Guerra in Ucraina: quattro racconti dalla frontiera con la Romania

Dopo l'invasione della Russia, centinaia di migliaia di persone scappano dalla guerra in Ucraina dirigendosi verso la Romania. Ecco la storia di quattro di loro

ha collaborato Tatiana Khamliuk

Oltre 270.000 persone hanno lasciato l’Ucraina per la Romania dopo l’invasione russa del 24 febbraio. Secondo i dati dell’organizzazione umanitaria romena Fight for freedom, le persone entrano attraverso quattro posti di blocco al confine terrestre con l’Ucraina. E a queste persone va aggiunta una folla di 200.000 ucraini che hanno già lasciato la Romania per andare in altri paesi europei.

Molti rifugiati ucraini arrivano al posto di blocco di Siret, nella regione di Suceava, in Romania. La maggior parte ha passaporti ucraini, ma ci sono anche cittadini di Uzbekistan, Bielorussia, India, Nigeria, Algeria, Marocco, Afghanistan, Azerbaigian, Pakistan e Russia. Ogni ora più di 400 persone attraversano il confine, dopo almeno tre giorni di viaggio. Una volta entrati in Romania sono accolti da diverse organizzazioni umanitarie.

Ecco la storia di quattro di loro.

La guerra in Ucraina per Anastasia, traduttrice in attesa del marito militare

«Sento mio marito ogni giorno. Adesso lui è impegnato a combattere. Ci siamo messi d’accordo che quando avremo vinto ci incontreremo per festeggiare», racconta a Osservatorio Diritti Anastasia, una ragazza ucraina che nel 2014 aveva già lasciato la sua casa a Donesk per trasferirsi a Chernovcy, sul confine romeno. Quando è iniziata la guerra Anastasia e il marito si sono divisi, lei e la figlia in Romania e il marito attivo come militare per l’esercito ucraino.

«Siamo arrivate qui senza conoscere nessuno, senza una casa e con la paura di perdere tutto. Avevo deciso fin da subito di rimanere sul confine per essere pronta a tornare appena finita la guerra, perché so che durerà poco».

Lei e sua figlia sono state accolte da Pedro e la sua famiglia, moglie e sette figli. Pedro fa il volontario e le ha proposto di aiutare i nuovi arrivati per passare il tempo e perchè parla bene diverse lingue. «Sto qui per evitare che i profughi si perdano, non capiscano. Traduco tutto, parlo con tutti e spesso perdo il senso del tempo ma so di esser utile, questo è il mio modo di reagire». La figlia di Anastasia rimane a casa di Pedro a giocare, è felice e sta in una casa, lontana dalla guerra.

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Albergo Mandachi di Suceava (Romania), trasformato in centro per i profughi – Foto: © Tatiana Khamliuk

Ucraina-Romania: la rotta di Gheorghe, da pugile a camionista

Da Siret, prima città sul confine romeno, partono quasi quotidianamente camion carichi di beni di prima necessità, con destinazioni ucraine diverse. «In dieci giorni sono andato almeno cinque volte a Kiev e nella sua periferia a portare cibo e beni essenziali», racconta Gheorghe Ignat, conosciuto anche come “Orso dei Carpazi“. Campione internazionale di lotta greco romana, da alcuni anni aiuta ex detenuti a reinserirsi nella società come presidente dell’organizzazione cristiana Fight for Freedom.

Con lo scoppio della guerra ha chiamato a raccolta amici e compagni di sport per gestire un gruppo di camion utili a fare il collegamento tra i beni regalati dai romeni e le basi rifugio ucraine. Con un gruppo di oltre 100 volontari ha creato una piattaforma online dove convogliare aiuti economici da tutto il mondo

L’ultima missione è stata la consegna di acqua e cibo a famiglie bloccate nei sotterranei di una chiesa a Kiev. «Vediamo le persone impaurite, molto deboli ed il traffico è in continuo aumento», racconta Gheorghe. I volontari dell’organizzazione hanno allestito le tende lungo il percorso doganale dove i profughi ricevono i primi aiuti. L‘associazione ha in dotazione due campi d’accoglienza che ha già messo a disposizione per ospitare centinaia di donne e bambini ucraini.

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Ospiti dell’albergo Mandachi di Suceava (Romania), trasformato in centro per i profughi – Foto: © Tatiana Khamliuk

Una storia di guerra: Shurena, profuga dal 1993 e oggi in attesa di poter incontrare di nuovo le figlie

«Sono diventata profuga per la seconda volta e ho 60 anni. Una persona sola ci ha rovinati tutti, chi voleva la guerra? Quanti ragazzi sono morti?».

Shurena è arrivata in questi giorni da Kharkiv, dopo l’inizio dei bombardamenti che stanno distruggendo tutta la città. Ha superato il confine con due nipoti di 10 e 13 anni, figlie di sua figlia. A Kharkiv si sono divisi, la figlia ha deciso di rimanere ma Shurena ha deciso di portare lontano dai bombardamenti le due ragazzine. «Ho fatto scappare dalla guerra in Abkhazia nel 1993 le mie tre figlie, ora ho portato via le mie nipotine perchè non posso vivere senza di loro».

Dalla guerra contro la Georgia, che ha reso l’Abkhazia indipendente, era fuggita con la paura addosso, ora non ne ha più. «La storia si ripete sempre uguale, 30 anni fa ci minacciavano con i mitra, ora ci bombardano. Ma io non ho più la paura che mi spaccava il cuore quando era più giovane».

Shurena aspetta una chiamata dalle figlie, riparate nei rifugi sotterranei di Kharkiv, assediata dal 10 marzo. Non ci sono collegamenti telefonici, mancano acqua e luce ma Shurena attende, dopo 30 anni ha smesso di pensare a sé.

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Foto: © Tatiana Khamliuk

Julia, in fuga a piedi dalla guerra in Ucraina per tenere al caldo il figlio

Alessia, una diciottenne rumena volontaria dall’inizio della guerra, si occupa di assistere le donne con figli nella hall dell’albergo Mandachi di Suceava, in Romania, che il proprietario Stefano Mandachi ha trasformato nel centro d’assistenza per i profughi. All’interno dell’albergo si impegnano decine di volontari che distribuiscono pasti caldi e danno riparo a circa 150 persone in arrivo ogni giorno.

Una di queste è Julia, giovane madre con un figlio piccolo. «All’inizio sono scappata a Bashtanka da mia madre, è una piccola città e non c’erano punti sensibili che potessero interessare i militari. Poi però ci siamo spostati verso la frontiera a Ovest, a Kherson, e sono arrivati gli aerei russi a bombardare».

Julia con suo figlio scende nel bunker costantemente, senza potersi coprire per la paura di perdere tempo e morire sotto le bombe. «Corri via senza vestirti, in pigiama, prendi solo quello che serve per coprire tuo figlio perchè fa freddo e sai che dovrai stare sottoterra per ore al gelo», racconta. Julia ha deciso di oltrepassare la frontiera quando suo figlio denunciava i primi segni di terrore per gli allarmi antiaereo.

«Passava il tempo a piangere, inconsolabile. Ho deciso di raccogliere i suoi pochi vestiti e superare la frontiera perchè non riuscivo più a sentirlo piangere».

Julia ha lasciato la madre, che non sente quasi mai, e tutte le sue cose in Ucraina. «Mio figlio mi chiede quando torneremo a casa, non so cosa dirgli. Non abbiamo più nulla, ma basta almeno che non senta più freddo e non pianga».

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