Bielorussia, la dittatura un anno dopo: il regime colpisce Olimpiadi e ong
Il 9 agosto 2020 Aleksander Lukashenko si autoproclamava presidente della Bielorussia, malgrado il mancato riconoscimento internazionale e le proteste. Un anno dopo l'ultimo dittatore d'Europa torna alla carica con nuovi arresti di difensori dei diritti umani
L’ombra del regime bielorusso arriva fino alle olimpiadi in corso in Giappone. L’atleta Kristina Timanovskaya, arrivata a Tokyo per gareggiare il 2 agosto nella gara dei 200 metri, ha denunciato infatti un tentativo di rapimento ai suoi danni: dopo aver criticato attraverso il suo account Instagram i dirigenti sportivi della Bielorussia per averla costretta ad iscriversi anche alla staffetta 4×400 metri, alla sportiva sarebbe stato intimato di rientrare a Minsk con un volo della Turkish Airlines il 1° agosto.
Olimpiadi, Bielorussia senza consenso
A questo punto, però, l’intera comunità olimpica si è schierata dalla parte della Timanovskaya, che è stata portata in un “ambiente sicuro”, come dichiarato dallo stesso Comitato olimpico internazionale.
Diversi paesi, tra cui la Polonia, hanno inoltre proposto alla donna protezione internazionale. Nel pomeriggio del 2 agosto la polizia giapponese ha scortato la velocista all’ambasciata polacca.
Quanto avvenuto negli ultimi giorni alla Timanovskaya, del resto, non è che l’ultima conferma di una situazione in costante peggioramento da un anno a questa parte, ossia dal 9 agosto 2020, quando Aleksander Lukashenko, l’ultimo “dittatore d’Europa”, si autoproclamava presidente della Bielorussia, malgrado il mancato riconoscimento delle istituzioni internazionali e le proteste.
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Bielorussia, difensori dei diritti umani in carcere
«Mio marito Valiantsin è stato arrestato il 14 luglio, da allora non l’ho più visto né sentito. Solo il suo avvocato l’ha potuto vedere e dice che per ora non è stato torturato. Già questo è un piccolo miracolo», racconta a Osservatorio Diritti Alina Stefanovich.
Suo marito è il portavoce dell’ong Viasna che si occupa di dare assistenza e sostegno ai prigionieri politici. Arrestati con lui anche i colleghi Ales Bialiatski, Ulazdimir e Nina Labkovich.
Chi si oppone alla dittatura di Lukashenko vive nel terrore
Viasna ha coordinato nell’ultimo anno di proteste contro il regime di Lukashenko una rete di attivisti per sostenere a livello giuridico ed economico le persone incarcerate come prigionieri politici. «Ufficialmente è stato arrestato perché accusato di star preparando delle azioni di terrorismo contro il governo. Un’accusa irreale, visto che mio marito non ha mai organizzato nulla. Il governo ha deciso di arrestare tutti i leader delle associazioni per minare ancora di più la forza del movimento nato per la libertà del paese», continua Alina, che nelle ore successive all’arresto del marito ha deciso di espatriare per scappare e tutelare i figli.
Per Alina questo clima di terrore e persecuzioni è simile alla Seconda guerra mondiale in Europa, una caccia ai dissidenti simile alla caccia degli oppositori politici di Hitler.
«Vivi con l’ansia che ti bussino alla porta e ti portino via, sai che la tua vita dipende da un giudice pagato dal dittatore. È la paura della guerra, ma noi non siamo in guerra e io mi aspetto che nel ventunesimo secolo queste situazioni cambino per volere internazionale, che qualcuno ci aiuti».
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Bielorussia, il regime attacca la stampa
L’associazione di Stefanovich è stata dichiarata illegale insieme ad altre 40 associazioni e giornali indipendenti. Nei giorni precedenti l’arresto di Stefanovich diversi giornalisti erano stati arrestati, portando a 33 il numero di prigionieri politici tra i rappresentanti dei media.
Viasna è arrivata a contare in tutto oltre 36 mila arresti in questo anno di proteste, persone entrate in carcere per pochi giorni e accusate di reati minori.
Barys Haretski, giornalista e vice presidente dell’Associazione giornalisti bielorussi (Baj) è intervenuto alla conferenza stampa promossa dalla Federazione italiana diritti umani, dal deputato Roberto Rampi e dall’associazione Supolka, per raccontare la situazione dei suoi colleghi.
«Nelle ultime due settimane la polizia ha distrutto tutti i media indipendenti rimasti nella capitale e nel paese, ci sono state 66 perquisizioni nelle redazioni. Uno dei nostri colleghi è accusato di alto tradimento e rischia fino a 15 anni di reclusione».
Processati i candidati alle elezioni
A metà luglio Viktar Babaryko, imprenditore e leader dell’opposizione arrestato a giugno 2020, pochi giorni prima della consegna delle firme per la sua candidatura a presidente, è stato condannato a 14 anni di reclusione per corruzione. Il suo processo, durato pochi giorni dopo una detenzione di oltre un anno, è stato condotto in un’aula della corte suprema senza l’accesso del pubblico.
Il giorno della sentenza alcuni familiari hanno potuto assistere alla conferma della condanna e hanno applaudito alle parole di Babaryko quando si è dichiarato innocente. Anche il blogger Sergei Tikhanovsky, marito dell’attuale leader dell’opposizione Svetlana Tsikhanouskaya, dopo un anno di detenzione ha visto iniziare il proprio processo in un’aula bunker nel carcere di Homel. Insieme a lui, altri sei oppositori politici, tra cui il giornalista Ihar Losik.
Giornata mondiale a sostegno delle donne in Bielorussia
Il 16 luglio 2021 è stata indetta la giornata internazionale per sostenere le donne che combattono contro la dittatura del presidente Aleksander Lukashenko. Una data simbolica, che ricorda la scelta di Veranika Tsapkala, moglie dell’oppositore Valer Tsapkala, Svyatlana Tsikhanouskaya e Maryya Kalesnikava di unire le loro tre candidature presidenziali nel 2020 per sostenere la Tsikhanouskaya. Tre leader politiche diventate emblema della lotta pacifica e resistente, caratteristica di questa rivolta popolare.
Maryya Kalesnikava è detenuta per aver collaborato nella campagna presidenziale di Babaryko. Il suo processo è iniziato il 4 agosto e rischia fino a 12 anni.
Veranika Tsapkala, dopo aver tentato di rappresentare il marito nelle proteste di piazza, ha deciso di espatriare in Polonia per evitare l’arresto.
Svyatlana Tsikhanouskaya porta avanti ora da sola il sogno delle tre donne e ha deciso così di dedicare alla forza femminile bielorussa una giornata di sensibilizzazione. «Oggi ringrazio tutte quelle donne che non si sono mai arrese, marciano tutti i giorni indossando i colori della Bielorussia e combattono per le nostra libertà», ha scritto la leader dell’opposizione in un tweet.
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Sanzioni internazionali e studenti in carcere
A un anno dalle contestatissime presidenziali, la Bielorussia è colpita dal quarto pacchetto di sanzioni economiche. Tra le 78 persone colpite compaiono due rettori e un prorettore delle università statali di Minsk.
Una reazione agli arresti di 492 studenti, incarcerati per motivi politici, e 56 professori, che hanno perso il lavoro per le loro idee politiche.
La risposta del regime a queste imposizioni economiche è stata eclatante e ha portato alla condanna di 11 studenti e una professoressa a 2 anni e mezzo di carcere per aver partecipato alle proteste di piazza. I rettori hanno monitorato le assemblee interne alle facoltà nei mesi seguenti le elezioni di agosto 2020 e hanno segnalato alla polizia di Stato i leader dei movimenti studenteschi.
La Bielorussia chiude i confini per arginare la protesta
La decisione del presidente Lukashenko di chiudere i confini per ostacolare la fuga dei dissidenti e l’accesso degli attivisti internazionali ha visto la creazione di un’organizzazione internazionale senza precedenti.
Maxim Parshuto è uno dei coordinatori di questo movimento nato dal desiderio di centinaia di bielorussi esuli di protestare alle frontiere. «Abbiamo organizzato settimane di proteste pacifiche lungo la linea di confine polacca, lituana e ucraina. Abbiamo creato dei presidi con bandiere, foto e striscioni per tenere alta l’attenzione internazionale sul nostro paese perché non è possibile tenerci lontani dalla Bielorussia», racconta a Osservatorio Diritti.
Per alcune settimane tra giugno e luglio le città di confine polacche Bobrovniki, Kuznitsa, Kozlovichi e Terespol si sono riempite di tende e manifestanti. «Non è pensabile che i treni merci con le forniture industriali abbiano i lasciapassare e i cittadini bielorussi che non appoggiano il regime rimangano senza documenti. Chiediamo alla comunità internazionale di aprire i nostri confini e farci tornare a casa», chiede Parshuto.
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Il cielo sopra Minsk, il documentario di Giroffi e Sceresini
I giornalisti Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini sono riusciti a entrare a metà maggio nel Paese spacciandosi per turisti. «Abbiamo nascosto i nostri profili social ed evitato di chiedere visti di lavoro. Volevamo andare per riprendere la realtà ed è stata davvero un’esperienza difficile», racconta a Osservatorio Diritti Lorenzo Giroffi, giornalista abituato a raccontare i conflitti armati in giro per il mondo.
Sono riusciti così a realizzare “Il cielo sopra Minsk“, un documentario, prodotto dalla Rai e visibile su Raiplay, con diversi protagonisti. Come Sergei, ex poliziotto che ha buttato nell’immondizia la sua divisa dopo gli scontri di piazza nell’estate 2020 ed è attualmente in carcere.
Il video racconta anche di Julia, ex modella tornata a Minsk per aiutare il suo popolo vendendo braccialetti con i colori della bandiera originale rossa bianca. «Abbiamo usato telefonini e una reflex da turisti per riprendere tutto, abbiamo seguito le proteste fuori dal tribunale quando gli studenti sono stati condannati e abbiamo conosciuti i ragazzi della tv Belsat pochi giorni prima del loro arresto», prosegue Giroffi, che da alcuni giorni cerca di raccontare sui social la figura di Julia, arrestata nuovamente a metà luglio. I due giornalisti hanno dovuto anticipare di due settimane il loro rientro in Italia, con l’ultimo volo utile prima della chiusura delle tratte internazionali, perché erano entrati a contatto con attivisti poi arrestati. «Abbiamo capito che era il caso di fuggire via prima di farci trovare nel Paese. Noi siamo potuti tornare a casa, mentre Julia no ed ora è in carcere», conclude Giroffi.