Ventimiglia: migranti, i dimenticati della pandemia

Un nuovo report getta luce sulle condizioni drammatiche dei migranti a Ventimiglia. Dove ai respingimenti e alle difficoltà di vita quotidiana, si somma ora il mancato rispetto degli standard minimi di sicurezza contro la pandemia all'interno dei container

Una sublussazione alla spina dorsale. Diceva così il referto di Amir (il nome è di fantasia) dopo la visita all’ospedale di Imperia. «Lo abbiamo portato lì, dove è stato tenuto sotto osservazione per un paio di giorni con questa diagnosi che avrebbe già dovuto essere notata alla prima visita al centro di emergenza», spiega uno degli attivisti di Progetto20k, una rete impegnata a supporto dei migranti al confine italo-francese, in una delle interviste inserite nel report “The exacerbation of a crisis” di fine luglio della ong britannica Refugee Rescue Europe sulle conseguenze della diffusione del nuovo coronavirus sui migranti a Ventimiglia.

A niente sono servite ad Amir le due visite al centro di emergenza di Bordighera, l’unico centro ligure in cui viene rilasciato il Stp, il documento necessario agli irregolari per accedere alle cure ospedaliere. Solo la visita in ospedale, accompagnato dagli attivisti, gli ha permesso di ricevere un referto realistico delle sue condizioni. Nei mesi della pandemia, infatti, «quando vengono garantite le cure, sono spesso di bassa qualità e i pazienti sono dimessi velocemente».

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Ventimiglia – Foto: @ Luca Prestia (progetto Beyond the border)

Ventimiglia, lo strenuo tentativo dei migranti di entrare Francia

Salita all’onore delle cronache pochi anni fa con la decisione del governo francese di sigillare la linea di confine, Ventimiglia ha continuato a essere uno dei punti più caldi dalle rotte migratorie in Europa. Nel 2015 decine di migranti avevano occupato i Balzi Rossi, scogliere al confine tra i due paesi europei, per rivendicare il diritto di circolazione per tutti all’interno dell’area Schengen. La protesta era rientrata, ma da lì in poi tra Italia e Francia è andata avanti una caccia al topo tra i migranti, affiancati dai solidali, e le forze di polizia, decise a presidiare la linea di confine tra Italia e Francia e a impedire il passaggio ai migranti.

Nel corso degli anni non sono mancate le denunce da parte degli attivisti e del mondo dell’associazionismo dei respingimenti messi in atto dalla polizia francese, anche di minori, degli ostacoli posti dalle autorità cittadine a migranti e solidali, senza dimenticare le morti innocenti che non hanno smesso di ripetersi lungo il confine in questi anni. L’ultimo caso è di pochi giorni fa, quando un migrante di 17 anni, originario del Bangladesh, è rimasto folgorato sul locomotore di un treno della Sncf sul quale era salito, probabilmente a Ventimiglia, per raggiungere la Francia.

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Ventimiglia – Foto: @ Luca Prestia (progetto Beyond the border)

A Ventimiglia oggi è chiusa l’unica struttura di accoglienza

Una situazione, insomma, già al limite, che la diffusione del Covid-19 non ha fatto altro che esacerbare, rendendo sempre più difficili le condizioni dei migranti a Ventimiglia. Nonostante, paradossalmente, il loro numero complessivo si sia ridotto sempre più a causa anche delle limitazioni poste al movimento delle persone durante i mesi più duri del lockdown.

Proprio a ridosso di quel periodo, i due casi di positività riscontrati all’interno del campo Roya hanno spinto le autorità italiane a  sgomberarlo: gestito dalla Croce Rossa, fino alla fine di luglio 2020 era l’unica struttura istituzionale per le persone in transito dal territorio di Ventimiglia. Una presenza importante, capace di fornire un alloggio temporaneo a centinaia di persone, nonostante le numerose criticità emerse negli anni, come le impronte digitali necessarie per accedervi o l’impossibilità di rientrarvi per una persona allontanatisi per più di tre giorni.

Dalla sua chiusura «non è stata predisposta alcuna alternativa istituzionale e le persone hanno ripreso a riunirsi in accampamenti informali intorno alla città. In centinaia hanno trascorso le notti fuori al freddo durante l’inverno senza l’accesso a acqua potabile, in condizioni igieniche precarie e senza riscaldamento», si legge nel report di Refugee Rights Europe. Senza il campo Roya, anche entrare in contatto con le donne migranti, spesso potenziali vittime di tratta, è diventato più complicato: «Le donne sono state particolarmente esposte a finire in mezzo alla tratta e il loro diritto di accedere alle procedure per l’asilo è stato compromesso».

Ventimiglia tra migranti respinti e assembramenti nei container

Nel frattempo i respingimenti al confine italo-francese sono ripresi senza sosta: dalle due persone respinte in media al giorno nel mese di aprile si è passati alle cento espulsioni giornaliere del luglio 2020 e alle 95 di marzo 2021.

Dopo il freno imposto dalla pandemia, insomma, i tentativi dei migranti di oltrepassare il confine sono ripresi: ad attenderli i soliti controlli della polizia francese, la permanenza nei container della polizia francese a Mentone e, infine, il famigerato refus d’entre. Pratiche che, nonostante i numeri ridotti, non si sono interrotte neppure nei mesi più intensi della crisi sanitaria, senza alcun rispetto delle misure di distanziamento in vigore sia in Francia che Italia. Come denunciato dagli attivisti di 20k, infatti, «nessuno standard sanitario è rispettato all’interno dei container, le persone sono stipate senza alcun accesso all’acqua potabile, senza sanificazione e senza alcun rispetto delle distanze di sicurezza».

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