Guerra Etiopia: scoppiato nel Tigray, il conflitto oggi è fuori controllo

La guerra civile in Etiopia registra gravissime violazioni dei diritti umani. Gli scontri sono usciti dalla regione del Tigray e non si riesce ancora a intravederne la fine. A pagare il prezzo più alto sono i civili

«Abbiamo tutti moltissima paura. La situazione è terrificante. Per ora ad Addis Abeba la vita prosegue normalmente nonostante le manifestazioni a favore del governo, ma non sappiamo cosa potrà succedere da qui a pochi mesi». È con queste parole che un cittadino etiope, residente nella capitale dell’Etiopia e che per motivi di sicurezza ha preferito restare anonimo, ha parlato a Osservatorio Diritti dopo l’escalation del conflitto nel Corno d’Africa.

Dal Tigray al Corno d’Africa: la guerra in Etiopia dilaga

Tutto ha avuto inizio nel novembre del 2020, quando le truppe di Addis Abeba, con l’appoggio delle forze eritree e delle milizie Ahmara, hanno attaccato la regione del Tigray, dove si erano tenute elezioni non autorizzate che avevano visto vincere il Tplf (Tigray People’s Liberation Front), la formazione politica e militare rappresentante della comunità tigrina dell’Etiopia.

Il premier Abiy Ahmed, insignito nel 2019 del premio Nobel per la Pace per aver siglato una storica tregua con l’Eritrea, in risposta alle votazioni illegittime ha dato il via libera a un’offensiva su larga scala per sottomettere la regione ribelle.

Dopo un successo iniziale delle forze governative, i partigiani tigrini sono passati alla controffensiva, hanno riconquistato la città di Macallé e hanno esteso il conflitto ad altre province dell’ex colonia italiana, tanto da essere riusciti a prendere controllo di altri due centri nevralgici, Dessie e Kombolchoa. E i combattimenti adesso sono a poche centinaia di chilometri dalla capitale Addis Abeba e il rischio di una catastrofe è estremamente concreto.

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guerra etiopia 2021
Centro d’accoglienza nel Tigray – Foto: ©European Union, 2021 (via Flickr)

Guerra Etiopia: l’escalation di fine 2021 fa temere il peggio

Negli ultimi giorni hanno impressionato le immagini arrivate da Addis Abeba che mostravano una marea umana nelle strade a manifestare per il sostegno al governo del premier Abiy Ahmed. Tra le bandiere dell’Etiopia si scorgevano anche cartelli inneggianti allo scontro e all’uccisione dei ribelli.

Parole prese in prestito al leader del Paese, che a inizio mese aveva invitato il popolo a «sospendere ogni attività per marciare con ogni arma per seppellire i terroristi». Parole che sono suonate come una chiamata corale alle armi e un invito a tutti i cittadini maschi ad armarsi e partire per la linea del fronte.

Ora però i fronti di battaglia sono molteplici. Contro il governo centrale si sono schierati anche i ribelli Oromo dell’Oromo Liberation Front, che stanno cingendo le truppe regolari da sud, mentre le armate tigrine avanzano da nord. E inoltre il 5 novembre è nata un’alleanza tra nove gruppi armati etiopi, tutti uniti in chiave anti governativa.

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Gli inviti alla pace in Etiopia restano ancora oggi inascoltati

Le massime figure politiche e religiose si sono espresse nei giorni scorsi invitando alla pace le parti in causa, ma sino ad ora tutti gli appelli sono apparsi in ascoltati. Papa Francesco ha invitato al dialogo e ha detto di pregare perché si raggiunga quanto prima una cessazione delle ostilità.

«I continui combattimenti prolungano la terribile crisi umanitaria nel Nord dell’Etiopia», ha scritto invece Antony Blinken, segretario di Stato Usa in un tweet, aggiungendo che «tutte le parti devono fermare le operazioni militari e iniziare i negoziati per il cessate il fuoco senza precondizioni».

E si è registrata anche la presenza sul terreno di Jeffrey Feltman, inviato speciale degli Usa per il Corno d’Africa, che sta cercando di trovare una soluzione politica alla crisi.

Al momento, però, nulla sembra essere andato a buon fine e né i ribelli, né tantomeno i governativi, sembrano voler deporre le armi e sedersi al tavolo delle trattative. Ma, di riflesso, all’acuirsi del conflitto continuano a registrarsi inaudite violazioni dei diritti umani.

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Foto: ©UNICEF Ethiopia/2020/Mulugeta Ayene (via Flickr)

I diritti umani prime vittime del conflitto

Un’indagine congiunta della Commissione etiope per i diritti umani (Ehrc) e dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha stilato un report, all’interno del quale si legge che tutte le parti in causa hanno commesso violazioni dei diritti umani e tra i crimini più efferati si legge che gli eserciti sul campo hanno compiuto uccisioni illegali, esecuzioni extragiudiziali, torture, violenze sessuali ed espulsioni coatte dei civili.

«Il conflitto del Tigray è stato caratterizzato da un’estrema brutalità. La gravità delle violazioni e degli abusi che abbiamo documentato sottolineano la necessità di ritenere responsabili entrambe le parti», ha affermato Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Che ha poi aggiunto: «Poiché il conflitto si è intensificato, con i civili come sempre presi nel mezzo, è fondamentale che tutte le parti prestino attenzione ai ripetuti appelli per porre fine alle ostilità e cerchino un cessate il fuoco duraturo». Ma al momento niente sembra andare in questa direzione.
Ascolta “Patrick Zaki a processo. Tigray: Bachelet all’Onu” su Spreaker.

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