Giordania, il riconoscimento dei diritti delle donne avanza a piccoli passi

Un emendamento costituzionale riaccende il dibattito sui diritti delle donne in Giordania. Politici e società civile si dividono tra chi difende la nuova iniziativa parlamentare, chi la considera insufficiente, chi la contesta. Intanto la discriminazione prosegue spesso indisturbata a ogni livello

Il cammino per una maggiore riconoscibilità e inclusione delle donne in Giordania continua a incontrare molti ostacoli. Nel Paese mediorientale, dove il 52% della popolazione ha meno di 24 anni, il desiderio di diventare una società sempre più inclusiva e pluralista è forte, come sono forti le diverse forme di ostilità e resistenza.

Lo dimostra la recente lotta innescata da una modifica alla Costituzione proprio su queste tematiche, oltre che dal moltiplicarsi di associazioni femminili che conducono lotte per emanciparsi da una cultura che è ancora radicata, soprattutto nelle aree rurali, a logiche tribali e patriarcali.

Giordania: i diritti delle donne entrano nella Costituzione

A gennaio 2022, con 94 voti favorevoli su 120, il parlamento di Amman ha approvato un emendamento che ha cambiato il titolo del secondo capitolo della Costituzione in “Diritti e doveri degli uomini giordani e delle donne giordane”, aggiungendo il pronome femminile, “al-urduniat”.

L’inserimento esplicito delle parole “donne giordane” nella Costituzione del Regno hashemita ha provocato una reazione violenta all’interno nella stessa aula parlamentare, dove si è accesa una rissa, a cui sono seguiti accesi dibattiti sullo status delle donne ai sensi della legge. Le posizioni che si sono delineate sono sostanzialmente tre: chi difende l’iniziativa parlamentare, chi la considera insufficiente, chi la contesta.

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Giordania – Foto: © Asmae Dachan

Diritti delle donne in Giordania: cosa ne pensano i politici…

Il ministro della Politica e degli Affari parlamentari Musa Maaytah considera l’iniziativa «un modo di onorare e rispettare le donne».

Hayat al-Musami, ex deputato e membro del Fronte di azione islamica (Iaf), ha affermato invece che «l’aggiunta di “donne giordane” è un pericolo a lungo termine per la società e per la famiglia». La posizione dei più conservatori, infatti, considera una minaccia ogni cambiamento in materia giuridica che tocchi, in particolare, i diritti dei singoli e il diritto di famiglia.

… e qual è la posizione delle associazioni femministe

Di parere opposto sono le associazioni femministe, secondo le quali limitarsi a inserire un cambiamento costituzionale solo a livello linguistico rappresenterebbe solo fumo negli occhi se non verranno ascoltate le loro istanze. «Il titolo di un capitolo costituzionale non ha effetto legale», ha denunciato Salmah Nims, segretario generale della Commissione nazionale giordana per le donne (Jncw). «Si continuano a trascurare le nostre richieste, come l’aggiunta della parola sesso all’articolo 6 della Costituzione che a oggi vieta solo le discriminazioni basate su razza, lingua e religione».

Altri temono che l’emendamento avrà ripercussioni legali a lungo termine, con un impatto specifico sulle leggi giordane che regolamentano gli affari di famiglia e la legge sulla cittadinanza. L’articolo 9 dell’attuale legge sulla cittadinanza, che ha visto nel 2014 l’avvio di una cabina di regia – ancora paralizzata – per promuoverne la riforma, non concede alle madri giordane di trasmettere la propria cittadinanza ai figli se questi non hanno anche il papà giordano. Questo è uno dei tanti limiti e delle tante discriminazioni contro le quali lottano le associazioni femminili di ispirazione più laica e modernista, come documentato da Human Rights Watch.

Tra le attiviste le posizioni sono eterogenee: c’è chi chiede maggiore equità, ritenendo valide la maggior parte delle leggi in vigore, e chi, invece, combatte per una vera uguaglianza nei diritti e nei doveri tra cittadini e cittadine giordane.

Equità ed uguaglianza non sono sinonimi: ad oggi la Costituzione della Giordania prevede che i cittadini delle diverse confessioni religiose compaiano di fronte a specifici tribunali di riferimento (cristiani per i cristiani, islamici per i musulmani, ecc.) per tutte le questioni legate allo status personale e allo stato di famiglia.

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Giordania – Foto: © Asmae Dachan

Situazione delle donne in Giordania: discriminazione nella legge islamica

L’interpretazione della legge islamica attuata in Giordania non riconosce agli uomini e alle donne gli stessi diritti. «Il codice dello stato personale della Giordania rimane discriminatorio, nonostante un emendamento del 2010 che ha ampliato l’accesso delle donne al divorzio e alla custodia dei figli», si legge nell’ultimo rapporto di Human Rights Watch.

Ancora oggi le donne hanno bisogno del permesso di un tutore maschio per sposarsi e i matrimoni tra donne musulmane e uomini non musulmani non vengono riconosciuti. Gli uomini possono viaggiare portando all’estero i figli pur senza l’assenso delle madri, le donne senza il permesso del padre del figlio o del tutore maschio o di un giudice, non possono farlo.

Sebbene le donne possano viaggiare fuori dal paese senza bisogno di autorizzazione, le autorità a volte soddisfano le richieste dei tutori maschi di impedire alle loro figlie, mogli e anche ai figli adulti non sposati di lasciare il Paese. «Le autorità arrestano anche le donne segnalate come “assenti” per essere fuggite dalla loro casa dai loro tutori maschi ai sensi della legge sulla prevenzione della criminalità», denuncia il report.

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Giordania – Foto: © Asmae Dachan

Convenzione contro la discriminazione delle donne: ratificata ma non applicata

Il regno hashemita ha ratificato già nel 1992 la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, ma la forte influenza dei partiti conservatori di fatto ne limita l’applicazione. L’articolo 98 del Codice penale giordano, emendato nel 2017, non consente condanne mitigate per autori di crimini “contro le donne”, ma i giudici continuano a imporre pene minori ai sensi dell’articolo 99 se i familiari delle vittime non chiedono procedimenti giudiziari nei confronti dei propri familiari maschi.

Alla luce del report della ong che lotta in difesa dei diritti umani, e dell’aumento delle denunce di violenza domestica registrato durante il periodo pandemico, è comprensibile lo scetticismo delle associazioni femminili che ritengono insufficienti o puramente formali le iniziative dal Parlamento in materia di promozione dei diritti delle donne.

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