Giustizia minorile: mai così pochi giovani nelle carceri italiane dal 2007
Il numero di giovani detenuti negli istituti di pena crolla durante la pandemia: ecco la fotografia delle giustizia minorile in Italia scattata del nuovo rapporto dell'associazione Antigone
Al 15 gennaio 2022 erano 316 i minori detenuti nelle carceri minorili italiane, a fronte di 13.611 ragazzi complessivamente in carico al servizi della giustizia minorile (il 2,3%) e a oltre 54.300 detenuti nelle carceri per adulti. Mai così pochi dal 2007.
L’associazione Antigone presenta oggi i nuovi dati, attraverso l’aiuto anche del cantante rap Kento, che da anni aiuta i giovani detenuti ad esprimere i loro sentimenti e che ha raccontato le loro storie con una serie di video.
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Giustizia minorile in tempo di pandemia: il dossier di Antigone
Il nuovo dossier, realizzato con il contributo di 20 volontari che in un anno hanno visitato i 17 istituti penali minorili da Treviso a Caltanisetta, riporta il numero di ospiti più bassi dal 2007, meno 19% tra il 2020 e il 2021 e conferma così la tenuta del sistema penale durante la pandemia.
Il sistema della giustizia penale minorile riesce a “residualizzare” la detenzione, trovando per i ragazzi risposte alternative: in carcere si va poco e spesso per periodi brevi.
«Dalla riforma del sistema minorile dell’88 l’Italia ha il pregio di dare un esempio al resto d’Europa come pene alternative al carcere. Dobbiamo continuare così, non costruire nuovi istituti ma costruire comunità che accolgano e diano un futuro ai giovani che commettono reati», dice Susanna Marietti, responsabile del settore minorile per Antigone.
Marietti tiene alta l’attenzione sul tema nuovi istituti perchè i fondi del Pnrr destinati al sistema detentivo sono ricaduti sul ramo edilizia, riportando così alla possibilità di spendere soldi per nuove carceri e non per nuove attività alternative.
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Giustizia minorile e servizi sociali: chi sono i giovani detenuti
L’attuazione delle misure alternative, come gli arresti domiciliari, per la pandemia nata nel 2020 e ancora attiva, ha portato ad una diminuzione dei giovani italiani in carcere. Gli stranieri minori arrivano ad essere la metà della popolazione detenuta. «Per chi non ha una rete sociale esterna, come spesso succede per i ragazzi stranieri – dice Marietti – non è semplice proporre un strada diversa dal carcere. Sono 637 comunità in Italia che gestiscono circa 950 ragazzi complessivamente in misure alternative al carcere, ma si deve tenere alta l’attenzione sui più fragili».
I reati commessi sono diminuiti molto come gravità, le percentuali più alte si hanno per i reati contro il patrimonio, furti. Per esempio gli omicidi volontari consumati da minorenni si sono ridotti del 66%: 33 nel 2016 e 11 nel 2020.
Più carcere al sud, più servizi esterni al nord
Il Sud e le Isole ospitano ben più della metà degli istituti, 10 su 17, e oltre la metà delle presenze, il 55,9% al 15 gennaio 2022. In questa area geografica si va nel carcere minorile con più probabilità e i percorsi alternativi sono più difficili da realizzare. Per Marietti «le alternative nascono dentro contesti e possibilità che si creano con il tempo. Dobbiamo lavorare perchè il territorio esterno offra maggiori spazi e responsabilizzi i ragazzi».
Se gli istituti ospitassero solo ragazzi tra i 14 ed i 21 anni di età, come era prima dell’agosto 2014, i presenti sarebbero in tutto 259, ovvero 100 in meno del dato più basso mai registrato prima della pandemia. Solo da qualche anno è prevista la possibilità di presenze di giovani tra i 21 e i 25 anni.
Ormai la maggior parte dei ragazzi ristretti negli istituti penali per minorenni non è in effetti minorenne. I maggiorenni erano al 15 gennaio il 58,5% del totale, un po’ meno tra i soli stranieri, il 56,4%, e decisamente di più tra le sole ragazze, il 62,5 per cento.
Attività in carcere, non bastano i volontari
«Come Antigone consideriamo la cultura lo strumento massimo di emancipazione ma deve essere portata dentro agli istituti con corsi professionalizzanti in maniera costante, ben organizzata», commenta Marietti.
Il ministero dell’Istruzione entra in tutte le carceri con i programmi scolastici obbligatori, ma per i corsi professionali spesso ci si affida a volontari. «Dobbiamo aumentare la presenza di attività che diano una professione utile, concreta, ai giovani adulti che si preparano ad uscire», una richiesta che va oltre la sfera minorile e si presenta in tutti gli istituti penali italiani.
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“Keep it trill”, la giustizia minorile nei video di Kento
Con il sesto rapporto di Antigone vengono presentati quattro video realizzati insieme al cantante rap Francesco “Kento” Carlo. Un viaggio nelle carceri minorili italiane attraverso le storie dei ragazzi e delle ragazze che vi si incontrano.
Kento, seduto sul palco dell’aula teatro del carcere minorile Casal Del Marmo a Roma, guarda nella telecamera e racconta alcune vite come quella di Liz, dominicana, finita dentro per aver voluto raggiungere sua madre in Italia trovando i soldi con lo spaccio. O quella di Adrian, che ha un suo quaderno giallo simile ad un panino e si fa gli affari suoi.
Il rap ha regole e fasi ben precise che vengono riprodotte nel laboratorio di Kento e costituisce un modo per fornire un approccio critico e capace di rafforzare l’autostima. Il rapper romano, che da oltre 10 anni entra negli istituti minorili per stare con i ragazzi, canta all’inizio di uno di questi cinque video “State attenti, domani è tra breve”.
Antigone chiede un nuovo codice penale per i minori
Susanna Marietti sostiene che la situazione giurisprudenziale è difficile per i minori che delinquono: «I reati di furti non possono essere paragonati tra minori e adulti. Un ragazzino che ruba in un supermercato non è uguale ad un adulto che entra in un appartamento».
L’associazione chiede quindi un codice penale per i minori che soddisfi il principio, sancito nella Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989, del superiore interesse del minore. «Come Italia abbiamo attuato subito la direttiva europea 800 del 2016 che punta al reinserimento del minore che commette reato. Però non possiamo avere ancora il codice Rocco degli anni ’30».