Reato di tortura anche nelle relazioni di coppia: lo stabilisce la Cassazione

Una sentenza della Cassazione riconosce il reato di tortura privata per un uomo che ha inflitto sofferenze fisiche e psichiche alla campagna. La pena stabilita è di 6 anni e 8 mesi con rito abbreviato. La decisione è destinata a fare giurisprudenza in Italia nell'applicazione del reato di tortura, introdotto nel nostro codice penale nel 2017

Un marchio impresso sulla pelle con una forchetta rovente. Docce gelate e altre angherie. Umiliazioni. Cancelli sbarrati. Il termine tortura si associa in genere ad abusi commessi in campi di raccolta e carceri (da Abu Ghraib a Santa Maria Capua Vetere, con responsabilità tutte da dimostrare), alle sevizie subite da centinaia di migranti prima dello sbarco sulle nostre coste o alla ferocia di certi atti di bullismo.

Ma è una forma di tortura – tortura privata – anche infliggere a una persona acute sofferenze fisiche e psichiche nell’ambito di una relazione di coppia, superando la soglia dei “semplici” maltrattamenti (comunque inaccettabili e perseguiti e puniti).

A sancirlo è la sentenza 32380 depositata a fine agosto dalla Terza sezione penale della Cassazione e destinata a fare scuola quattro anni dopo l’introduzione di un reato specifico nel nostro codice penale (il 613 bis) e alcuni pronunciamenti pilota (in altri ambiti e in fase cautelare).

Reato di tortura, pena a 6 anni e 8 mesi (con rito abbreviato)

I supremi giudici hanno confermato la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello di Napoli, che nel 2020 aveva avallato la decisione di primo grado presa dal Gup di Santa Maria Capua Vetere, la stessa città del penitenziario degli orrori (presunti). A R.C.C., il torturatore della compagna, sono stati comminati 10 anni di reclusione, scesi a 6 anni e 8 mesi per la scelta del rito abbreviato. La pena, respinto l’ultimo ricorso dei difensori, è stata ratificata ed è diventata definitiva.

Una condanna per tortura che farà giurisprudenza

L’uomo alla sbarra era l’allora fidanzato della donna al centro di questa storia sbagliata. È stato ritenuto responsabile di maltrattamenti in famiglia (aggravati dall’aver agito per motivi abietti e futili e con crudeltà), violenze sessuali assortite (aggravate dalla relazione affettiva) e tortura privata, il capo di imputazione che ha resistito al vaglio di tre gradi di giudizio, assieme agli altri.

In sintesi, «con violenze gravi e minacce, ovvero agendo con crudeltà, l’accusato cagionava alla partner sofferenze fisiche, un verificabile trauma psichico ed una lesione personale dalle quale derivava una malattia del corpo (con 21 giorni di prognosi)».

Il tutto dopo aver tolto alla compagna la libertà di movimento, chiudendola a chiave in casa e approfittando delle ridotte possibilità di difesa.

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Scarpe rosse contro la violenza sulle donne – Foto: Pixabay

Il reato di tortura nel codice penale: un «passaggio di grande civiltà»

Commenta l’avvocata torinese Anna Ronfani, vicepresidente di Telefono Rosa Piemonte: «”Vivere con quest’uomo è una tortura” e “sono prigioniera“: sono frasi dolenti e disperanti che nei racconti delle donne accolte nei centri antiviolenza si ascoltano spesso e che sono destinate a non essere più soltanto un modo di dire, grazie alla nuova norma inserita dal legislatore nel nostro codice penale, ma il contrasto alla tortura. Un passaggio di grande civiltà».

«La Corte di Cassazione – continua Ronfani – ha ora confermato che il reato di maltrattamenti in famiglia, già esistente, può non essere sufficiente a qualificare e punire le intense sofferenze di natura fisica o psichica che possono essere inflitte in una relazione privata, in cui la crudeltà trova un limite solo nella fantasia brutale del colpevole. Siamo di fronte a un orientamento innovativo sul fronte della qualificazione delle condotte e delle contestazioni, un orientamento che peserà sulla valutazione dei casi simili in trattazione e su quelli futuri».

«Combattere il Medioevo dell’animo umano»

Continua sempre Ronfani: «La violenza che va ad aggredire intensamente il corpo e la mente di una donna e che la riduce in una condizione relazionale degradante di assoggettamento e di sconforto, privandola anche della possibilità di sottrarsi, è gravissima e molto pericolosa. Per questo è giusto chiamarla con il suo drammatico nome, per sottolineare che l’incolumità fisica e la libertà morale sono valori assoluti e diritti inviolabili, e che il Medioevo nell’animo umano è purtroppo ancora attuale e sempre da combattere».

Un racconto lungo e drammatico: il crescendo di abusi e angherie

Le pagine del provvedimento della Cassazione ripercorrono il drammatico crescendo di supplizi e angherie contro la vittima, madre di tre figli. Botte a mani nude e con oggetti lesivi, labbra spaccate e costole rotte, la testa sbattuta contro il muro, bruciature, insulti e offese, rapporti sessuali imposti, intimidazioni dirette e ai familiari, sottrazioni di soldi, privazione della libertà di movimento, telefonate controllate, messaggi spiati e cancellati, la costrizione a fare uso di droga, dieci chili di peso persi. E ancora e ancora, per giorni, settimane, mesi.

Il racconto delle vessazioni e delle atrocità documenta la condizione di totale sottomissione della donna, incolpevole, sfibrata da una relazione devastante, a lungo incapace di sottrarsi alle prepotenze per il terrore di vendette, per non rischiare la vita.

La notte tra l’1 e il 2 settembre 2018 è stato un susseguirsi di crudeltà e di sofferenze, a casa di lui. La donna non se la sentiva di fare l’amore. Il fidanzato-padrone, manesco e ossessivamente geloso, l’ha accusata di tradirlo. L’ha riempita di botte per l’ennesima volta, le ha frugato nella borsa per prendere i pochi soldi che aveva, l’ha incolpata di essere andata con un altro, come una «puttana di merda», sebbene non ci fosse nulla di vero. Poi ha preso una forchetta di metallo, l’ha scaldata sul fornello della cucina e gliel’ha impressa sul fianco sinistro, provocando un’ustione di primo grado. «Ti ho fatto proprio un bel marchio», ha commentato lui, soddisfatto.

L’interminabile elenco di crudeltà, sofferenze, minacce

La ricostruzione riportata dalla suprema Corte prosegue, senza omissioni. Non domo, l’uomo ha spogliato la compagna e per più di un’ora l’ha costretta a rimanere sotto il getto freddo della doccia. Le ha impedito di andare via, l’ha picchiata di nuovo a mani nude e con un cucchiaio di acciaio, le ha sferrato calci a tutto il corpo e pugni alla testa. L’ha obbligata a rivestirsi e a prendere la macchina per tornare temporaneamente a casa di lei. L’ha offerta agli estranei incrociati durante il tragitto.

All’arrivo ha scelto per la fidanzata abiti sexy e tacchi alti, da indossare il giorno successivo, prospettandole di mandarla a battere per una settimana lungo un vialone di Caserta. Dopo il viaggio di ritorno, scandito da minacce e intimidazioni, l’ha stuprata.  Non ancora pago, le ha imposto di cucinare e di pulire, non le ha permesso di andare a lavorare e neppure di allontanarsi da casa. Ha tenuto il cancello chiuso a chiave per ore e fino a sera ha abusato sessualmente di lei, incurante dei lamenti, del dolore, della preghiera di fare piano. E via elencando.

Il reato di tortura nel codice penale italiano dal 2017

Il reato di tortura, ricordano gli stessi supremi giudici nella sentenza, in Italia è stato introdotto con la legge 110 del 14 luglio 2017 e discende da convenzioni internazionali sottoscritte nel secolo scorso da Onu e Unione europea.

Nel nostro codice «è strutturato come delitto “a geometria variabile”: l’ambito di operatività della norma penale ricomprende sia la tortura privata (contestata al torturatore della compagna della vicenda casertana) e sia la tortura pubblica (quella che diverse procure ipotizzano per le vessazioni contro detenuti, da parte di poliziotti penitenziari)».

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Sede della corte di Cassazione – Foto: Pixabay

No a trattamenti inumani e degradanti

L’articolo 613 bis, altro passaggio della sentenza 32380, «tutela la libertà morale o psichica della persona, intesa come diritto dell’individuo di autodeterminarsi liberamente, in assenza di coercizioni fisiche e psichiche che ne limitino la libertà di movimento (personale), libertà pesantemente pregiudicata da condotte costrittive (violenze o minacce gravi oppure da una condotta commessa con crudeltà) che cagionano acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico», trattamenti inumani e degradanti, come quello inflitto alla madre di famiglia.

In difesa degli esseri umani ridotti a cose

La particolarità delle torture, rammentano ancora gli ermellini, sta nella conclamata e terribile attitudine che possiedono. E cioè quella di assoggettare completamente una persona, posta in balia dell’arbitrio altrui, trasformata da essere umano in cosa, in una res oggetto di accanimento.

Alle vessazioni fisiche si aggiunge la lesione della dignità umana, che si traduce nell’asservimento della vittima di turno, nell’arbitraria negazione dei suoi diritti fondamentali e inviolabili.

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