Kashmir: arrestato difensore dei diritti nello Stato conteso tra India e Pakistan
Ha fatto il giro del mondo la notizia dell'arresto di Khurram Parvez, noto difensore dei diritti umani in Kashmir colpevole di aver denunciato a più riprese le violazioni commesse dalle forze indiane nel territorio conteso tra India e Pakistan
Non si ferma il giro di vite contro la società civile in Kashmir, dove il 22 novembre scorso l’Agenzia Investigativa Nazionale (Nia) ha arrestato Khurram Parvez, prominente attivista e difensore dei diritti umani nel territorio conteso dall’India al confine con il Pakistan.
La misura è stata poi confermata il 4 dicembre, quando Parvez è apparso davanti al tribunale speciale della Nia a Nuova Delhi, dopo 12 giorni sotto custodia: il giudice ha disposto la custodia cautelare nel carcere di massima sicurezza di Tihar, a Nuova Delhi. La prossima udienza è fissata per il 23 dicembre 2021.
Chi è Khurram Parvez, attivista in Kashmir
Parvez, che si è spesso espresso contro il governo guidato dal Bharatiya Janata Party (Bjp), è membro della Jammu Kashmir Coalition of Civil Society (Jkccs), una federazione di gruppi e individui che difendono i diritti umani: la Jkccs ha pubblicato diversi rapporti scomodi sulle violazioni dei diritti umani e i frequenti abusi delle forze di sicurezza nella Valle del Kashmir. Parvez è anche presidente della Asian Federation Against Involuntary Disappearances (Afad), un’organizzazione che combatte le sparizioni forzate.
Diverse organizzazioni per i diritti umani e ong – Front Line Defenders, International Federation for Human Rights (Fidh), World Organisation Against Torture (Omct), the International Commission of Jurists, Amnesty International e Human Rights Watch – hanno espresso la loro preoccupazione per l’arresto di Parvez:
«Il governo indiano dovrebbe porre fine immediatamente alle violazioni del diritto alla libertà e ad un processo equo e rispettare gli obblighi nazionali e internazionali in materia di diritti umani».
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L’arresto con accuse legate alla legge indiana anti-terrorismo
La Nia ha fatto irruzione e perquisito gli uffici della Jkccs e poi l’abitazione di Khurram Parvez, che è stato arrestato ai sensi di diverse sezioni della legge sulla prevenzione delle attività illegali (Uapa), la norma anti-terrorismo indiana: una legge spesso definita “draconiana” e in base alla quale un individuo può essere tratto in arresto sulla base di un semplice sospetto e per la quale è molto difficile – se non impossibile – ottenere il rilascio su cauzione.
La vaga definizione di “attività terroristica” nel testo della legge si presta a numerose interpretazioni e questa è stata spesso applicata per silenziare le voci critiche (come quella di padre Stan Swamy) e il crescente dissenso verso il governo: giornalisti, attivisti, avvocati, docenti e manifestanti indiani sono stati, negli ultimi anni, incarcerati ai sensi dell’Uapa sulla base di accuse spesso montate (leggi anche L’Onu condanna l’India: chi contesta la legge anti-musulmani va liberato).
Il precedente: fermato per la sua solidarietà ai kashmiri incarcerati ingiustamente
Già nel 2016, le autorità indiane avevano arrestato Parvez il giorno dopo avergli impedito di recarsi in Svizzera per la 33° Sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite: allora lo avevano accusato ai sensi del controverso Public Safety Act (Psa), una legge in vigore nel solo Kashmir che consente la detenzione senza accuse per un massimo di due anni. Fu rilasciato dopo 76 giorni di carcere a seguito di crescenti pressioni da parte di gruppi per i diritti umani.
Khurram Parvez è un noto attivista che si è spesso espresso in solidarietà di tutti i kashmiri ingiustamente incarcerati, che languono da anni in galera: si definisce un difensore dei diritti umani sotto l’«occupazione più militarizzata al mondo». Parla della sua terra, il Kashmir, come di una «grande e bellissima galera».
Kashmir conteso tra India e Pakistan a suon di guerre
Il territorio del Kashmir, incastonato a Nord dell’India al confine con il Pakistan, è l’unico stato indiano a maggioranza musulmana ed è al centro di una delle dispute territoriali più longeve al mondo. India e Pakistan hanno combattuto due delle loro tre guerre per il controllo della regione, situata all’estremità nord-occidentale della catena dell’Himalaya e attualmente divisa tra India e Pakistan, e un pezzetto alla Cina.
Negli anni 90, la sempre maggiore presenza militare indiana nel territorio sotto il suo controllo è cresciuta di pari passo all’intensificarsi della lotta armata di stampo separatista in nome dell’azadi, “libertà” in urdu. Da allora, i civili sono sempre più vittime del fuoco incrociato dei militanti – la cui causa è moralmente sostenuta dalla popolazione e storicamente foraggiata dal Pakistan – e delle forze di sicurezza indiane, percepite come una forza occupante.
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Kaskmir oggi: militari e violazioni dei diritti umani
In effetti, la massiccia presenza militare nello Stato ne fa una delle zone più militarizzate al mondo. Sparizioni forzate, morti in custodia, omicidi extragiudiziali, torture, abusi, arresti arbitrari fanno parte della quotidianità in Kashmir da almeno 30 anni.
Khurram Parvez e la Jkccs, con i loro rapporti, hanno portato alla luce molte di queste scomode verità. Diversi attivisti sui social media hanno definito il suo arresto un tentativo di «mettere a tacere e punire i difensori dei diritti umani».
Fine dell’autonomia dello Stato di Jammu e Kashmir
La situazione in Kashmir è deteriorata ancor più sotto la guida del partito etnonazionalista Bharatiya Janata Party, al governo federale dal 2014. Il 5 agosto 2019, in una mossa senza precedenti, il parlamento indiano ha votato una risoluzione – spinta dal ministro degli interni Amit Shah, braccio destro del premier Narendra Modi – per la revoca degli articoli 370 e 35A della Costituzione indiana che accordavano allo Stato di Jammu e Kashmir (J&K) una relativa autonomia nell’ambito del federalismo indiano.
Lo Stato di J&K è stato declassato a territorio dell’unione – un’unità amministrativa sotto il controllo del governo centrale – e quindi smembrato in tre unità. In quei giorni è stato imposto il coprifuoco, le linee telefoniche e internet sono state sospese per mesi e la libertà di stampa repressa, oltre all’ulteriore militarizzazione del territorio per spegnere ogni protesta (leggi anche Kashmir sotto assedio: l’India manda all’aria l’autonomia e reprime il dissenso).
Kashmir sotto il giogo indiano e la repressione del dissenso
Il 5 agosto il Kashmir non ha solo perso la sua autonomia costituzionale. Anche la norma che vietava ai non kashmiri di comprare proprietà nello Stato è stata abrogata: oggi tutti i cittadini indiani e gli imprenditori possono comprare terre e avviare imprese in Kashmir. La soggiogazione del Kashmir e dei suoi abitanti da parte di Delhi ha avuto dure ripercussioni economiche, sociali, psicologiche e morali per i kashmiri.
Intanto, proprio nei mesi del lockdown per contenere il contagio da coronavirus, New Delhi ha messo in atto una durissima repressione contro attivisti e voci critiche. In Kashmir la stretta autoritaria si è tradotta nell’arresto di attivisti e giornalisti e nell’aumento delle operazioni militari contro terroristi e separatisti, o presunti tali.
Polizia indiana accusata di aver ucciso tre attivisti
L’ultimo caso, proprio poche settimane fa. Il 24 novembre, poco dopo che la polizia aveva annunciato che «tre militanti erano stati uccisi in una sparatoria» in un quartiere di Srinagar, diversi testimoni oculari hanno affermato che in realtà i tre ragazzi erano stati prelevati da un’auto e uccisi in strada. In un video diventato virale, i testimoni affermano che i tre erano «disarmati e sono stati uccisi dalle forze armate davanti ai loro occhi». Il trio sarebbe stato trascinato giù dal veicolo e giustiziato.
La folla si è riunita al suono di slogan e proteste. Una delle donne che protestavano in un video dice: «Siamo persone indifese. Quanto durerà tutto questo?». Gli omicidi extragiudiziali, spesso spacciati per encounters – ossia finti scontri a fuoco tra forze di sicurezza e militanti – sono comuni in Kashmir. Le vittime sono spesso civili innocenti.
Raramente le autorità hanno assicurato giustizia per questo tipo di omicidi e altri gravi abusi da parte delle forze di sicurezza in Kashmir, che agiscono impunite. Ma non mancano di arrestare coloro che parlano in favore della giustizia e dei diritti umani. Come Khurram Parvez.