India, proteste non stop dei contadini contro la riforma agricola
Da oltre otto mesi i contadini indiani sono in presidio permanente a New Delhi. Chiedono il ritiro di tre leggi che spalancano le porte del settore agricolo alle aziende private e agli interessi corporativi, a discapito dei piccoli agricoltori
La protesta più grande e duratura della storia dell’India lanciata il 26 novembre 2020 a New Delhi non accenna ad affievolirsi, anzi. Dopo mesi accampati ai confini della capitale in un sit-in permanente, organizzato e coeso, alcuni gruppi appartenenti alle molte sigle sindacali di contadini e braccianti indiani si sono spostate nella giornata del 22 luglio sotto al parlamento, nel centro della città, proprio a ridosso della sessione che cade nella stagione dei monsoni. Dopo il fallimento degli iniziali tavoli negoziali, per otto lunghi e quanto mai complessi mesi, il governo si è rifiutato di ascoltare le rivendicazioni degli agricoltori.
«Siamo qui per ricordare ancora una volta al governo che le leggi anti-contadini (così definite dai diretti interessati, ndr) devono essere abrogate per proteggere l’agricoltura indiana e milioni di contadini poveri da una completa acquisizione da parte delle grandi aziende», ha detto all’agenzia Reuters Rakesh Tikait, leader del Bharatiya Kisan Union, uno dei più grandi sindacati del settore.
«Questa è una rivoluzione, che ora è entrata nel cuore di Delhi. Molto presto spariranno anche le barricate e la polizia: i contadini e la nostra nazione otterranno libertà e un prezzo equo», ha detto ancora, mentre i contadini sono circondati da transenne e cordoni delle forze dell’ordine. Letta in prospettiva storica, la protesta degli agricoltori indiani non ha precedenti ed è una battaglia colossale contro il modello neoliberista, di esempio per il mondo intero.
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Riforma del settore agricolo al centro delle proteste in India
Nel settembre 2020 il parlamento indiano ha unilateralmente passato una riforma agricola fortemente voluta dal governo guidato dai nazionalisti hindu del Bharatiya Janata Party che, attraverso tre leggi, di fatto consegna il settore alle grandi aziende dell’agroalimentare.
Tra i principali cambiamenti introdotti dalla deregolamentazione ci sarà l’ampliamento della commercializzazione dei prodotti, finora circoscritta ai mandi (i mercati statali), che permetterebbe agli agricoltori di trattare i prezzi direttamente con le grandi aziende, oltre alle liberalizzazioni sui prezzi dei prodotti agricoli e dei relativi servizi, e sulle materie prime definite «essenziali», in un settore finora fortemente controllato dallo Stato.
Le riforme, introdotte senza consultarsi con i sindacati di categoria, distruggeranno le poche garanzie che permettevano ai contadini indiani di sopravvivere alla sofferenza del settore, che impiega oltre la metà della forza lavoro indiana. Le monocolture degli anni ’70 e le liberalizzazioni negli anni ’90, che hanno introdotto i semi ogm per aumentare la resa, hanno spinto gli agricoltori in una trappola di prestiti per poter pagare l’irrigazione, la fertilizzazione e i pesticidi. Molti agricoltori finiscono così nella morsa dei debiti: oltre 300.000 contadini si sono tolti la vita in India negli ultimi due decenni.
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La crisi dell’agricoltura indiana
La crisi agricola in India non è una novità: il settore è da decenni in sofferenza. Le difficoltà e la rabbia dei contadini sono confluite in partecipatissime manifestazioni nel 2018 e 2019 nella capitale. E, ancora prima, in quelle della fine degli anni ‘80 e primi anni ‘90 o, ancora, negli anni ’60, prima della Green Revolution.
L’ingresso delle grandi aziende nel mercato minaccia di distruggere quel poco di autonomia che gli agricoltori avevano sui prodotti dei loro raccolti. Aprendo i mercati a soggetti privati che controllerebbero i prezzi, il governo verrebbe esonerato da ogni responsabilità nei loro confronti.
Proteste India: manifestazioni dei contadini cominciate nel Punjab
La protesta contro la riforma agraria promossa dal governo guidato da Narendra Modi è iniziata negli stati del Punjab e Haryana, per poi allargarsi a tutto il Paese. Al grido di «andiamo a Delhi!», i manifestanti avevano deciso di portare le loro ragioni sotto ai palazzi del potere. Ma non appena le carovane di trattori sono arrivate ai confini della capitale per lo sciopero generale indetto il 26 novembre 2020, sono stati accolti dalla polizia che li ha caricati, impedendogli di raggiungere il centro città.
Si sono così fermati lungo i confini del territorio della capitale: un enorme accampamento di trattori e camion attrezzato per sfamare decine di migliaia di manifestanti. Lo scorso 26 gennaio, Festa della Repubblica, una marcia di trattori e contadini ha sfilato a fianco alla parata militare ufficiale, sfociando in scontri con la polizia che hanno fatto un morto.
Neanche allora il movimento è stato indebolito, anzi, ha resistito alle divisioni interne, ai tentativi dell’esecutivo di screditare il movimento, alle temperature roventi della primavera indiana, alla violenza della seconda ondata di Covid-19 e alle piogge del monsone.
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Il parlamento degli agricoltori indiani
«Durante la sessione dei monsoni del parlamento, 200 agricoltori si riuniranno ogni giorno a Jantar Mantar per tenere un parlamento degli agricoltori e ricordare al governo la nostra richiesta da tempo in sospeso», aveva dichiarato Balbir Singh Rajewal, un altro leader contadino.
Il parlamento ha terminato la sessione dei monsoni all’inizio di agosto e i contadini si sono potuti riunire nel Kisan Sansad (il parlamento dei contadini, appunto), fino al 9 agosto: la loro richiesta è il ritiro delle tre leggi.
Hannan Mollah, segretario generale dell’All India Kisan Sabha e membro del Partito comunista (marxista) indiano, ha spiegato: «Seicento contadini sono morti e sono passati otto mesi, eppure il governo non vuole discutere le leggi agricole. Oggi la nostra resistenza pacifica si evolve. Semina speranza per lavoratori, contadini e agricoltori, poiché dopo molti anni sono tutti insieme e combattono come un’unica forza per la democrazia e la dignità».
Alla base dei movimenti contadini contro la privatizzazione del settore e lo strapotere dei colossi dell’agroalimentare c’è una spina dorsale di piccoli e medi sindacati, Andolan e Kisan Union (sindacati di contadini), che accusa il governo Modi per «aver venduto il settore pubblico alle imprese».
Il ruolo delle donne nelle proteste in India
Il 26 luglio, a prendere parola al parlamento contadino allestito al Jantar Mantar, luogo designato per le proteste nella capitale, sono state le contadine indiane. Le donne sono una componente centrale della forza lavoro nei campi: quasi il 75% dei lavoratori a tempo pieno nelle fattorie indiane sono donne, eppure meno del 12% possiede terreni.
Le loro voci non sono mai mancate in questi mesi di protesta e presidio alle porte della capitale. La loro presenza, partecipe e attiva, è l’indicatore di una rivendicazione coesa, trasversale e inclusiva che valica le divisioni generazionali, di casta, religione, genere, casta e classe e non ha eguali nella storia del Paese.
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