Povertà in Brasile: la pandemia ingrossa le fila dei senzatetto

La gestione del presidente Jair Bolsonaro della crisi sanitaria ha contribuito a una nuova crescita della povertà in Brasile. I dati relativi a inflazione, aumento della precarietà dei lavoratori e numero dei senzatetto dipingono un Paese sempre più in difficoltà

da San Paolo, Brasile

Lungo le strade e le piazze del centro di San Paolo è facile imbattersi in gruppi di senzatetto. Persone che vivono per strada e che occupano gli spazi pubblici più disparati: dormono in una tenda nell’aiuola di una rotonda, in un parco o sotto a un cavalcavia. Quello della povertà è da sempre uno dei problemi strutturali del gigante sudamericano, ma la pandemia per il coronavirus è venuta ad ingrossare le fila dei nuovi poveri, persone di classe popolare che prima della pandemia vivevano in una situazione estremamente precaria.

La malagestione dell’emergenza da parte del governo di Jair Bolsonaro e la conseguente crisi economica che ha colpito tutto il Brasile ha reso impossibile per queste persone continuare a pagare un affitto.

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In fila per un pasto caldo all’Arsenale della speranza (San Paolo, Brasile) – Foto: ©Samuel Bregolin

Povertà in Brasile: l’Arsenale della Speranza a San Paolo

«Da sempre noi siamo un termometro di quello che succede a San Paolo, quando si crea un nuovo disagio sociale, noi siamo i primi a rendercene conto», spiega a Osservatorio Diritti Simone Bernardi, uno dei responsabili dell’Arsenal da Esperança (Arsenale della Speranza), una struttura del Sermig (Servizio missionari giovani), gestita con l’appoggio del Comune di San Paolo che dal 1996 aiuta i senzatetto della capitale paulista. L’Arsenale ha una capacità di 1.200 persone, a cui offre un letto, una doccia e un pasto caldo.

Nella città di San Paolo vivono, secondo l’ultimo censimento fatto dalla Prefettura di San Paolo circa 25.000 persone senza fissa dimora, ma secondo le associazioni del settore questa cifra supererebbe in realtà le 40.000 persone.

Secondo Simone Bernardi, dopo la riapertura e la ripresa delle attività economiche si è creata una nuova categoria di persone, lavoratori e lavoratrici che prima della pandemia avevano degli impieghi precari, informali e senza un contratto di lavoro. Persone che gestivano piccoli bar o aziende familiari, chi lavorava senza contratto nell’edilizia, chi aiutava nel carico e scarico delle merci, chi montava i palchi per i grandi eventi. Tutti profili estremamente precari che si sono ritrovati improvvisamente senza lavoro e senza alcun ammortizzatore sociale.

«Abbiamo visto anche un nuovo flusso in arrivo da Rio de Janeiro, la chiusura del turismo nella città carioca ha lasciato senza lavoro centinaia di persone», spiega Simone. Prima della pandemia, Marcelo Lopez Gonçalves faceva le consegne per una nota compagnia di birra locale a Rio de Janeiro, a causa della chiusura per il coronavirus l’azienda ha licenziato una parte dei suoi impiegati e Marcelo si è ritrovato senza lavoro, le difficoltà economiche hanno creato nuovi conflitti familiari e nel giro di pochi mesi si è ritrovato da solo e senza i soldi per poter pagare un affitto. Ritrovatosi a dormire per strada, Marcelo ha deciso di venire a San Paolo e ricominciare da zero. «Così è cambiata la mia vita, in così poco tempo, a causa della pandemia», conclude Marcelo.

Con l’inflazione cresce il numero dei poveri in Brasile

L’emergenza sanitaria e la chiusura del commercio ha ovviamente influenzato molti degli equilibri economici di un gigante come il Brasile, la cui economia si basa in buona parte sull’esportazione di materie prime. Le commodities brasiliane sono prodotti basici, come arance, legname, caffè, carne, i cui prezzi sono andati fortemente al ribasso durante il 2020.

Il rallentamento delle esportazioni influisce su tutta l’economia brasiliana, causando la caduta del Pil. Se molti in questi mesi difficili non sono riusciti a farcela, sono ancora di più quelli che affrontano situazioni che diventano ogni giorno più difficili. L’aumento del prezzo del gasolio, il cambio svantaggioso con il dollaro e un generale rallentamento dell’economia hanno risvegliato l’antica paura dell’economia brasiliana: l’inflazione.

Secondo l’Istituto brasiliano di geografia e statistica, nel mese di agosto i prezzi sono aumentati dello 0,87% e l’asticella tocca quasi il 10% di aumento su base annua. Secondo l’ultima indagine, tutto il paniere alimentare dei beni fondamentali è aumentato.

L’aiuto di 600 reais mensile, circa 95 euro, messo a disposizione dal governo brasiliano è considerato insufficiente da molte associazioni brasiliane. Inoltre, la somma totale di 98 miliardi di reais, circa 15,5 miliardi di euro, destinati agli aiuti emergenziali durante la pandemia, sono stati raccolti creando nuovi debiti statali, in un processo a catena che ha portato all’attuale incremento dei prezzi.

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Campagna di protesta contro l’aumento dei prezzi – Foto: ©Samuel Bregolin Samuel Bregolin

La crisi dell’economia brasiliana e la gestione Bolsonaro

Alcuni economisti temono che la politica economica applicata dall’esecutivo di Bolsonaro faccia deragliare il Paese dal famoso “Plan Real“, l’accordo macroeconomico firmato a metà anni ’90 del secolo scorso e sulla cui base ha potuto svilupparsi l’economia brasiliana.

Voluto dall’ex presidente Fernando Henrique Cardoso, il Plan Real fu la soluzione per bloccare l’iperinflazione galoppante in Brasile, in quegli anni molto forte ed equiparabile a quella che vive ancora oggi la vicina Argentina. Una stabilizzazione economica sulla quale si sono potute costruire varie riforme nei decenni successivi.

Ad essere sotto accusa è la cattiva gestione del governo federale. Bolsonaro ha fin dal principio negato la pericolosità del coronavirus, ha ritardato l’acquisto dei vaccini e continua a rifiutare l’uso della mascherina in pubblico. La Commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid-19 sta in questi mesi investigando sulle responsabilità del governo federale nella gestione dell’emergenza sanitaria.

Questi elementi vanno ad aggiungersi alle varie accuse di violazione dei diritti umani di cui il presidente brasiliano è accusato: il disboscamento dell’Amazzonia, la persecuzione contro i popoli indigeni e l’incremento dell’uso dei pesticidi da parte delle multinazionali dell’agribusiness. In Brasile la pandemia ha causato finora quasi 600.000 morti e la cattiva gestione dell’esecutivo di Bolsonaro durante questi mesi ha creato un clima di profonda frattura politica e sociale.

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I grattacieli di San Paolo – Foto: ©Samuel Bregolin Samuel Bregolin

Elezioni in vista: le sfide per il prossimo presidente del Brasile

In questo clima di tensione, si avvicinano le prossime elezioni presidenziali, previste per ottobre 2022. In queste settimane si sono svolti cortei a favore e contro il governo di Bolsonaro. Se il 7 settembre, giorno dell’indipendenza del Brasile, i sostenitori del presidente hanno riempito la centrale Avenida Paulista a San Paolo, il 2 ottobre sarà il turno dell’opposizione di scendere in piazza e manifestare il proprio scontento.

Secondo gli ultimi sondaggi Datafolha, le prossime elezioni presidenziali saranno dominate dallo scontro tra Lula e Bolsonaro. Dopo la sua scarcerazione, l’ex presidente Inácio Luiz Ignacio “Lula” Da Silva, è infatti tornato ad essere il favorito della prossima contesa elettorale.

Chiunque vinca le prossime elezioni, dovrà fare i conti con una società fratturata in due blocchi inconciliabili, con lo scontro globale tra Stati Uniti e Cina nel quale il Brasile dovrà prendere una posizione chiara, con la disoccupazione, con dei piani sociali quasi azzerati o ridotti al minimo e con un’inflazione galoppante.

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