Il potere delle multinazionali ai tempi del Covid-19

Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo stila anche quest'anno l'elenco delle maggiori multinazionali al mondo in un report che analizza alcuni esempi critici. Gli approfondimenti di questa Top 200 riguardano Amazon, Pfizer e Moderna, cresciute molto con la pandemia. Due focus sono dedicati all'economia dei militari

La pandemia ha stipato i forzieri di alcune delle maggiori multinazionali al mondo, che ne sono uscite peraltro con un’immagine da “salvatori della patria”. Le chiusure e le limitazioni agli spostamenti, che si sono abbattute improvvise in tutto il mondo, hanno rilanciato la crescita esplosiva di Amazon. Così come Big Pharma, a partire da Pfizer e Moderna, si è arricchita prima con le sovvenzioni pubbliche alla ricerca, poi con la vendita dei vaccini contro il Covid-19.

Eppure questi giganti globali continuano a lasciare dietro di sé delle ombre oscure. Come ha rilevato l’ultima edizione di Top 200, un dossier a cura del Centro Nuovo Modello di Sviluppo che, oltre a fornire le informazioni di base sulle prime duecento multinazionali, contiene schede di approfondimento su situazioni di particolare interesse (i dati sono relativi al 2020).

Oltre a indagare i comportamenti del colosso mondiale dell’e-commerce e delle società farmaceutiche statunitense, il documento, diffuso giusto alcuni giorni fa, dedicata una sezione per aiutare a capire come i regimi militari di Egitto e Myanmar siano riusciti a mettere le mani sull’economia nazionale.

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Foto: dronepicr (via Wikimedia Commons)

Amazon tra le maggiori imprese multinazionali: profitti stellari, tasse ai minimi

Il primo approfondimento riguarda Amazon, la cui segretezza forse non ha eguali. Tutta l’organizzazione ruota intorno a uno sforzo costante: ottenere il massimo vantaggio possibile dalle diverse legislazioni fiscali esistenti nei vari Paesi del mondo.

L’impero fondato da Jeff Bezos è ormai il terzo gruppo mondiale per fatturato e il quinto per capitalizzazione, eppure non offre un prospetto della propria struttura di gruppo, non offre una lista completa delle proprie filiali e della loro localizzazione, non dà un numero complessivo dei propri dipendenti, né la loro suddivisione geografica e per settori.

La capogruppo, Amazon.Com Inc, è registrata nel Delaware, paradiso fiscale statunitense. E in Europa Amazon ha costruito un’impalcatura finanziaria del tutto particolare, che le permette di convogliare in Lussemburgo tutti i profitti del Continente.

Nel 2020 la controllante europea Amazon Europe Core ha dichiarato profitti per oltre 2 miliardi di euro, pagandoci sopra solo 21 milioni di imposte (appena l’1%), mentre la controllata Amazon Eu, che dal Lussemburgo coordina tutte le filiali europee, ha dichiarato perdite per 1,2 miliardi di euro, aggiudicandosi un credito fiscale di 56 milioni di euro.

E benché la Commissione europea abbia fatto ricorso alla Corte Europea per fare cessare il trattamento di favore di cui gode Amazon da parte dello Stato lussemburghese, il procedimento si è concluso con la sentenza del 12 maggio scorso, che ha stabilito che Amazon non ha goduto di alcun vantaggio selettivo da parte del Lussemburgo. Segno che se non si cambiano le legislazioni ne usciranno sempre verdetti iniqui.

Ascolta “Pfizer e Moderna: guadagni stellari, ma il vaccino resta ai ricchi” su Spreaker.

Multinazionali, gli esempi delle farmaceutiche Pfizer e Modena

Un’altra scheda di Top 200 (scarica il Pdf) si concentra sull’economia dei vaccini anti Covid-19, con particolare riferimento a Pfizer e Moderna, che hanno prodotto i vaccini andati poi per la maggiore. I profitti che hanno macinato nel 2020 sono stati enormi, realizzati con soldi pubblici perché entrambe hanno ricevuto fiumi di miliardi da parte dei governi, in particolare quello statunitense.

E ciò nonostante, nel 2021 hanno imposto un aumento di prezzo sui nuovi contratti di acquisto stipulati con la Commissione europea.

L’approfondimento riporta tutti i numeri dei sostegni pubblici ricevuti, dei fatturati e dei profitti realizzati, con un occhio anche su quanto spendono per fare lobby sui poteri politici. Pressione andata a segno considerato che, nonostante le dichiarazioni del presidente statunitense Joe Biden, l’Organizzazione mondiale del commercio non ha approvato la sospensione dei brevetti richiesta da India e Sudafrica. La conferma che l’economia comanda e la politica esegue.
Ascolta “Vaccini Covid-19, ingiustizia globale. Eswatini senza democrazia” su Spreaker.

Multinazionali in cerca d’immagine: l’importanza della reputazione

Un altro articolo pubblicato dal report Top 200 la dice lunga sullo sforzo delle imprese per vendersi migliori di quello che sono e riguarda una ricerca condotta nel 2021 da Amo, una società di consulenza al servizio delle imprese per aiutarle a proteggere la propria reputazione. L’analisi condotta sui codici etici e sui rapporti sociali di 525 multinazionali sparse in 22 paesi, ha messo in evidenza che le imprese cercano di dare una buona descrizione di sé autodipingendosi sotto tre profili: modo di essere, modo di lavorare, rapporto con gli altri (stakeholders).

I vocaboli utilizzati sono i più vari: da audacia a coraggio, da resilienza a tenacia, da cura a compassione, da pazienza a entusiasmo, da bellezza a efficienza, ma la stessa Brooke Masters, analista del Financial Times, in un articolo del 22 luglio 2021, ha scritto: «Sospetto che l’uso di parole d’ordine così impegnative risieda nel fatto che sono estremamente difficili da misurare. La loro vaghezza permette alle imprese di citarli come principi di riferimento, senza sapere di cosa stiamo parlando». Se lo dice il Financial Times, c’è proprio da crederci!

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Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi – Foto: President of Russia

Egitto e Myanmar: l’economia dei militari

Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo ha dedicato un approfondimento anche all’economia dei militari in Egitto e Myanmar, due paesi a regime dittatoriale fra i peggiori del mondo. Reperire informazioni su questi sistemi è stato piuttosto difficile, considerato l’alone di segretezza in cui operano.

Tuttavia appare chiaro che in entrambi i casi i militari controllano non solo la produzione bellica, ma anche i gangli centrali dell’economia nazionale con l’obiettivo di rafforzare il potere dei militari e arricchire i capi dell’esercito. In Egitto un altro obiettivo che appare chiaramente è il controllo dell’informazione, operazione affidata ai servizi segreti che hanno la proprietà delle principali testate giornalistiche e televisive tramite specifiche società ombra.

Ma non è sempre stato così. All’inizio in Egitto l’obiettivo dei militari era solo la produzione bellica, ma con la scusa che i soldati debbono anche mangiare, vestirsi, lavarsi, l’esercito ha gradatamente esteso la propria presenza a molti altri settori: dalle fattorie all’allevamento di pesci, dalle industrie alimentari a quelle farmaceutiche, dagli stabilimenti chimici a quelli elettronici. E pensando al bisogno di svago degli ufficiali, l’esercito ha finito per occupare anche l’industria del turismo, giungendo a gestire oltre 600 alberghi e vari villaggi turistici.

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Uno dei progetti più grandiosi dei militari, che sta molto a cuore al presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, riguarda la costruzione di una nuova capitale amministrativa, una sorta di città satellite del Cairo, totalmente gestita dall’esercito.

Altri grandi cantieri comprendono l’ampliamento del Canale di Suez e la costruzione di nuove città che avrebbero l’intento di decongestionare le aree situate attorno al Nilo, da sempre sovrappopolate. Non è noto il numero di stabilimenti gestiti, né dei dipendenti.

Secondo alcuni, in Egitto i militari controllano tra il 15 e il 40% del prodotto interno lordo del Paese. Secondo Al Sisi, non supera il 3 per cento. Stabilire dove stia la verità è pressoché impossibile perché non esiste trasparenza. Non si conoscono i bilanci delle imprese gestite dai militari, i loro risultati economici, i percettori degli eventuali profitti, l’ammontare dei contributi pubblici messi a loro disposizione. Tutto è avvolto nel mistero.

Di sicuro, però, si sa che la lunga mano dei militari arriva fino al controllo dell’informazione, addirittura per il tramite dei servizi segreti, che possiedono le più importanti testate televisive e giornalistiche.

Le pietre preziose dell’esercito birmano

Quanto al Myanmar, dove è facile immaginare che la situazione sia diventata ancora più drammatica in seguito al colpo di Stato del 1° febbraio 2021, la presenza dei militari è presente in tutti i gangli più importanti dell’economia Paese e, in particolare, nel settore dei minerali preziosi.

Da una ricerca pubblicata nell’agosto 2019 dalle Nazioni Unite, si apprende che l’esercito del Myanmar possiede ben 23 società dedite ad estrazione e commercio di giada e rubini. Ed è proprio nelle aree minerarie che si registrano i comportamenti peggiori che hanno reso l’esercito del Myanmar tristemente famoso per la violazione dei diritti umani.

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