L’odissea di Enrico (Chico) Forti nelle carceri americane sembra non finire mai. L’ex imprenditore e produttore televisivo, con un passato di campione di windsurf e di vela, originario di Trento, sta scontando una condanna all’ergastolo dal 2000 in Florida per l’omicidio di un uomo, Dale Pyke, avvenuto nel 1998, del quale lui è si è sempre proclamato innocente.
La sua vicenda giudiziaria – ricostruita da Osservatorio Diritti in vari articoli negli ultimi due anni – è stata viziata da lacune, errori e imprecisioni, culminando con una sentenza definitiva in cui la Corte ammette di non avere le prove che Forti sia stato l’esecutore materiale del delitto, ma di avere la sensazione che lui ne sia stato “l’istigatore”.
Le ultime notizie risalgono all’annuncio di Di Maio: «Chico Forti torna in Italia»
La giustizia americana ha sempre negato la possibilità di revisione del processo, come richiesto per sei volte da Forti (l’ultima volta nel 2009). La svolta è arrivata il 23 dicembre del 2020, con l’annuncio da parte del ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio che, dopo un intenso lavoro diplomatico fra Italia e Usa, il governatore della Florida, Ron DeSantis, ha accolto con riserva l’istanza del detenuto italiano di potersi avvalere dei benefici previsti dalla Cedu, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, essere così trasferito in un carcere in Italia e finire di scontare la pena nel suo Paese.
Tuttavia, a distanza di più di otto mesi, il rientro non è ancora avvenuto.
In attesa dell’udienza con la giustiza federale Usa
Mesi fa Forti è stato spostato presso un penitenziario per detenuti in attesa di trasferimento. Lo scorso luglio è arrivata la notizia che è stato assegnato a una divisione carceraria dove i detenuti lavorano con i cosiddetti “cani a rischio”. Forti è addetto a un giovane golden retriever da addestrare.
Ma sulla data del suo ritorno in Italia ancora nessuna novità. A fare un quadro della situazione è Lorenzo Moggio, commercialista trentino e grande amico di Forti, fondatore del Comitato “Una chance per Chico”, che da anni si impegna nel tenere desta l’attenzione sul caso. «Da quello che io so, una volta passato dalla giurisdizione della Florida a quella federale, per Chico dovrebbe essere indetta un’udienza nel corso della quale dovrà prendere atto di alcuni impegni legati al suo trasferimento in Italia, fra i quali ad esempio il fatto che non potrà mai più mettere piede negli Stati Uniti».
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Chico Forti torna in Italia: tutto rimandato per elezioni Usa, burocrazia e Covid-19
Quanto al ritardo del trasferimento, Moggio spiega che si tratta di problematiche prettamente burocratiche interne: «Le elezioni americane, i cambi dell’amministrazione, la pandemia del Covid-19 che ha rallentato tutto compresa la macchina della giustizia. Si può ipotizzare che la lentezza sia in parte anche un modo per raffreddare un po’ gli animi: bisogna ammettere che il sì all’istanza di trasferimento ha suscitato alcuni malumori all’interno dell’ambiente giudiziario di Miami e, di conseguenza, anche nell’opinione pubblica americana. Ricordiamoci che si è trattato di un processo condotto in modo profondamente sbagliato, in cui sono state volutamente ignorate prove della difesa. Comunque, ribadisco, ora è tutto in mano alla burocrazia americana. L’Italia tutto ciò che poteva fare l’ha fatto. Poi c’è stato, ripeto, il Covid, che purtroppo non dipende da nessuno». E aggiunge: «Chico tornerà in Italia, ne siamo certi. Il problema è avere una data certa».
Chico Forti, «un carattere sereno e fiducioso»: il commento di Lorenzo Moggio
Moggio racconta della lettera ricevuta qualche tempo fa da parte di Forti. «Una lettera abbastanza leggera, in cui traspare come sempre un certo buonumore. Chico è così, quando scrive agli amici non fa mai trasparire stanchezza, ansia, frustrazione. Ma credo che lui ora si senta come un leone in gabbia e che la tensione sia aumentata: adesso gli hanno aperto uno spiraglio nella porta, ma lui non riesce a spalancarla del tutto. Sa che verrà in Italia, ma questi continui rimandi per lui sono un terribile stillicidio».
Moggio conosce Enrico Forti da quando erano ragazzini, a unirli è stata la comune passione per gli sport velici. L’amicizia non è si interrotta quando Forti è emigrato negli Usa. «In questi vent’anni tutto quello che ho potuto fare per lui l’ho fatto. Nel 2000 con alcuni amici storici di Chico abbiamo lanciato il Comitato: allora sembrava che la vicenda giudiziaria si sarebbe risolta in breve tempo. Chico stesso ci telefonò dal carcere tranquillo, sereno, convinto che presto ne sarebbe uscito. Il Comitato è nato con lo scopo primario di raccogliere fondi per sostenere economicamente Enrico, dai suoi bisogni quotidiani in carcere alle esorbitanti spese legali che ha dovuto affrontare. Io sono stato a trovarlo in carcere tre volte, una volta il giorno prima di partecipare con un altro nostro amico alla gara di triathlon Ironman 70.3 di Miami, che gli abbiamo dedicato. Mi sono reso conto con i miei occhi di che cosa stesse passando in prigione. Ma la verità è che Chico si dimostra sempre allegro, fiducioso, positivo. Ha sempre avuto un carattere straordinario, riesce ad andare facilmente d’accordo con tutti ed ha la capacità di restare sempre lucido, di affrontare la sua situazione con fermezza e una forza immensa. Grazie alle sue doti, in carcere gli avevano assegnato dei compiti, come insegnare le lingue straniere ai detenuti e gestire la biblioteca. A dargli tanto coraggio è sempre stata la vicinanza costante della sua famiglia e degli amici in Italia che da qui non lo hanno mai abbandonato. Fino a pochi anni fa in pochi si interessavano alla sua vicenda e per noi era molto frustrante. Anche io ho bussato a tante porte, ma senza ricevere risposte, perché la sua storia ancora non era molto conosciuta».