Discriminazione: storia di Ervin, gay e rom in lotta per i diritti delle minoranze

Ervin Bajrami ha trovato il coraggio di dichiarsi gay e rom. E oggi, mentre è attivo nella difesa dei diritti delle minoranze, è vittima di una doppia discriminazione. Ecco il suo drammatico racconto

È gay, rom e scuro di pelle. Uno dei pochi in Italia che ha trovato il coraggio per fare coming out, di dichiararlo pubblicamente. Si chiama Ervin Bajrami, 30 anni, ed è un attivista per i diritti delle persone Lgbt+ e della comunità rom.

Arrivato dal Kosovo quando aveva otto anni, oggi Ervin vive a Bergamo e vive in prima persona una doppia discriminazione: dalla famiglia d’origine viene ostracizzato perchè gay, ma anche dalla comunità Lgbt+ viene discriminato in quanto rom. E in un contesto come l’Italia, far valere i suoi diritti non sempre è facile: «In questo paese non ho molti diritti, né come gay, né come rom».

L’arrivo dal Kosovo come rifugiato

Ervin Bajrami è nato il 10 dicembre 1991 a Pristina, la capitale del Kosovo. Mamma ortodossa, papà musulmano, un fratello e una sorella, la famiglia viveva in una casa di proprietà e aveva una vita agiata.

«I miei genitori non sono mai stati praticanti, io sono ateo», racconta. A Pristina, Ervin frequenta la scuola pubblica dove sua madre lavora, mentre il padre non lavora, avendo una disabilità dalla nascita.

Quando scoppia la guerra, con la famiglia si rifugia prima in Serbia, dove vivono i nonni materni, poi in Italia. All’inizio lui, sua madre e sua sorella vivono in una casa famiglia, mentre il padre e il fratello (che allora aveva 14 anni) dormono in una struttura che resta aperta solo di notte.

«Una volta sono venuti a trovarci prima di pranzo», ricorda. «Noi non sapevamo mai se sarebbero riusciti a mangiare, perché per andare avanti facevano l’elemosina. Abbiamo chiesto allora se potevano fermarsi a mangiare con noi: ci hanno detto di no. Abbiamo proposto allora di dividerci il nostro cibo, ci hanno detto ancora di no. Per protesta, quel giorno non abbiamo mangiato».

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Ervin Bajrami con la bandiera rom – Foto: su gentile concessione di Ervin Bajrami

Doppia discriminazione: essere gay in una famiglia rom

Essere rom e contemporaneamente gay non è semplice per Ervin, fin dalla sua adolescenza. «In me c’era sempre una guerra interiore, dove prevaleva o l’una o l’altra parte», racconta. «Questo avveniva anche per evitare situazioni di disagio o di pericolo: ce ne sono state molte».

La famiglia di Ervin, anche se non è praticante, è comunque legata alle tradizioni ed è abituata a un percorso di vita in cui ci si sposa molto giovani e si fanno tanti figli. Per questo, per Ervin è stato ancora più difficile fare coming out. «Avevo 18 anni», ricorda. «È stato un disastro. I miei genitori si chiedevano cos’avevano sbagliato, ero la vergogna della famiglia. Mi sono sentito malissimo, poi con gli anni ho capito che non sono l’unico, solo che non tutti hanno il coraggio di dirlo. La vergogna non sono io, allora, ma l’ignoranza che ancora domina la comunità rom».

Dopo il coming out, Ervin scappa di casa e va a vivere da una zia. Dopo un periodo, però, si riconcilia con i suoi genitori e decide di “formarli” su cosa significhi davvero essere gay. «Volevo fargli capire che non c’era niente di strano né di malato», spiega. «Oggi non ne parliamo, ma so che a volte vanno su internet a vedere le mie interviste o i progetti che porto avanti con la comunità Lgbt+. I ragazzi più seri che ho avuto li ho portati a casa per farglieli conoscere: non sono mai stato esplicito, ma certe cose si capiscono senza bisogno di parole. Mio fratello adesso ha anche amici gay o lesbiche: è diventata una cosa più tranquilla, più normale, non crea più lo stesso scalpore».

La discriminazione da parte di chi è discriminato

Il coming out però Ervin non lo fa solo in famiglia, ma anche nella comunità Lgbt+, quando racconta che è rom.

«In molti mi chiedono se rubo o se vivo in un campo: non si rendono conto che anche loro portano avanti stereotipi, gli stessi da cui rifuggono. Le basi sono le stesse: il pregiudizio, lo schernimento. Anche i discriminati discriminano».

Nonostante Ervin sia un attivista impegnato nella lotta per i diritti delle persone Lgbt+, capita che si senta ancora il diverso tra i diversi. «Un giorno un ragazzo gay mi ha detto che i rom dovrebbero bruciare tutti. Gli ho risposto: “Ma tu lo sai che io sono rom?” e lui mi ha dato la risposta classica: “Va beh, ma tu sei diverso”. Altri mi hanno detto: “Non basta essere gay, tu sei anche rom, voi rubate. È inutile che tu mi dica di no”. Non si rendono conto che con le parole alzano muri, gli stessi che in altri ambiti cercano di abbattere».

Ervin ha continuato a lottare per affermare la sua doppia identità, anche se a volte si è sentito molto solo: «Se la mia famiglia mi discrimina, se la mia comunità mi discrimina, io chi sono? Questa perdita di identità crea una perdita della persona stessa: non ti ritrovi appartenente a nulla».

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Foto: su gentile concessione di Ervin Bajrami

In Italia da 21 anni, ma niente cittadinanza

E poi c’è la questione culturale, che vede Ervin a metà tra la sua cultura d’origine, quella del Kosovo, e l’Italia, il paese in cui è cresciuto: «Io mi sento perfettamente italiano», afferma. «Sono arrivato qui che ero un bambino: ho visto le lire, ricordo ancora il prezzo delle Big Bubble. Eppure, c’è sempre qualcuno che non perde l’occasione di farmi notare che italiano non sono. A volte mi sento dire: dovresti ringraziare di essere ancora qui. Ma io qui lavoro e pago le tasse, come tutti i cittadini. Su molte questioni non ho diritti, ma i doveri sono identici».

Ervin infatti non è ancora riuscito a ottenere la cittadinanza italiana e va avanti con un permesso di soggiorno per motivi familiari che rinnova ogni due anni. Per questo, dopo aver lavorato per più di un anno per il Comune di Bergamo, non ha potuto partecipare al concorso pubblico.

«La procedura per ottenere la cittadinanza richiede una stabilità economica che io non ho e poi i tempi sono lunghissimi», spiega. «Eppure mi sembra assurdo che un ragazzo come me, che è qui da 21 anni, che parla sette lingue e che lavora nel sociale, non abbia gli stessi diritti degli altri. La cosa che mi manca di più è il diritto di voto: in una democrazia, è quello il massimo diritto e mi piacerebbe poterlo esercitare con coscienza. Faccio l’esempio della corsa campestre: se sei bianco fai un passo in più, se sei uomo fai un passo in più, se sei ricco fai tre passi in più. Se sei rom sei l’ultimo che rimane. Se sei rom e gay neanche partecipi».

In difesa delle minoranze: la battaglia di Ervin contro la discriminazione

Oggi Ervin vive a Bergamo: da 11 anni abita insieme a Luigi, un amico di famiglia che per lui è come un padre. Ha lavorato come impiegato ai servizi sociali in un progetto con i richiedenti asilo e adesso si prepara a cominciare un nuovo lavoro. «Dopo essere arrivato qui come rifugiato, adesso sono io ad aiutare le persone: è stato molto educativo, mi ha aiutato a ricordarmi da dove ero partito».

Per un periodo è stato parte del Grande Colibrì, un’associazione multiculturale che dà voce a persone che soffrono di doppie discriminazioni. Adesso fa parte dell’Ucri, l’Unione delle comunità romanès in Italia, e di Khetane (che in lingua romanì significa “insieme”), che punta al riconoscimento della minoranza etnico-linguistica e culturale della comunità rom. «Quello che chiediamo è il superamento dei campi, della ghettizzazione, del caporalato, la mafia di oggi», spiega Ervin. «Facciamo formazione e informazione: la conoscenza è il primo passo per distruggere lo stereotipo».

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Foto: su gentile concessione di Ervin Bajrami

Cosa significa battersi per le minoranze: le minacce e i pericoli

Insieme al suo gruppo, Ervin ha sostenuto pubblicamente il ddl Zan, ma è stato attaccato pesantemente sui social network da alcuni sinti evangelici, che pubblicavano meme per schernirlo e condividevano articoli citando le idee di Giorgia Meloni e Matteo Salvini sulla questione.

«Non è la prima volta che mi capita: dieci anni fa, dopo un banchetto con Arcigay, ho ricevuto minacce di morte al telefono», ricorda. «Quando sono andato a sporgere denuncia mi hanno detto che non ne valeva la pena, che era solo una ragazzata. Mi sono ripresentato alcuni giorni dopo con la sindaca e con i giornalisti: la denuncia l’hanno accettata subito. Dopo qualche tempo hanno trovato il colpevole: era un ragazzo che conoscevo, ci sono andato a parlare di persona per fargli capire che quello che aveva fatto non era uno scherzo. Ma poi ho deciso di non procedere contro di lui».

Fare l’attivista, racconta Ervin, oggi non è semplice e si rischia molto: «C’è molto odio: bisogna fare molta attenzione». Questo è uno dei motivi per cui Ervin ha scelto di lasciare il paese in cui è cresciuto, Cologno al Serio, e trasferirsi a Bergamo: «Era troppo pericoloso. Con il senno di poi, però, credo che restare sarebbe servito, in un certo senso: avrebbe potuto aiutare le persone con cui ero cresciuto ad aprire un po’ la mente».

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