Terrorismo islamico: le strade parallele di violenza e religione 20 anni dopo gli attentati

«Dopo l’11 settembre 2001, in questi anni, gli occidentali hanno cercato i jihadisti, ma non si sono sforzati di conoscere la cultura dei musulmani. Hanno ridotto l’islam alla politica religiosa». A pensarla così è il professor Wael Farouq, docente di Lingua araba all'Università Cattolica di Milano

11 settembre 2021: venti anni dal tragico attacco alla Torri gemelle. L’attentato che ha cambiato per sempre la storia, segnando in modo profondo, radicale i rapporti fra Occidente e mondo islamico. Intanto, mercoledì 8 settembre, nella nuova aula bunker costruita nel palazzo di giustizia di Parigi, si è aperto un maxiprocesso storico, quello contro gli autori delle stragi perpetrate il 13 novembre 2015 allo Stade de France, al Bataclan e davanti ai ristoranti parigini. In aula erano presenti 14 imputati, fra i quali l’unico sopravvissuto dei dieci kamikaze: il franco-marocchino Salah Abdselam, da cinque anni detenuto in un carcere di massima sicurezza.

Due eventi, il ventennale dell’11 settembre e il maxiprocesso di Parigi, che portano ancora una volta a riflettere sulla definizione, molto dibattuta, di terrorismo islamico. E a tornare a domandarsi: è lecito parlare di attentati terroristici islamici? Cosa rispondere a chi ancora oggi tende a identificare il terrorismo con l’islam?

Terrorismo islamico? «La violenza in nome della religione è figlia dell’islam politico»

A riflettere sulla questione con Osservatorio Diritti è il professor Wael Farouq, egiziano, musulmano, docente di Lingua e cultura araba all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. «Dall’11 settembre del 2001 abbiamo sentito ripetere tantissime volte da parte di politici, leader, intellettuali, studiosi la stessa affermazione: che la grande maggioranza dei musulmani non è terrorista, al contrario sono loro stessi vittime del terrorismo. Chi ha più di vent’anni oggi lo avrà sentito dire mille volte. E allora, la vera domanda è: perché oggi, dopo vent’anni, dobbiamo ancora porci questa domanda?».

Farouq sottolinea che la violenza perpetrata nel nome della religione non è frutto dell’islam, bensì è figlia dell’islam politico, «fenomeno (inteso come movimento che mira all’instaurazione dello Stato islamico, ndr) nato meno di cento anni fa come opposizione all’Occidente e alla sua ideologia. I jihadisti non prendono in considerazione la realtà, la storia, il contesto, guardano solo all’ideologia, che vogliono imporre sulla società in modo totalmente avulso dal contesto storico-temporale. Ma mi dispiace dire che l’Occidente fa la stessa cosa quando parla del jihad ignorando il quadro storico. E la storia insegna che la nascita del jihadismo islamico è avvenuta negli anni Settanta in conseguenza dell’invasione sovietica dell’Afghanistan. Il jihad (inteso come “guerra santa” contro gli infedeli, ndr) è nato ed è prosperato in questi decenni perchè c’è stato sempre innegabilmente un partner occidentale. Il jihadismo si è sviluppato perché sostenuto, sponsorizzato in un contesto ben preciso da un Occidente nichilista che ha sempre guardato ai suoi interessi, non ai suoi valori».

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Wael Farouq, docente di Lingua e cultura araba all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

«Abbiamo ridotto l’islam alla politica religiosa e all’ideologia»

In questi vent’anni, dall’11 settembre 2001, si chiede lo studioso egiziano, cosa abbiamo fatto in Occidente? «Abbiamo ridotto l’islam con i suoi quindici secoli di storia esclusivamente alla politica religiosa. Abbiamo cercato i jihadisti, certo, ma quante persone, in tutti questi anni, si sono andate a leggere la poesia espressione dei musulmani? Quanti sono andati a guardare il loro cinema, o a leggere i loro romanzi? Se qualcuno lo facesse, in quelle forme di bellezza artistica troverebbe già la risposta: cioè che l’islam non si esaurisce in una politica religiosa e in una ideologia».

Dice ancora il professor Wael Farouq: «Si parla tanto dell’insieme di regole della sharia islamica (la “legge islamica”, un insieme di precetti e regole fondati sui testi sacri, ndr): ma la verità è che la sharia nell’islam è marginale e il concetto del perdono è molto più importante dell’idea della punizione. Le regole sono diventate centrali nel ‘900 con la nascita del grande movimento della Fratellanza musulmana espressione dell’islam politico».

L’indifferenza dell’Occidente verso la cultura del mondo islamico

La mancanza di conoscenza porta europei e occidentali a guardare al mondo islamico come a un monolite, tutto uguale al suo interno, senza distinguere la complessità delle civiltà, dei contesti e delle tradizioni in cui si articola. «Ma non si tratta di un problema di ignoranza», osserva Farouq, «bensì di indifferenza, che è molto peggio. Si tratta di mancanza di interesse e di curiosità verso l’incontro con i fratelli che condividono lo stesso mondo. E non parlo della gente comune, della strada, ma degli accademici, degli studiosi. Quanto spazio trova la letteratura contemporanea dei Paesi islamici nel mondo accademico occidentale? Pochissimo. In Occidente guardiamo all’islam e ce ne curiamo solo quando siamo mossi dalla paura del terrorismo. Ma quanto siamo spronati e motivati a conoscere davvero il mondo islamico, partendo dal presupposto che siamo fratelli su questo pianeta e abbiamo almeno mille anni di storia comune?».

«Il 99% dei musulmani  – ragiona il professore – non conosce la storia europea. Ma nel mondo islamico nessuno può essere definito un intellettuale se non ha studiato a fondo la civiltà e la cultura occidentale. Per i musulmani questa conoscenza è imprescindibile. Per questo io dico spesso che gli islamici hanno tutte e due le gambe, gli occidentali si reggono su una gamba sola. Quanta letteratura viene tradotta dall’arabo all’italiano e alle altre lingue europee? È un defiicit vergognoso. Questa è la realtà con cui abbiamo a che fare». L’Occidente riduce l’islam alla religione, riduce a sua volta la religione alla sharia e quest’ultima viene ridotta esclusivamente alla lettura dell’islam politico: «Come se pretendessimo di guardare un mondo attraverso un buco strettissimo».

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Memoriale del Word Trade Center di New York – Foto: Pixabay

Terrorismo islamico e attentati alle Torri gemelle: due narrazioni

Tornando all’11 settembre, il professor Farouq pone un’altra domanda: «Di quale 11 settembre parliamo? Dobbiamo sottolineare che di quel terribile evento non esiste una sola narrazione, ma due: quella occidentale e quella dal punto di vista del mondo musulmano. Se l’11 settembre ha segnato l’attacco del jihadismo all’Occidente, bisogna pensare anche a cosa è successo successivamente, alla campagna ventennale in Afghanistan fino al disastro di oggi, alla distruzione dello Stato iracheno».

Per il professore «oggi viviamo un tempo di guerra peggiore del tempo delle Crociate: allora, dentro il buio della violenza si cercò di usare la ragione e apprendere una lezione per andare avanti. Nel Medioevo l’Europa cristiana assorbì tanto dal mondo arabo-islamico per la sua rinascita e ricostruzione come civiltà. Pensiamo all’incontro di Francesco d’Assisi, allora semplice frate, con il sultano Malik al-Kāmil in Egitto nel 1219. Oggi, invece, queste guerre vengono combattute nel nome dell’indifferenza. Ciò che sta accadendo in Afghanistan ne è la dimostrazione lampante: in vent’anni il popolo non è stato aiutato a costruire un Paese, a partire dall’educazione dei giovani. E il risultato è la catastrofe che è sotto gli occhi della comunità internazionale. Lo ripeto: il dramma di fondo è l’indifferenza. E questa, purtroppo, seppellisce ogni speranza».

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