Brasile, Amazzonia a rischio: Bolsonaro “sfrutta” guerra Ucraina per deforestazione
Il presidente brasiliano, Jair Messias Bolsonaro, gioca la carta della "sicurezza alimentare" a rischio per la riduzione dell’import di fertilizzati da Mosca e giustificare l’approvazione di leggi che promuovono lo sfruttamento di minerali nelle riserve indigene in Amazzonia
Il rischio che gli effetti del conflitto tra Russia e Ucraina causino una sensibile riduzione dell’export di fertilizzati da Mosca verso Brasilia ha spinto il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, a giocare la carta della “sicurezza alimentare” nel sollecitare l’approvazione di leggi che permettono di estrarre minerali nelle aree amazzoniche protette.
L’azione è giudicata necessaria per rendere il paese indipendente dalle forniture russe di potassio, risorsa strategica per il settore agroalimentare, il motore dell’economia brasiliana. Con una sola mossa il presidente approfitterebbe sia per dare una risposta al mondo dell’agribusiness, sua solida base elettorale, sia per trovare l’apertura necessaria per superare le resistenze rispetto allo sfruttamento delle riserve indigene amazzoniche, suo antico cavallo di battaglia.
Brasile, la dipendenza dell’agricoltura dai fertilizzanti russi
Il Brasile importa circa l’85% dei fertilizzanti che consuma appartenenti al cosiddetto gruppo “Npk” (azoto, fosforo e potassio). Nel caso di potassio e azoto, la dipendenza dall’estero raggiunge il 95 per cento. La Russia fornisce tutti e tre i prodotti al Brasile e ad altri paesi.
Nel 2021 circa il 60% del flusso commerciale, 3,5 miliardi di dollari dei 5,6 miliardi che il Brasile ha importato dai russi, ha riguardato questa voce. Nel 2021 gli acquisti sono aumentati del 107,4 per cento rispetto al 2020. Le sanzioni finanziarie applicate contro Mosca a seguito dell’invasione dell’Ucraina dovrebbero incidere sulle esportazioni di fertilizzanti.
L’Associazione nazionale per la diffusione dei fertilizzanti del Brasile (Anda) riferisce che il paese ha scorte di fertilizzanti sufficienti per soddisfare le necessità del settore agro alimentare per i prossimi tre mesi. L’Anda mostra preoccupazione soprattutto per l’approvvigionamento di cloruro di potassio, dal momento che anche le esportazioni dalla Bielorussia, uno dei principali fornitori, sono state sospese a dicembre 2021 per effetto delle sanzioni dell’Unione europea in rappresaglia contro pratiche antidemocratiche del presidente Alexander Lukashenko. Il blocco dei porti della Lituania alle merci bielorusse ha interrotto l’export verso il Brasile, pari a circa due milioni di tonnellate.
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La “soluzione” che viene dall’Amazzonia
«Con la guerra tra Russia e Ucraina, oggi corriamo il rischio di una mancanza di potassio o un aumento del suo prezzo», ha scritto Bolsonaro su Twitter, ricordando l’importanza di questo minerale per i fertilizzanti. «La nostra sicurezza alimentare e il comparto agroalimentare esigono dall’esecutivo e dal parlamento misure che ci permettano di non dipendere da una risorsa di cui disponiamo in abbondanza», ha affermato. Le maggiori riserve di potassio nel paese si trovano principalmente alla foce del Rio Madeira, che scorre al confine tra gli stati di Rondonia e Amazzonia. Numerose sono le richieste di autorizzazione già presentate alle autorità da aziende brasiliane e straniere per poter estrarre il minerale.
Per fornire coerenza “storica” alla sua tesi della sicurezza alimentare, Bolsonaro ha pubblicato un video del 2016 in cui, nel corso di un dibattito parlamentare, denunciava la «dipendenza dalla Russia» e accusava il governo di impedire lo sfruttamento delle ingenti risorse del minerale sul proprio suolo per via dei vincoli ambientali e, soprattutto, per le tutele concesse alle riserve indigene.
Nel video, l’allora deputato Bolsonaro identificava infatti nella necessità di interloquire con le comunità di popoli indigeni e il diritto di veto loro concesso come uno dei principali freni allo sfruttamento delle risorse. Ora che al governo c’è lui, è il parlamento ad avere la responsabilità di ostacolare lo «sviluppo e la sicurezza» non approvando le leggi preparate dall’esecutivo.
«Il nostro progetto di legge 191 del 2020 permette lo sfruttamento di risorse minerali, idriche e organiche in terre indigene. Una volta approvato si risolve uno di questi problemi», ha scritto Bolsonaro.
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La proposta di legge del presidente Bolsonaro per cancellare la tutela del territorio indio
La riforma cui ha fatto riferimento Bolsonaro è la PL191, legge redatta dai ministeri delle Miniere e dell’Energia e della Giustizia. Ritenuta incostituzionale dalla magistratura, la norma propone la cancellazione delle politiche di tutela del territorio: sblocca l’attività mineraria in riserve indigene e rimuove il potere di veto delle comunità indigene su tali attività (previsto dalla Costituzione).
Inoltre autorizza piantagioni di colture transgeniche, la costruzione di centrali idroelettriche e rimuove le barriere alle attività zootecniche e allo sfruttamento di petrolio, gas e turismo nelle terre indigene protette.
Se approvata, un’area delle dimensioni del Venezuela sarà aggredita dalla speculazione. La legge è stata giudicata dalla procura federale (Mpf) come incostituzionale a causa di «vizi insanabili» di natura sostanziale, oltre al fatto di essere stata elaborato senza aver consultato le comunità indigene.
Inoltre, secondo la magistratura, «la presentazione del Pl 191/2020 e le manifestazioni a sostegno all’attività mineraria da parte di alcune autorità spiegano la crescita di questa attività illegale sulle terre indigene, che minaccia le comunità vicine alle aree minerarie».
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Marco temporal: attacco frontale ai territori indigeni dell’Amazzonia brasiliana
La seconda legge in discussione è la 490/2007, conosciuta come legge del limite temporale (marco temporal). In base alla proposta, promossa dal settore dell’agrobusiness, i popoli indigeni che non possono provare che alla data del 5 ottobre 1988 (giorno in cui fu promulgata la Costituzione brasiliana) abitavano fisicamente sulle loro terre, non potranno vantare più alcun diritto su di esse.
In questo caso, anche le tutele riservate ai territori e alle comunità indigeni si ridurrebbero, aprendo spiragli in favore dello sfruttamento delle aree. Secondo l’ufficio regionale per il Sud America dell’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani (Ohchr), «la legge contrasta con quanto stabilito nella Costituzione brasiliana e vìola gli obblighi internazionali assunti dal Brasile».
Per l’Onu, inoltre, il disegno di legge «si colloca nel contesto di un’agenda parlamentare anti-indigena» e insiste «sulla forma più coloniale di sfruttamento, essendo un evidente tentativo di neutralizzare l’articolo 231 della Costituzione, sui diritti dei popoli indigeni».
«Il processo di revisione delle politiche indigene del Paese ha già favorito l’occupazione illegale delle terre ancestrali, incoraggiato atti di violenza contro i loro leader e le comunità indigene e autorizzato la distruzione ambientale dei loro territori», afferma il documento.
Secondo Human Rights Watch, l’approvazione di questo disegno di legge sarebbe «una delle battute d’arresto più significative nel riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni sulle loro terre e risorse tradizionali dal ritorno alla democrazia in Brasile quasi tre decenni fa. Se approvato, il disegno di legge renderebbe impossibile ai popoli indigeni di vedere riconosciuti i propri diritti sulla terra nel caso siano stati espulsi dai loro territori tradizionali prima della data limite». Così, inoltre «grandi proprietari terrieri potrebbero utilizzare la data limite per presentare una petizione per ottenere ordini giudiziari per espellere le comunità dalle terre, sostenendo che non hanno dimostrato di essere lì nel 1988. Tali petizioni potrebbero interessare le terre nel processo di demarcazione o di terre già delimitate».
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Brasile, l’attacco del governo Bolsonaro all’Amazzonia con decreti e licenze speciali
Nonostante le principali leggi siano in discussione, sono numerosi gli interventi legislativi minori che puntano, in qualche misura a favorire lo sfruttamento ambientale. Giusto lo scorso 15 febbraio, il presidente Bolsonaro ha firmato un decreto esecutivo (medida provisoria) che crea un programma di sostegno allo sviluppo dell’industria mineraria artigianale e su piccola scala in Amazzonia (Pró-Mapa). L’obiettivo principale, afferma il governo in una nota, è «stimolare lo sviluppo dell’attività mineraria artigianale e su piccola scala attraverso politiche pubbliche settoriali». L’attività sarà disciplinata dalla legge 7.805 del 1989, norma che ha regolato il regime di concessione mineraria e che non menzionava in origine l’attività estrattiva artigianale.
Per il governo il programma inaugura una «nuova prospettiva delle politiche pubbliche sull’attività mineraria in Brasile», aggiungendo che l’attività estrattiva artigianale e su piccola scala è fonte di ricchezza e di reddito per una popolazione di centinaia di migliaia di persone, quindi «è essenziale che le azioni del governo riconoscano le condizioni in cui vive il piccolo minatore, l’ambito della sua attività e i bisogni primari della società circostante», conclude la nota. Di fatto, la legge autorizza l’esplorazione in aree dove di fatto non sarebbe permesso, purché effettuata su scala non industriale. La misura favorisce soprattutto l’estrazione di oro.
Nel corso degli anni, il governo Bolsonaro è riuscito ad approvare numerosi progetti di estrazione mineraria singoli e su piccola scala nelle regioni amazzoniche al confine con altri paesi. Anche in questo caso, soprattutto oro. Il ministro della Sicurezza istituzionale, Augusto Heleno, ha concesso, dal 2019, 81 autorizzazioni in Amazzonia, tra licenze per la ricerca e licenze per l’estrazione di minerali.
Heleno, in qualità di segretario esecutivo del Consiglio di difesa, oltre a essere uno dei principali consiglieri del governo di Jair Bolsonaro su questioni relative alla sovranità e alla difesa, ha anche la responsabilità di fornire l’approvazione a progetti minerari nelle regioni di confine. Solo nel 2021 i nulla osta concessi sono stati già 45.
In termini territoriali, dall’inizio dell’amministrazione Bolsonaro il consenso all’attività estrattiva interessa un’area di 587 mila ettari. Solo una parte dell’erosione di cui l’Amazzonia è vittima in nome di interessi economici poco sensibili alla tutela dell’ambiente e del Pianeta.