Panama: la repressione degli indigeni Ngäbe-Buglé
Gli indigeni Ngäbe-Buglé, il gruppo più numeroso di Panama, sono stati cacciati a forza dalla proprie terre dalle forze di polizia in tenuta antisommossa. Un'azione violenta, che arriva dopo la devastazione dei territori e del fiume Tabasará portata dalla grande centrale idroelettrica di Barro Blanco
da Panamá City, Panamá
Il 29 ottobre un gruppo di indigeni del popolo Ngäbe-Buglé che ancora resiste sulle rive deli fiume Tabasará, nella zona adiacente al progetto idroelettrico di Barro Blanco, è stato sgombrato con la forza dalla polizia nazionale panamense.
Uomini, donne, bambini e anziani sono rimasti gravemente feriti dall’impatto di proiettili di gomma sparati dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa. La polizia ha dichiarato che quattro agenti sono rimasti feriti negli scontri e che gli indigeni hanno rifiutato le cure dei paramedici.
Popoli indigeni a Panama: la resistenza
Ancora una volta nella zona di Barro Blanco (Caña Blanca de Tolé, provincia di Chiriquí) i membri della comunità indigena Ngäbe-Buglé hanno sofferto la repressione di uno Stato che non riconosce il loro diritto di abitare un territorio al quale sono legati ancestralmente.
I leader della comunità affermano che vivono lì da anni, denunciando inoltre che il terreno dal quale sono stati sgomberati con la forza è di “pubblica servitù” e che su di esso pende un contenzioso amministrativo non ancora risolto. Sottolineano poi che alcune delle famiglie espulse venerdi 29 ottobre hanno perso i loro terreni a seguito della crezione della diga sul fiume Tabasará.
Gli indigeni continuano dunque a battersi per la loro terra anche se hanno perso ormai da anni la battaglia per la costruzione della centrale idroelettrica di Barro Blanco, megaprogetto che ha inondato 250 ettari di territorio e “ucciso” il fiume Tabasará.
Tra i popoli indigeni di Panama, i Ngäbe-Buglé costituiscono il gruppo con la popolazione più numerosa e al censimento del 1990 superavano già i 123.000 abitanti.
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C’era una volta il fiume Tabasará
Il fiume Tabasará, trasformato oggi in un lago artificiale, si trova dentre la comarca Ngäbe Buglé, divione amministrativa territoriale creata con la legge numero 10 del 7 marzo 1997. Le comunità indigene che abitano la comarca hanno provato a salvarlo (senza riuscirici) e con lui tutto un’ecosistema purtroppo spazzato via dal progetto.
La resistenza è iniziata nel 2008, anche se fin dagli anni Settanta gli indigeni si sono fortemente opposti ad interventi di sfruttamento massivo del loro territorio ancestrale, ed è proseguita con sorti alterne per anni.
Il fiume era utilizzato per la pesca di sussistenza dalle popolazioni autoctone e non (che ottenevano così un’importante fonte di cibo), come luogo di svago, di venerazione di incisioni rupestri, come fonte di acqua potabile e come mezzo di accesso e trasporto di merci ad altre città.
Inoltre i boschi circostanti e intrensicamente dipendenti dal fiume fornivano carne per la popolazione, legname per case, mobili, tralicci e barche, piante medicinali, materie prime per la produzione di articoli per uso personale e commerciale, come cesti, cappelli e borse.
Tra i luoghi colpiti dal progetto ci sono anche alcuni dei punti simbolo dell’organizzazione e incontro della comunità: spazi di grande simbolismo religioso, educativo e culturale della zona, dove tra le altre attività si insegnava alle nuove generazioni la lingua Ngabere.
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Panama, dove si trova: la mappa (capitale: Panama City)
Panama, la centrale idroelettrica di Barro Blanco
Nel 2007 lo Stato panamense autorizzò la concessione alla società Genisa – Generadora del Istmo S.A., che fu creata ad hoc per la realizzazione del progetto idroelettrico di Barro Blanco. I lavori di costruzione cominciarono nel 2011 in un clima di forte tensione. Le critiche erano legate alle preoccupazioni sull’impatto del progetto, nonché alla mancanza di un’adeguata consultazione pubblica e alle violazioni dei diritti umani perpetrate dalla stessa società.
L’azienda, dopo un lungo processo di negoziazioni iniziato nel febbraio 2015, tra alcuni rappresentanti indigeni e lo Stato panamense (con internvento dell’Onu), venne estromessa definitivamente dal progetto nel 2016, quando la centrale erà già stata costruita al 95 per cento.
L’accordo siglato nel 2016 ha creato però degli attriti all’interno della comunità Ngäbe-Buglé, giacchè non tutti i membri hanno riconosciuto tali accordi che sancirono de facto l’inizio delle attività della centrale idroelettrica.
Dopo Genisa è arrivata Cobra, oggi parte del gruppo spagnolo Acs, e sul suo sito web si legge che il progetto è iniziato il 15 febbraio 2011 e si è concluso il 23 gennaio 2017: circa 6 anni. Quello che però attira di più l’attenzione è questo paragrafo, che descrive le difficoltà nella realizzazione della centrale e della diga.
«La sfida più grande che venne affrontata fu la chiusura della diga, poiché a causa del tipo di idrologia del fiume Tabasará, c’erano inondazioni durante tutto l’anno e non c’era una stagione secca che facilitasse il getto del cancello di deviazione».
Non c’è traccia dunque delle problematiche legate all’inondazione del territorio indigeno ancestrale Ngäbe-Buglé e delle denunce dei caciques (i capi delle comunità) che lamentavano i danni irreparabili che avrebbero subito quasi 500 persone delle comunità di Quebrada Caña, Nuevo Palomar, Comunità Cultural Kiad, Labramona e Calabacito, del distretto Müna, regione di Kodrí.
Non si parla neanche del “movimento 10 di aprile” e delle molteplici manifestazioni di protesta, blocchi stradali e scontri con la polizia che hanno caratterizzato la presidenza Juan Carlos Varela (2014-2019). Un processo di invisibilizzazione di una resistenza costante e coraggiosa schiacciata da una centrale idroelettrica da 28,84 Mw.
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La società civile contro il presidente Laurentino Cortizo
Il Collettivo Voci Ecologiche (Covec) ha denunciato in un manifesto l’accaduto, sottolineando l’ipocrisia dell’operato dell’attuale presidente di Panama, Laurentino Cortizo, che proprio nei giorni successivi agli scontri partecipava a Glasgow, in Scozia, alla Cop26 parlando delle misure adottate dal suo governo per rispettare la natura e i popoli indigeni:
«Il nostro impegno inizia col rispettare i popoli originari e le nostre foreste, misure attraverso le quali proteggiamo il 33% della superficie del nostro Paese», dichiarava Cortizo.
Nel documento del Covec, invece, si legge:
«La realtà è esattamente il contrario e, come se questo non bastasse, il governo ha appena approvato il Decreto Esecutivo N.141 del 2021 che crea i “Certificati di Accreditamento di Uso del Suolo in Aree Protette” con il quale punta a ricoscere diritti di proprietà (e sfruttamento) dentro le aree protette. Una chiara evidenza che il business della terra viene realizzato in pro delle multinazionali e delle imprese estrattive».
*Foto di copertina: su gentile concessione delle comunità originarie Ngäbe Buglé danneggiate dalla diga di Barro Blanco e pubblicata su Radio Temblor Internacional.