Haiti: ucciso il presidente Jovenel Moise, l’isola è nel caos
Con l'omicidio del presidente Moise l'isola caraibica precipita in una spirale di instabilità, violenza e povertà endemica. Che peggiorano un contesto di violazione dei diritti già gravemente compromesso
da Medellin, Colombia
Magnicidio ad Haiti: un commando armato è entrato nella notte tra il 6 e il 7 luglio nella residenza di Jovenel Moise, presidente della repubblica di Haiti, assassinando lui e ferendo gravemente la moglie Martine Moise.
Un attacco al simbolo delle istituzioni del Paese, che segna l’apogeo della violenza in uno Stato considerato fallito, in preda a bande armate e la cui popolazione è sottoposta ad una violenza multidimensionale senza eguali.
Impunità, corruzione delle forze dell’ordine ed estrema povertà segnano la vita quotidiana di coloro che sono sopravvissuti al devastante terremoto del 2010 e che ora devono affrontare anche la pandemia.
Haiti, presidente ucciso in casa
Uomini armati, che parlavano inglese e spagnolo, hanno realizzato un attacco all’1 di notte di mercoledì 7 luglio nel domicilio del discusso presidente haitiano Jovenel Moise, nel quartiere Pelerin, a Pourt-au-Prince, la capitale del Paese. Jovenel, 53 anni, è stato ferito mortalmente mentre la moglie è stata gravemente ferita.
Il politico indipendente Claude Joseph, primo ministro appena licenziato da Moise, ha assunto la carica di presidente ad interim (il suo successore avrebbe dovuto giurare nel pomeriggio del 7 luglio, ma la cerimonia è stata sospesa) e ha cercato di tranquillizzare il paese con comunicati che garantiscono la continuità delle funzioni dello Stato. Era stato proprio Joseph, nelle prime ore di mercoledì 7 luglio, a comunicare al Paese quanto successo a Moise:
«All’una del mattino un gruppo di persone non identificate, che parlava in spagnolo e inglese, ha assassinato il presidente della repubblica. Il presidente è morto per le ferite riportate».
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Storia di una crisi politica: dalle elezioni del presidente Jovenel Moise a oggi
Quanto successo definisce l’apogeo di una crisi politica e istituzionale che ha tenuto in ostaggio i diritti della popolazione haitiana negli ultimi anni, provocando una recrudescenza della violenza e un vero e proprio caos. Nel contesto delle elezioni del 2015, le accuse di frodi elettorali proprio a favore di Moise, hanno scosso Haiti, che è stata percorsa da una intensa e prolungata ondata di protesta e di violenza, che non si è placata neanche con l’arrivo del Covid-19.
Le manifestazioni di protesta crearono una situazione di disequilibrio istituzionale che portarono all’insediamento come presidente ad interim di Jocelerme Privert. Privert assunse l’incarico il 14 de febbraio 2016, traghettando il paese nella seconda tornata elettorale avvenuta nel novembre di quell’anno e passando poi il testimone, 7 febbraio 2017, al vincitore delle contestate elezioni presidenziali: il defunto Jovenel Moise.
In quel processo elettorale, iniziato 5 anni dopo il devastante terremoto del 2010 che aveva provocato il peggior disastro umanitario della storia, la maggior parte della popolazione haitiana però non aveva partecipato. Moise risultò il vincitore della contesa, sbaragliando ben 26 opponenti (il ballottaggio fu contro Jude Célestin), ma nelle votazioni della seconda tornata elettorale votò solo il 21% degli aventi diritto. Un chiaro segnale di scoraggiamento e sfiducia verso le istituzioni, in mano a poche famiglie dell’élite dell’isola, che hanno creato una situazione che molti analisti definiscono “neocolonia”.
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Criminalità e violenza, un’isola pericolosa
La violenza sull’isola ha raggiunto livelli che minano alla base la convivenza sociale e il normale svolgimento della vita dei cittadini. Interi quartieri della capitale sono in mano a bande armate che occupano il territorio e dettano la propria legge. La polizia in molti casi è connivente con le bande criminali, garantendo loro una quasi totale impunità.
Lo stesso Claude Joseph, aveva dichiarato, dopo l’assassinio il 30 di giungo scorso dell’attivista politica Marie Antoinette Duclaire e del giornalista Diego Charles nel quartiere di Christ-Roi (Port-au-Prince) che il governo «condanna con veemenza queste azioni abominevoli e la violenza indiscriminata che seminano disordini e lutto in tutti i settori della popolazione haitiana».
Povertà dilagante ad Haiti: migliaia di donne e bambini diventano sfollati interni
I dati al 24 di giugno forniti dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) chiariscono in modo inequivocabile l’impatto che la situazione di violenza e instabilità sta avendo sulla popolazione.
L’Oim parla infatti di 17.105 civili sfollati a causa degli scontri delle bande armate nell’area metropolitana di Port-au-Prince. Uomini, donne e bambini costretti a lasciare le loro case per l’aumento degli scontri e dei morti “collaterali”.
Anche l’ong Medici senza frontiere ha dovuto chiudere temporaneamente il suo ospedale di emergenzasituato a Martissant, all’ingresso sud di Port-au-Prince, dopo aver subito il 26 giugno scorso un attacco armato. La zona è infatti diventata campo di battaglia dei gruppi armati Grand Ravine e Ti Bois, che approfittano della complicità o impotenza della polizia, per disputarsi il controllo dell’area.
Proprio nella scheda paese di Haiti sul sito web dell’organizzazione umanitaria, in riferimento all’ospedale di Martissant si legge: «Il nostro centro di emergenza e stabilizzazione a Martissant, un’area suburbana gravemente colpita dalla violenza delle bande, ha curato circa 29.450 persone al pronto soccorso, 2.670 delle quali per lesioni legate alla violenza».
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Lotta per il potere a Port-au-Prince: l’incarico del presidente
Jovenel Moise aveva accusato nel febbraio scorso l’opposizione di stare ordendo un colpo di Stato contro di lui. Il paese ha iniziato infatti questo 2021 con una frizione politica senza precedenti che vedeva da un lato il defunto Moise asserire che il suo mandato sarebbe terminato nel 2022 e la Corte suprema di giustizia, insieme alle forze politiche dell’opposizione, controbattere che il mandato era invece scaduto proprio nel febbraio 2021.
Una situazione di muro contro muro, aggravata dal fatto che il parlamento era stato sciolto nel 2020 e che durante l’ultimo anno Moise aveva governato per decreti.
Lo stesso Moise aveva fatto arrestare a febbraio 23 persone, tra cui proprio un giudice della Corte suprema, Yvickel Dabrézil. Questo aveva provocato il riaccendersi delle proteste e aveva fatto ritornare alla mente al popolo di Haiti, il periodo delle dittature dei Duvalier: François Duvalier (Papa Doc) dal 1964 al 1971 e poi suo figlio Jean-Claude Duvalier (Baby Doc) dal 1971 al 7 febbraio 1986.
Jovenel Moise voleva cambiare la Costituzione e per questo aveva iniziato un processo di riforma che vedeva nel referendum del 26 di settembre 2021 (stesso giorno delle elezioni presidenziali che Moise boicottava) il suo asse centrale. Una delle modifiche più polemiche della riforma era propria riferita alla possibilità per il presidente di ricandidarsi per un secondo mandato.
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Cosa può accadere ora ad Haiti
Ora il primo ministro (appena licenziato) Claude Joseph ha assunto le redini del paese, in mancanza del legittimo successore, che sarebbe stato il presidente della Corte suprema di giustizia, René Silvestre, morto però pochi giorni fa per Covid-19. Joseph avrebbe dovuto lasciare l’incarico a favore del neo-nominato Ariel Henry, che però non ha ancora giurato come primo ministro.
In una situazione sempre più caotica, sull’isola è stato dichiarato lo stato di emergenza che pone in allerta massima tutte le forze di sicurezza. Fuori dai palazzi della politica rimane una popolazione stremata, con un tasso di povertà del 60%, vittima di ogni tipo di violenza e in passato, come raccontato proprio su Osservatorio Diritti, anche degli abusi della cooperazione internazionale.