Conservazione in Kenya: espulsioni e violenze sui pastori

I pastori del Nord costretti ad abbandonare le terre ancestrali per lasciare spazio alle aree di conservazione comunitaria. Sotto accusa il Northern Rangelands Trust, sostenuto dalle agenzie pubbliche per lo sviluppo. Ecco le denunce raccolte dall'Oakland Institute

Comunità di pastori espropriate delle loro terre ancestrali. Sotto accusa il Northern Rangelands Trust (Nrt) che, dal 2004, nel Nord del Kenya ha realizzato 39 aree di conservazione su oltre 42.000 chilometri quadrati. La denuncia arriva dall’ultimo rapporto del centro studi indipendente The Oakland Institute, dal titolo “Gioco furtivo: Le riserve comunitarie devastano la terra e le vite nel nord del Kenya”.

I finanziamenti della conservazione in Kenya

Il Northern Rangeland Trust è stato creato da Ian Craig, membro di una famiglia dell’élite bianca, a partire da un’eredità familiare. Oltre 25.000 ettari di pascoli, negli anni ’80 del Novecento, sono stati trasformati in un’area di conservazione: la Lewa Wildlife Conservancy, casa di specie in via di estinzione e celebre per aver ospitato il fidanzamento del principe William e di Kate Middleton.

Oggi il Trust riceve finanziamenti da donatori di rilievo come: Usaid, l’agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo, ma anche dall’Unione Europea, dalle agenzie per lo sviluppo danese e francese. I fondi arrivano anche da diverse organizzazioni ambientaliste che operano nel campo della conservazione, in particolare The Nature Conservancy.

Nrt opera anche nel mercato dei crediti carbone attraverso il “Carbon Project”, utilizzato per attrarre investimenti di aziende interessate a compensare le loro emissioni.

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conservazione in Kanya
Safari Foto: @Pixabay

Il mercato dei safari di lusso in Kenya

Più di 2 milioni di visitatori stranieri all’anno scelgono il Kenya per i loro safari. Questa forma di turismo rappresenta una risorsa molto importante per il Paese.

Nel 2018 aveva contribuito alla ricchezza del Kenya con 1,5 miliardi di dollari statunitensi. Si tratta, però, di un turismo rivolto a ricchi stranieri.

Espropri e corruzione nella conservazione

Il rapporto è basato sulla ricerca sul campo, sull’analisi delle leggi e sul modello di conservazione, spesso privato, che viene applicato in Kenya.

Il documento ha raccolto le proteste portate avanti in questi anni dalla popolazione locale. Contestazioni, petizioni e azioni legali: sono alcuni degli strumenti adottati contro la Nrt. Accusano il governo keniano di aver ignorato le denunce di violazioni dei diritti umani e di uccisioni mirate.

Dal rapporto emerge un sistema di espropri, portato avanti in collaborazione con l’agenzia statale della conservazione, la Kenya Wildlife Services, attraverso sistemi di corruzione e cooptazione. In alcuni casi anche attraverso la violenza e l’intimidazione.

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Foto: @Pixabay

Guardie della sicurezza violano i diritti umani

Le popolazioni pastorali accusano le guardie private di violazione dei diritti umani e uccisioni extragiudiziarie. Si tratta di unità mobili antibracconaggio, armate, che ricevono un addestramento paramilitare.

Equipaggiamento e formazione arrivano dalla statale Kenyan Wildlife Service Law Enforcement Academy e dalla compagnia di sicurezza privata51 Degrees”, gestita dal figlio di Ian Craig.

Secondo le testimonianze raccolte dal centro studi statunitense, le guardie avrebbero partecipato attivamente a scontri tra diversi gruppi etnici per il controllo del territorio. Sarebbero 11 le persone uccise in circostanze che hanno coinvolto direttamente operatori della conservazione, in altri casi ad essere coinvolte sarebbero le agenzie governative.

La Nrt, inoltre, controlla ogni aspetto della vita dei pastori: la gestione dei pascoli, il mercato di compravendita del bestiame e la sicurezza. Come uno stato nello stato.

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Ranger di un parco nazionale Foto: @Pixabay

Conservazione comunitaria in Kenya: critica al modello

L’indagine mette sotto accusa anche il modello di conservazione comunitaria portato avanti dal Trust. L’idea di supportare le comunità nella gestione delle terre che hanno sempre abitato si è tradotta in espropri e nell’uso di uomini armati.

Il coinvolgimento effettivo della popolazione è stato minimo. Le aree sono state determinate da soggetti esterni alle comunità e le decisioni viziate da forme di corruzione o di cooptazione dei capi tradizionali e degli ufficiali dell’amministrazione locale. I testimoni parlano di arresti, intimidazioni e minacce nei confronti degli oppositori.

In Kenya la terra è per pochi

Dal 2016 nel paese africano, grazie al Community Land Act, la terra comunitaria, compresi i pascoli utilizzati dai pastori, può essere legalmente registrata. Nonostante questo, ci sono voluti tre anni perché le prime comunità potessero accedere al servizio. Nel 2020 solo due hanno ricevuto il riconoscimento, le altre sono ancora in attesa.

Il rapporto dell’Oakland Institute registra anche la tendenza, negli ultimi anni, alla concentrazione del possesso della terra nelle mani di poche persone. Centinaia di ettari sono diventati ranch o aree di conservazione a scopo turistico, in grado di attrarre investimenti internazionali.

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Masai Foto: @Pixabay

La risposta del Northern Rangelands Trust

L’organizzazione contesta le conclusioni del rapporto. Alcune accuse, sottolineano, sono state oggetto di inchieste governative e sono state giudicate senza fondamento.

Il Trust, poi, si impegna ad adottare eventuali provvedimenti, su richiesta degli apparati interni o delle autorità che hanno il mandato di investigare. Inoltre, ribadisce di avere il sostegno della maggioranza della popolazione residente nelle aree di conservazione che gestisce.

Le denunce di Survival International

A denunciare gli abusi della conservazione in Kenya è anche il movimento a difesa dei popoli indigeni Survival International. «Molte zone della conservazione sono terre ancestrali di popoli pastori come i Samburu o i Masai», sottolinea Survival in una dichiarazione.

«La Nrt si sta muovendo in modo sempre più preoccupante verso gli oscuri e sospetti meccanismi del mercato del carbonio e delle compensazioni come un’ulteriore fonte di guadagno. E, cosa sconvolgente data l’abbondanza di prove di abusi dei diritti umani, l’Unione europea sta portando questo sistema a modello nel suo nuovo progetto NaturAfrica», ha dichiarato Fiore Longo, responsabile della campagna che Survival International conduce per decolonizzare la conservazione.

NaturAfrica è un progetto di supporto alla conservazione della biodiversità in Africa, attraverso un approccio che mette al centro le popolazioni. Sulla carta si propone di creare posti di lavoro, migliorare la sicurezza e la sostenibilità dello stile di vita, preservando l’ecosistema.

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