Elezioni Nicaragua, una “farsa” elegge (ancora) presidente Daniel Ortega

Daniel Ortega, presidente, e la moglie Rosario Murillo, vicepresidente, continueranno a guidare il Nicaragua per un altro mandato. Così hanno stabilito i dati ufficiali delle elezioni del 7 novembre 2021. Ma secondo l'opposizione l'astensionismo ha passato l'80% degli aventi diritto. E sullo sfondo si staglia l'ombra di gravi violazioni dei diritti umani e di una violenta repressione

da Panamá City, Panamá 

I primi dati relativi alle elezioni presidenziali tenutesi in Nicaragua il 7 novembre parlano chiaro: la vittoria di Daniel Ortega e della vicepresidente (sua moglie) Rosario Murillo è stata schiacciante.

Dietro questo apparente plebiscito ci sono però molteplici violazioni dei dirtti umani, una repressione senza precedenti, l’incarcerazione arbitraria (da maggio scorso) di 39 persone identificate dal regime come opposizione, inclusi sette aspiranti alla presidenza, e numeri che non tornano.

Elezioni Nicaragua 2021: una vittoria schiacciante?

Brenda Rocha, presidente del consiglio supremo elettorale – Cse (organo dichiaratemente orteghista) nel primo report post elezioni ha assegnato alla coppia Ortega-Murillo il 75% delle preferenze. Si tratta di un documento che, sempre secondo Rocha, rappresenta quasi il 50% delle schede scrutinate e che fa capire che non ci saranno soprese: cosa già scontata.

Al riguardo, quanto manifestato da Amnesty International pochi giorni prima del voto, lasciava poco all’immaginazione:

«Il governo nicaraguense ha cercato di eliminare e scoraggiare la competizione elettorale attraverso la detenzione arbitraria, la sparizione forzata e il perseguimento di oppositori e candidati alla presidenza, nonché l’imposizione di ostacoli alla candidatura dei principali partiti di opposizione. Ha anche vessato la stampa e violato i diritti politici, il tutto con la collaborazione del potere legislativo e giudiziario. L’escalation delle molestie, aggiunta al ricorrente abuso della forza e all’uso dell’impunità, aumenta la preoccupazione per le violazioni dei diritti umani nel contesto della mobilitazione sociale».

Al secondo posto si collocherebbe il Partito Liberale Costituzionalista (Plc) con il 14,4% dei voti, seguito dalle altre quattro formazioni politiche usate come burattini dalla coppia Ortega-Murillo per dare una parvenza di possibile opzione di voto alla popolazione: Ccn con  3,44%, Aln con 3,27%, Apre con 2,2% e Pli con 1,70%.

Il dato non ancora chiaro, e che darà la reale misura di quanto successo in Nicaragua il 7 di novembre, riguarda però l’astensione. Il governo stima circa il 65% di partecipazione elettorale (35% di astensione), mentre l’osservatorio indipendente Urnas Abiertas stima che meno del 20% degli aventi diritto avrebbe partecipato alle elezioni con un 81,5% di astensione.

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Foto: Alisdare Hickson (via Flickr)

Nicaragua: cosa stava succedendo prima delle elezioni del 7 novembre

Le denunce sulla violenza politica esercitata dal regime Ortega-Murillo sono arrivate da più parti, dentro e fuori del Paese centroamericano. Decine di migliaia di esiliati, costretti a cercare rifugio dopo la dura repressione del dissenso diventata palese nell’aprile 2018, hanno denunciato alla comunità internazionele la vera e propria purga degli avversari politici di Ortega-Murillo in atto in Nicaragua.

Un altro importante appello è stato lanciato il 3 novembre da Amnesty, Centro per la giustizia e il diritto internazionale (Cejil), Civicus, Human Rights Watch, Istituto internazionale su razza, uguaglianza e i diritti umani, l’Ufficio di Washington per gli affari latinoamericani, l’Organizzazione mondiale contro la tortura, l’ong People in Need, la Rete internazionale per i diritti umani e  Women’s Link Worldwide, con la presentazione di un manifesto con cinque ragioni che rivelano che le prossime elezioni si sarebbero tenute in un contesto di severe restrizioni quanto a diritti civili e politici.

Infine l’organizzazione Urnas Abiertas (Urne Aperte), ha monitorato e denunciato attraverso il suo Osservatorio di violenza politica in Nicaragua, 1.513 atti di violenza politica che hanno colpito 1.394 persone. Questo solo nel periodo che va dal  1° ottobre 2020 al 15 settembre 2021, escludendo quindi gli ultimi due mesi pre-elettorali dove il regime ha messo in atto una vera e propria “caccia alle streghe” contro l’opposizione.

Daniel Ortega e la repressione del 2018

Quanto avvenuto in queste elezioni è però solo l’ennesima prova del consolidamento di un regime che oramai non vuole nascondersi e che usa tutte le armi in suo possesso per eliminare ogni dissenso.

Già dall’aprile del 2018 era chiaro che Daniel Ortega, una volta riconosciuto comandante sandinista, non avrebbe lasciato il potere. La repressione fu così dura, generalizzata e letale che il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti sul Nicaragua, istituito dalla Commissione interamericana sui diritti umani, affermó che «le autorità nicaraguensi si sono impegnate in comportamenti che, secondo il diritto internazionale, dovrebbero essere considerati crimini contro l’umanità».

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Daniel Ortega, presidente del Nicaragua (via Flickr)

Elezioni Nicaragua: la morte della democrazia

A settembre 2020 venne apoprovata una legge su “Delitti cibernetici” che difatto restringeva considerevolemnte la libertà d’espressione, ad ottobre 2020, l’Assemblea nazionale controllata dal governo approvó una legge che limitava la possiblità delle ong di ricevere fondi dall’estero e nel dicembre dello stesso anno un ulterirore atto legislativo limitò ancora di più le possibili voci di dissenso e cambiò la data delle elezioni presidenziali per dare più tempo al regime di adempiere ai “preparativi”.

Il 2021 non è certo andato meglio. Ad esempio a luglio e agosto le autorità di regime hanno chiuso 45 organizzazioni non governative critiche con il governo e, come detto, le detenzioni arbitrarie hanno colpito ogni ambito del dissenso, eliminado i partiti di “vera opposizione” dalla comptezione elettorale e incarcerando o costrignendo all’esilio i possibili candidati alla presidenza.

Daniel Ortega, 76 anni, giunto al potere democraticamente 14 anni fa, si avvia dunque al suo quarto mandato presidenziale (già misconosciuto da Usa e Unione europea) in un Paese che vive una deriva democratica senza precedenti e una costante violazione delle dei diritti civili e politici.

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