Accam Busto Arsizio: l’inceneritore delle polemiche alla svolta
Si decide in questi giorni la nuova gestione dell'inceneritore Accam di Busto Arsizio. Un impianto che dal 1970 solleva contestazioni da parte dei cittadini, preoccupati per la salute a causa delle emissioni nocive
Sono giorni cruciali nei comuni del basso Varesotto e nell’alto Milanese. In queste settimane i consigli comunali stanno decidendo le sorti di uno dei 13 impianti di incenerimento rifiuti dislocati nella regione Lombardia.
Dopo Busto Arsizio, anche Legnano ha approvato sabato 26 giugno l’atto di indirizzo che autorizza la società partecipata Amga a partecipare alla costituzione di una newco insieme ad Agesp e Cap Holding.
L’impianto in questione è Accam, associazione consortile dei comuni dell’alto milanese che da anni scatena polemiche a non finire tra i cittadini, preoccupati per il rispetto del loro diritto alla salute. Manifestazioni di protesta e incontri pubblici si stanno organizzando a ritmo incessante nelle ultime settimane.
Prima del consiglio comunale in piazza San Magno a Legnano si è svolta una manifestazione di protesta organizzata dal comitato No Accam, per dire no all’inceneritore. Non tutti i comuni sono d’accordo su quel piano. Non lo sono Rescaldina, Canegrate, Castano Primo. Non lo sono i comitati nati spontaneamente negli ultimi anni.
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Accam, l’incendio del 2020 distrusse le turbine dell’inceneritore
L’inceneritore Accam si trova nella parte più a sud del comune di Busto Arsizio, nel quartiere di Borsano, al confine con Magnago. Accam è nata nel 1970 quando i comuni di Busto Arsizio, Gallarate, Legnano, Nerviano e Samarate diedero vita a un consorzio con l’obiettivo di studiare, programmare e costruire impianti di smaltimento rifiuti alternativo alle discariche. Con il passare degli anni i comuni coinvolti sono diventati 27, mentre il consorzio è diventato società per azioni e, nel 2009, la gestione è stata appaltata ad Europower.
Nel mese di gennaio 2020 si è verificato un incendio che ha coinvolto le turbine. Un episodio molto grave perché senza quelle due turbine l’impianto è tornato ad essere un inceneritore puro, senza recupero di energia. A questo si è aggiunta la scoperta che l’impianto non era nemmeno sotto copertura assicurativa. Tutti, nessuno escluso, riconoscono che Accam ha creato problemi a non finire.
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Comitati no Accam per la chiusura dell’impianto di Busto Arsizio
Quello su cui si diverge è come continuare. «Nel 2015 l’assessore regionale all’Ambiente, Claudia Terzi, dichiarava che l’inceneritore di Busto Arsizio andava chiuso, ma evidentemente i costi di rescissione erano troppo elevati e così si è continuato ad allungare la vita di Accam, che ha accumulato passività notevoli e, negli ultimi due anni, ha anche smaltito rifiuti ospedalieri provenienti da fuori regione», commenta Stefano Marchionna del comitato No Accam.
«Abbiamo cercato di sensibilizzare le forze politiche in campo, ma sembra che l’unico obiettivo sia quello di eludere la responsabilità di chi ha portato l’inceneritore sull’orlo del fallimento».
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Cap Holding, Agesp e Amga: tre società per evitare il fallimento
Il piano consiste, inizialmente, in un apporto di capitali pubblici da parte di Agesp, Amga e Cap Holding. Capitali finalizzati anzitutto ad evirare il fallimento. Successivamente nascerà la newco con conseguente estromissione dei comuni dalla partecipazione e dalla gestione.
L’avvocato Franco Brumana, consigliere comunale a Legnano e membro del comitato No Accam, ha affermato, in un recente incontro pubblico, che nel sottosuolo è emersa dalle analisi la presenza di diossina, mercurio, piombo, pcb, zinco. Ma non sono state svolte indagini nelle aree circostanti.
La preoccupazione dei cittadini è salita notevolmente, anche grazie ad una diversa sensibilità ambientale rispetto al passato, e non è certo il rapporto di Ats Città Metropolitana di Milano e Ats Insubria datato 2016 a tranquillizzarli.
Venne svolta un’analisi sulle patologie riscontrate nei residenti dell’area attorno al termovalorizzatore che, se da una parte rilevò l’incremento del 10% di ricoveri per cause cardiovascolari per gli esposti agli ossidi di azoto e di un 20% per il biossido di zolfo, non arrivò alla conclusione di associare tali dati direttamente all’attività dell’impianto.
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La posizione del sindaco di Legnano, Lorenzo Radice
Il sindaco di Legnano, Lorenzo Radice, prende una posizione favorevole al piano, ma ammonisce: «Non è un piano di salvataggio. Il lavoro che abbiamo svolto negli ultimi mesi era quello di arrivare a un piano di sviluppo che preveda delle tutele importanti. Partiamo da un piano serio parlando di quanti soldi servono per arrivare davvero alla chiusura dell’impianto nei prossimi anni».
Il piano prevede una data: il 19 aprile 2022. Entro quel giorno le tre società dovranno aver presentato un piano di sviluppo con i relativi investimenti. Si parla di numeri importanti. «Un piano che preveda maggiori controlli ambientali, partecipazione della popolazione al controllo inquinanti, ammodernamento dei filtri. Insomma, tutti i miglioramenti che la tecnologia ci consentirà di ottenere. Parliamoci chiaro: la procedura liquidatoria porterebbe all’ingresso di un privato che userebbe l’impianto per lo smaltimento dei rifiuti sanitari. Eventualità che vorremmo evitare».
L’accordo prevede anche la costituzione di un cosiddetto Rab (Residential Advisory Board), ovvero un organismo partecipato da associazioni, comitati, politici locali, cittadini, che avrà il compito di controllare l’attività e l’impatto ambientale. «Le posizioni con i comitati sono ancora molto distanti – conclude il primo cittadino – mi auguro che al di là di tutto si riesca ad aprire un canale di dialogo per il bene di tutti».
“La procedura liquidatoria porterebbe all’ingresso di un privato” ?
Non ci credo che lo avete scritto davvero…..