Darién Gap, in viaggio con i migranti nella giungla tra Panama e Colombia
Decine di migliaia di migranti attraversano ogni anno il Darién Gap, una delle regioni più pericolose del mondo. Un crocevia che divide Colombia e Panama dove i disperati si giocano tutto per raggiungere l'American Dream. Ecco il reportage di Osservatorio Diritti
da Metetì (Darién – Panama)
Secondo fonti del ministero di Sicurezza di Panama sono 126.000 i migranti che nel 2021 hanno attraversato il Darién Gap (Corridoio del Darién). Si tratta di uno dei luoghi più pericolosi e mortiferi al mondo, un confine naturale che separa la Colombia da Panama. La cifra è da record, basti pensare che in un anno si è superato il numero di migranti contabilizzati dal 2009 al 2020: 117.887 persone.
Attraversare il Darién Gap a piedi: verso l’American Dream
Nel 2020 Osservatorio Diritti si era già occupato di questa rotta migratoria presentando il documentario Darién Wanderers (I viandanti del Darién), di Irene Masala e Lucas Serna Rodas (entrando nell’articolo “Darién Wanderers: ecco il documentario sui migranti che sognano l’America” è possibile assistere gratuitamente a tutto il documentario).
Negli ultimi mesi, però, la situazione è degenerata e neanche la pandemia ha fermato un flusso migratorio eterogeneo che racchiude decine di nazionalità diverse (più di 50), uomini, donne, bambini che iniziano da qui il loro viaggio verso nord: verso il Messico e poi più su, verso gli Usa e l’American Dream.
Preoccupante anche e soprattutto la situazione dei minori non accompagnati che si cimentano in questo viaggio infernale. Infatti, già ad ottobre 2021 l’Unicef dava la drammatica cifra di 19.000 bambini registrati nel corridoio del Darién nel corso dell’anno. Un trend che è stato confermato dalle autorità panamensi che hanno dichiarato a fine anno che 28.344 minori hanno attraverato la selva che divide Panama dalla Colombia.
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Tra Panama e Colombia: la rotta dei migranti cambia di continuo
La rotta che i trafficanti di persone usano per attraversare la selva continua a variare, ma ciò che rimane costante è l’obiettivo. Far arrivare i migranti alla prima stazione di ricezione migratoria panamense disponibile ai margini della selva (Erm, per la sua sigla in spagnolo), dove li aspetta il Senafront (Servizio Nazionale di Frontiera): un corpo di polizia creato nel 2008 (Panama non ha esercito) che svolge sul posto funzioni di controllo e aiuto umanitario.
Il viaggio di queste decine di migliaia di persone nel Darién Gap inizia settimane prima in Colombia, nel dipartimento di Antioquia, nella città costiera di Necoclí. Lì negoziano con i trafficanti, aspettano il loro turno e finalmente vengono imbarcati verso Capurganá (Acandí, Colombia), porto colombiano del Daríen. Da qui, sempre in barca, raggiungono Porto Obaldía (Contea del popolo indigeno Guna – Yala), prima zona di contatto dei migranti con il suolo panamense e punto di partenza della traversata a piedi della selva.
Dopo un cammino estremamente pericoloso e inumano attraverso la fitta vegetazione del Darién (che può durare dai 5 ai 10 giorni, a seconda delle condizioni meteo), i migranti arrivano a Bajo Chiquito: un territorio dentro l’amminsitrazione della Contea del popolo indigeno Emberá – Wounaan, dove vengono ricevuti dalla Croce Rossa Panamense, l’Onu e altre ong. A Bajo Chiquito vengono rifocillati, viene prestato loro soccorso, si cerca di riunire le famiglie (molte persone rimangono indietro o si perdono nella selva) e successivamente si provvede al trasferimento in barca all’Erm di Lajas Blancas.
Negli anni passati la rotta era leggermente differente. Il punto centrale di arrivo dei migranti (almeno fino al 2019), era il villaggio di La Peñita: un luogo diventato in breve il fulcro della operazioni del Senfront e delle agenzie dell’Onu e dove era stata creata una Erm.
Però il sovraffollamento della zona, insieme alle pessime condizioni struttuali e igienico-sanitarie, hanno scatenato tumulti sia tra i migranti sia tra le persone del posto e così il ministero di Salute di Panama e l’Organizzazione Panamericana della Salute hanno optato per spostare le operazione su Lajas Blancas. La Peñita oggi continua a funzionare come centro di ricezione, ma il grosso delle operazioni di registro dei migranti viene effettuato nell’Erm di Lajas Blancas.
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Lajas Blancas, Panama: in transito verso l’America del Nord
Osservatorio Diritti è stato a Lajas Blancas, località a pochi km a sud-est di Metetí, municipio di Pinogana. In questo luogo si intrecciano migliaia di vite, sogni, destini e lingue. Da un lato i migranti, molti dei quali provengono da Haiti, ma anche dal Venezuela (1.500 nel 2021, secondo quanto riportato ufficialmente), da Cuba e da stati di Africa e Asia: Camerun, Senegal, Congo e Bangladesh in testa.
Dall’altro gli uomini in uniforme della brigata orientale del Senafront, che pattugliano la zona mantenendo l’ordine e la sicurezza. In mezzo decine di commercianti, accorsi a Lajas Blancas in cerca di fortuna. Piccoli negozi ambulanti di vestiti, oggetti d’uso comune, alimentari e ristoranti improvvisati.Uno stravagante caravanserraglio nel mezzo della selva, che offre ai migranti tutto ciò che i loro portafogli possono comprare.
I migranti passeranno un tempo indefinito nell’Erm di Lajas Blancas, aspettando il lasciapassare che gli permetterà di mettersi in viaggio per l’altro centro di accoglienza, quello di Los Planes de Gualaca (provincia di Chiriquí), questa volta al confine con il Costa Rica.
La Repubblica di Panama offre infatti un permesso di transito ai migranti che vogliono continuare il loro viaggio verso nord, ricevendoli alle porte del Darién e trasportandoli, una volta indentificati e censiti, verso la frontiera con il Costa Rica: Paese che offrirà loro lo stesso trattamento di “permesso di transito”.
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Darién Gap pericoloso: un girone infernale all’interno della giungla
Quella del Darién è una rotta migratoria dove morire o “scomparire” sono parole all’ordine del giorno, come raccontato dalle giornaliste indipendenti panamensi Leila Nilipur e Melissa Pinel, nell’episodio Aquí todos huyen de algo (Qui tutti fuggono da qualcosa) del podcast Indomables.
Passare la selva del Darién significa attraversare montagne, fiumi, paludi, esposti quotidianamente ad assalti, incidenti e strupri. I migranti dormono li dove cae la noche (arriva la notte), alla mercé di serpenti, insetti, malattie e con il constante rischio di disidratarsi per l’estremo calore della zona.
Mentre camminano gli può capitare di vedere i corpi (o quel che resta) di coloro che non ce l’hanno fatta. A volte il loro compagno di viaggio, quello che cammina davanti o dietro di loro, semplicemente cade: stremato, stroncato dalla febbre, dalla fame o dal peggioramento di patologie pregresse. Non c’è tempo per aspettare, per prestare soccorso, e così i più deboli vengono semplicemente lasciati a loro stessi.
Alle volte i migranti vengono attaccati e derubati dai gruppi irregolari che pullulano in questa selva (per anni rifugio anche della Farc, le Forze armate rivoluzionarie colombiane). Se il trafficante non ha pagato quanto pattuito con i gruppi irregolari, questi si vendicano sui migranti picchiandoli, stuprando le donne, rubando tutto ciò che possono.
Su quante di queste persone muoiano nella selva non c’è accordo tra le autorità. Non si sa o non si vuole sapere. Il ministero della Sicurezza di Panama, secondo quanto raccontato da Lilipur e Pinel, parlava nel 2019 di 6 morti all’anno. Un dato davvero poco credibile.
Impagabili notizie sul drammatico sentiero del sogno verso una vita migliore di centinaia di migliaia di poveri latinoamericani, inconsapevoli spesso dei fortissimi rischi che incontreranno. Ma immagino che la disperazione prevale sulla ragione.