Guatemala: donne indigene Achí violentate, la giustizia 40 anni dopo

Cinque condanne a 30 anni di carcere per violenza sessuale contro donne indigene Achí: si conclude così un lunghissimo processo contro ex paramilitari accusati di atrocità compiute durante la guerra civile in Guatemala. Una sentenza storica, che rompe tabù e potrebbe avere la forza di aprire nuove strade

Gli ex paramilitari Benvenuto Ruiz, Bernardo Ruiz, Gabriel Cuxum Alvarado, Damián Cuxum Alvarado e Francisco Cuxum Alvarado sono stati condannati in via definitiva a 30 anni di carcere per il delitto di  violenza sessuale commesso nei confronti di donne indigene Achí agli inizi degli anni Ottanta nel contesto della guerra civile in Guatemala (1960-1996).

Il cammino verso il processo: la lotta per verità e giustizia in Guatemala

Agli inizi del 2000 si è creato un fronte unito in Guatemala composto da numerose organizzazioni per i diritti umani allo scopo di ottenere verità, giustizia e riparazione dopo la guerra civile. Dopo 36 anni di duro conflitto armato (le stime dell’Onu parlano di almeno 200.000 morti, 45.000 desaparecidos e 100.000 sfollati), nel Paese regnava una completa impunità rispetto alle numerose e gravi violazioni dei diritti umani, soprattutto quelle riferite al periodo più cruento della guerra civile, l’inizio degli anni Ottanta.

Nello scontro armato, un ruolo importante è stato giocato dai paramilitari, che hanno appoggiato l’esercito per far fronte alla “guerriglia comunista”: gli stessi paramilitari che insieme all’esercito hanno compiuto numerose atrocità, specialmente contro il popolo indigeno maya.

Leggi anche:
Guatemala: storia di Nuevo Horizonte, dalla guerriglia alla lotta politica
La Dichiarazione universale dei diritti umani dal 1948 ai nostri giorni

guatemala guerra civile
Altare nel Centro Storico Educativo Riij Ib’ooy in memoria delle vittime dei massacri di Río Negro, Guatemala – Foto: Ana Pohlenz de Tavira (account Flickr WATERLAT GOBACIT)

Guerra civile in Guatamela: vittime e carnefici

La Commissione per il chiarimento storico (Ceh, attiva dal 1997 al 1999), nel report finale “Guatemala: Memoria del silenzio”, ha stabilito che circa l’83% delle vittime fu compostat da indígeni maya e che il  93% dei crimini commessi durante il conflitto fossero responsabilità delle forze armate dello Stato (almeno 600 massacri).

Il punto di svolta per la fine dell’impunità per i fatti della guerra civile è arrivato con quello che è conosciuto come il processo Sepur Zarco. Dal 2011 al 2016, 15 donne maya q’eqchi’ sopravvissute alla barbarie hanno combattuto nella più alta corte del Guatemala per avere finalmente giustizia. Questo caso emblematico si è concluso con la condanna  per crimini contro l’umanità di due ex militari e con la concessione di 18 misure di riparazione per le sopravvissute e la loro comunità.

La vittoria delle Abuelas (Nonne) de Sepur Zarco, così come affettuosamente e rispettosamente vengono chiamate, ha segnato uno spartiacque che ci porta alla sentenza del 24 gennaio scorso.

Leggi anche:
Violenza sulle donne: in America Latina sempre più vittime under 15 
Violenza sulle donne: femminicidi aumentati dell’8% nel 2021

guatemala donne
Foto: Renata Avila (via Flickr)

Guatemala, il caso della donne indigene Maya Achí

Il caso di violenza sessuale contro le donne Maya Achí fu aperto nel 2011, quando un gruppo di donne si recò presso lo Studio Legale del Popolo nel municipio di Rabinal. Le donne volevano raccontare ciò che ricordavano del massacro dell ’8 gennaio 1982 nel villaggio di Chichupac (Rabinal, Baja Verapaz), dove avevano perso i lori genitori e fratelli (scarica il Pdf della Corte interamericana dei diritti umani).

Mentre le donne testimoniavano, iniziarono ad emergere chiari elementi di violenza sessuale. Era difficile interpretare i racconti delle donne, che avevano chiaramente sofferto torture e violenze psicologiche, ma che non parlavano in modo chiaro di stupro. Non esiste infatti nella lingua achí un termine per definire la violenza sessuale e così quelle donne ripetevano due parole, che tradotte si avvicinano al concetto di «sono passati sul mio corpo».

Quelle testimonianze di stupro rimasero «in sospeso» fino a quando due avvocatesse indigene, Gloria Reyes Xitumul e Haydeé Valey, tornarono a sollevare la questione dopo la sentenza di Sepur Zarco. Sono state loro, insieme ad un’altra collega indígena, Lucía Xiloj, a  rappresentare le 36 donne Maya Achí che hanno denunciato la violenza sessuale durante il conflitto armato interno e a presentare l’accusa formale di cinque di loro contro gli ex paramilitari dell’Autodifesa Civile (Pac) condannati il 24 gennaio dal  Tribunal de Mayor Riesgo A.

Questo processo ha segnato anche un’importante vittoria culturale, che ha rotto un tabù all’interno del conservatorismo del sistema giudiziario guatemalteco. Il caso delle 36 donne Maya Achí (tre di loro sono morte però prima di arrivare alla sentenza), infatti, è stato portato avanti da tre avvocatesse indigene che hanno partecipato a tutto l’iter processuale vestendo i loro abiti tradizionali Maya.

Leggi anche:
Avvocata turca morta dopo 238 giorni di sciopero della fame: chi era Ebru Timtik
Violenza sulle donne: una giornata per dire “no” tutti i giorni

guatemala
Cimitero di Rabinal, Guatemal – Foto: MacDawg (via Flickr)

 

#CasoMujeresAchi: comunità internazionale in difesa delle donne indigene del Guatemala

Il caso è stato seguito dentro e fuori dal Paese centroamericano e per giorni l’hashtag #CasoMujeresAchi ha riempito le reti sociali delle organizzazioni che lottano per i diritti umani. Una di queste, che ha accompagnato il processo, è Impunity Watch Guatemala, nata nel 2004 per appoggiare e rendere più effettive le petizioni di verità, giustizia e riparazione dei collettivi di vittime e organizzazioni dei diritti umani guatemalteche.

Dopo la sentenza, proprio la sociologa e coordinatrice del programma di genere di Impunity Watch Guatemala, Brisna Caxaj, intervistata dalla giornalista Sandra Cuffe per il quotidiano britannico The Guardian, ha dichiarato:

«Il tribunale ha riconosciuto il sistematico uso della violenza sessuale durante il conflitto armato e ha anche stabilito che l’esercito ha usato i paramilitari per commettere quei crimini»

Dal canto suo, Erika Guevara Rojas, direttrice di Amnesty International Americhe ha commentato così dal suo account twitter ufficiale la notizia:

«La sentenza del #CasoMujeresAchi segna un precedente storico nella lotta per la giustizia per le violazioni dei diritti umani nel contesto del conflitto armato. Cinque ex paramiliari sono stati condannati per crimini contro l’umanità per le violenze sessuali perpetrate contro le donne  indigene Achí».

Lucia Xiloj, una delle avvocate protagoniste di questa storica vittoria, ha sottolineato nella sua intervista al Guardian che «le donne sono state contestate dai parenti degli accusati e hanno subito molti insulti… Hanno affrontato così tante difficoltà… Ma alla fine la corte ha evidenziato nelle sue argomentazioni l’importanza delle loro testimonianze… Rivendicando così tutti quegli anni di lotta per la ricerca di giustizia».

Il 27 gennaio inoltre, la corte a carico del giudizio ha reso note le 12 misure riparatorie che si possono leggere nell’infografica qui sotto preparata da Impunity Watch Guatemala.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.