Berta Cáceres, l’Honduras dichiara David Castillo «coautore» dell’omicidio

L'ex presidente dell'impresa Sviluppo Energetico (Desa) è stato dichiarato colpevole dalla giustizia onduregna in merito all'omicidio di Berta Cáceres, l'attivista conosciuta nel mondo per la sua lotta in difesa dell'ambiente e della comunità Lenca. Un passo importante, ma la richiesta di verità va avanti: manca ancora all'appello chi ha pianificato il crimine

Quello che molti chiedevano fin dai quei drammatici giorni di marzo 2016 è finalmente successo: Roberto David Castillo Mejía, ex presidente dell’impresa Sviluppo Energetico SA. (Desa) è stato dichiarato colpevole dalla giustizia onduregna. Il tribunale competente ha stabilito a luglio che Castillo è stato coautore dell’assassinio dell’attivista Berta Caceres.

Successivamente, nell’udienza di martedì 3 agosto, il procuratore generale ha chiesto per Castillo la pena massima di 25 anni, mentre la difesa ha chiesto la pena minima, stabilita in 20 anni.

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“Tu hai la pallottola, io la parola. La pallottola muore dopo la detonazione, la parola vive moltiplicandosi”, Berta Cáceres – Foto: Fotomovimiento (via Flickr)

La reazione della famiglia di Berta Cáceres e di Amnesty

Già lunedì 5 luglio, fuori dal tribunale le lacrime e la gioia dei tanti attivisti e della comunità indigena Lenca, riunitasi per l’occasione, erano incontenibili. “Berta non è morta”, “Berta si è moltiplicata”, sono alcune delle consegne gridate fuori dall’aula della Corte Suprema di Giustizia dell’Honduras, dove nel frattempo veniva dichiarato colpevole Roberto David Castillo Mejía e sancita la definitiva responsabilità della Desa nell’assassino di Berta Cáceres.

La figlia dell’attivista uccisa nel 2016, Berta Zúñiga Cáceres, conosciuta anche come “Bertita”, ha parlato di una vittoria popolare e di un passo avanti verso la fine dell’impunità nel Paese. Ha poi aggiunto:

«La sentenza significa che le strutture di potere non sono riuscite a corrompere la giustizia. (…) Il caso non si chiude con questa risoluzione, ma è finalizzato a consegnare alla giustizia la famiglia Atala (…). Continuiamo inoltre ad esigere la cancellazione del progetto di costruzione della centrale idroelettrica e la disarticolazione della rete criminale portata alla luce durante questo processo».

Bertita ha insistito, anche dopo l’udienza del 3 agosto, sulle responsabilità di Jacobo Nicolás Atala Zablah, all’epoca vicepresidente di Desa, attualmente secondo vicepresidente della banca Bac Honduras e membro di una delle famiglie d’affari più ricche del Paese: gli Atala, appunto.

Dal canto suo, Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe (ong che ha appoggiato la famiglia Cáceres fin dall’inizio), ha dichiarato:

«Il tanto atteso processo contro Roberto David Castillo Mejía, accusato di essere coautore dell’omicidio di Berta Cáceres, è un passo importante verso la giustizia ed è inoltre il risultato degli instancabili sforzi della sua famiglia e del Copinh per garantire verità, giustizia e riparazione. Tuttavia, non ci sarà mai piena giustizia per Berta fino a quando tutti coloro che hanno partecipato al crimine, compresi quelli che lo hanno pianificato, non saranno assicurati alla giustizia».

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Berta Zúñiga Cáceres, figlia di Berta Cáceres – Foto: UN Women/Ryan Brown (via Flickr)

Chi ha ucciso Berta Cáceres: morte della leader ambientalista

Berta Isabel Cáceres Flores venne assassinata nella sua casa a Intibucá, in Honduras, la notte tra il 2 e 3 marzo 2016. Alle 23.45 dei sicari fecero irruzione nella dimora della leader indigena Lenca situata nel quartiere La Esperanza, nella quale era ospite per la notte anche l’attivista messicano Gustavo Castro.

Berta, svegliatasi di soprassalto, riuscì solo a dire «Chi va là!» prima di essere raggiunta e freddata dai colpi di pistola sparati da Edilson Atilio Duarte Meza, l’esecutore materiale dell’assassinio. I sicari però non avevano messo in conto la presenza di Castro e così uno di loro, Elvin Rápalo, sparò anche al messicano. Castro si finse morto e riuscì più tardi a chiamare aiuto.

Finiva in quel modo tragico una lotta che Berta aveva iniziato nel 1993, anno della fondazione del Copinh – Consiglio civico delle organizzazione indigene e popolari dell’Honduras. Cáceres aveva speso la sua vita per difendere la natura e, nello specifico, il fiume Gualcarque nel territorio ancestrale della sua comunità indigena di appartenenza, quella dei Lenca.

Il progetto della centrale idroelettrica Agua Zarca minacciava la vita di quell’ecosistema e Berta aveva guidato le comunità in una battaglia tout-court per fermare il progetto che però aveva già ricevuto sia l’avallo statale che investimenti esteri miliardari.

La Desa, una società anonima onduregna creata per approfittare degli ingenti investimenti stranieri per lo sfruttamento delle risorse naturali del Paese nel 2008, non poteva e non voleva fare un passo indietro e decise di seguire la via della violenza per eliminare alla radice il “problema” Berta Cáceres.

Biografia di un processo

Il processo a Roberto David Castillo Mejía, iniziato il 6 aprile scorso, si è svolto in un clima di tensione e di sfiducia da parte della popolazione rispetto al sistema di giustizia onduregno. Basti ricordare che la Corte interamericana dei diritti umani (Cidh) aveva intimato fin dal luglio 2009 allo Stato dell’Honduras di implementare delle misure di protezione per Berta, in relazione alle già numerose minacce di morte subite dall’attivista. Misure incompiute e che hanno agevolato l’assassinio di Berta.

Inoltre, proprio tre giorni prima dell’inizio del processo all’ex dirigente della Desa, due figlie della defunta attivista, Bertha e Laura Zúniga, furono arrestate con un pretesto dalla polizia onduregna nella località di Santa Rosa de Copán.

La difesa di David Castillo ha provato a dilatare l’iter processuale il più possibile, così come era già avvenuto per il processo che portò alla condanna degli autori materiali e i mandanti dell’omicidio il 28 novembre 2018.

Inoltre, secondo il Copinh, il tribunale non avrebbe tenuto conto di numerose prove fornite dal Gaipe (un gruppo di avvocati internazionali contrattato dalla famiglia di Berta) che dimostravano importanti “errori” nell’indagine sviluppata dalle forze dell’ordine nel 2017, implicando anche agenti dello Stato nell’omicidio.

L’udienza del 3 agosto 2021 segna un ulteriore avvicinamento alla lettura della condanna definitiva. Il procuratore generale ha chiesto la pena massima di 25 anni (richiesta anche dalla famiglia dell’attivista), mentre la difesa di Castillo Mejía ha perorato la causa della pena minima che corrisponderebbe a 20 anni di carcere.

Data la complessità del giudizio e la sua trascendenza nazionale e internazionale, la Corte ha già fatto sapere che per il verdetto finale sarà necessario un tempo superiore ai 5 giorni canonici (probabilmente 30 giorni).

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Manifestazione contro l’omicidio di Berta (aprile 2016) – Foto: Daniel Cima (via Flickr)

Essere difensori dei diritti umani in Honduras

Berta, però, purtroppo non è stata l’ultima persona ad essere uccisa in Honduras per aver difeso il territorio e le risorse naturali. Amnesty International ha denunciato infatti il sequestro, avvenuto il 18 luglio 2020, da parte di persone che indossavano identificavi della Direzione della polizia investigativa (Dpi), di quattro attivisti Garífuna membri dell’Organizzazione fraternale nera dell’Honduras (Ofraneh).

Ad oggi i quattro attivisti risultano desaparecidos. Si tratta di una macabra consuetudine nel paese centroamericano che primeggia nelle speciali e terribili classifiche redatte dalle ong specializzate sulle violenze ai difensori dei diritti umani e dell’ambiente.

Secondo il consueto report annuale dell’ong irlandese Frontline Defenders nel 2020 l’Honduras si trovava al 3° posto per numero di omicidi ai danni dei difensori dei diritti umani, con 20 casi riconosciuti. La situazione è ancora peggiore se restringiamo il campo ai difensori della natura, dove scopriamo che l’Honduras ha il più alto tasso pro-capite al mondo di omicidi di difensori dell’ambiente (report di Global Witness, luglio 2020). Avevamo denunciato questa tremenda situazione proprio dalle pagine di Osservatorio Diritti nel febbraio 2021, nell’articolo “Honduras sempre più pericoloso per i difensori dei diritti umani“.

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Foto di gruppo per la firma dell’Accordo di Escazú – Foto: Cancillería Argentina (via Flickr)

L’Honduras non ancora firmato l’Accordo di Escazú

A peggiorar la situazione anche il fatto che l’Honduras fa parte dei paesi che non hanno ancora firmato l’accordo di Escazú, entrato in vigore giovedì 22 aprile 2021, giornata internazionale della Terra. Si tratta di un pioneristico strumento giuridico regionale che, tra le altre cose obbliga gli Stati firmatari a «prevenire, indagare e punire attacchi, minacce o intimidazioni» contro i difensori dell’ambiente.

Su questo punto, sempre Erika Guevara-Rosas, sottolinea: «Il governo dell’Honduras sembra guardare dall’altra parte quando i difensori dei diritti umani vengono attaccati invece di adempiere all’obbligo di proteggerli. Le autorità devono prendere sul serio la questione e fare tutto il necessario per salvaguardare e difendere l’integrità fisica dei difensori dei diritti umani, affinché un crimine come l’omicidio di Berta Cáceres non si ripeta mai più»

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