frustrazione considerando che proprio il 22 aprile 2021, Giornata internazionale della Terra, è entrato in vigore l’accordo di Escazú. Si tratta del primo trattato ambientale regionale dell’America Latina e dei Caraibi, che obbliga i 24 paesi firmatari a «prevenire, indagare e punire attacchi, minacce o intimidazioni» contro i difensori dell’ambiente.
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Difensori dei diritti umani: chi sono le vittime
In Honduras la scia di morte è inziata il 9 gennaio con l’omicidio del leader indigeno Pablo Isabel Hernández a San Marcos de Caiquín, Lempira. Il giorno successivo Thalía Rodriguez, attivista trans per i diritti umani del collettivo Lgbt con una lunga storia d’impegno e militanza è stata assassinata a Tegucigalpa. Infine il 22 gennaio, nel municipio Morazán (Yoro), è stata rinvenuto il corpo con ferite d’arma da fuoco del leader indigeno e difensore dell’ambiente Melvin Geovany Mejía.
Anche in Brasile il 9 gennaio è stato un giorno di lutto con il ritrovamento dei corpi di 3 persone, appartenenti alla stessa famiglia, che si dedicavano alla protezione dell’ambiente a San Francisco do Xingú (Pará) e, nello specifico, alla protezione della tartarughe.
In Messico, oltre a quanto già descritto rispetto alla situazione della stampa, il 27 di gennaio è stato riportato a Temixco (Morelos), l’omicidio di Ana Luisa Garduño. Un caso ancora più terribile se si pensa che Ana Luisa lottava da tempo per ottenere giustizia per il femminicidio della figlia Ana Karen uccisa nel 2012 dal suo ragazzo Eduardo “N”, ancora profugo dalla giustizia.
E poi c’è la Colombia, dove Indepaz (Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz) ha registrato l’omicidio di 13 difensori dei diritti umani nel mese di gennaio: tutte morti vincolate alla difesa del territorio e dell’ambiente. Oltre a questo, Indepaz ha documentato tredici massacri che hanno provocato la morte di 40 persone che vivono nelle zone rurali della Colombia.
Gli omicidi, iniziati il 10 di gennaio, sono stati consumati nei dipartimenti di Chocó, Cauca, Arauca, Casanare Antioquia, Putumayo e Nariño. Questi i nomi delle vittime: Nilson Antonio Velásquez Gil, Guillermo Chicana, Breiner David Cucuñame López, Miguel Carrillo, Luz Marina Arteaga Henao, Mario Jonathan Palomino Salcedo, Wilson Cortes Molano, José Avelino Pérez Orti, Libardo Castillo Ortiz, José Albeiro Camayo Güetio, Pedronel Sánchez Gallego, Álvaro Peña Barragán, Deisy Sotelo Anacona e José Euclides González Marín.
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Lotta all’impunità: la richiesta di Amnesty International
Uno dei punti sottolineati nel comunicato di denuncia di Amnesty International è l’impunità. Un fattore questo che favorisce la violenza contro chi si espone per la difesa dei diritti umani e che lotta attraverso la stampa per frenare e denunciare la corruzione.
L’impunità, insieme all’inefficacia dei meccanismi di protezione messi finora in atto dagli Stati della regione, e in alcuni casi la collusione delle forze dell’ordine con i gruppi criminali, creano una situazione di completa e disarmante vulnerabilità.
«Gli Stati hanno l’obbligo di indagare sugli omicidi in modo tempestivo, esauriente, indipendente e imparziale e con un filone principale di indagine che tenga conto dell’opera di difesa dei diritti umani o dell’attività giornalistica. Eliminare l’impunità in questi casi è fondamentale per ottenere un ambiente sicuro in cui difendere i diritti umani e inviare un chiaro messaggio che questi atti non sono tollerati», ha concluso Erika Guevara Rosas.