L’Italia vende armi a Israele: ecco cosa c’entriamo col conflitto israelo-palestinese
Nel corso degli anni il valore delle esportazioni di armi italiane verso Israele è esploso. Tanto che i piloti che hanno bombardato Gaza in questi giorni si sono esercitati su aerei e simulatori Made in Italy. Ecco come è potuto succedere
Armi automatiche, bombe, razzi e missili, veicoli terrestri, aeromobili e poi ancora munizioni, strumenti per la direzione del tiro, apparecchi specializzati per l’addestramento e per la simulazione di scenari militari. C’è un ampio campionario dell’arsenale bellico negli oltre 90 milioni di euro di forniture di sistemi militari dall’Italia a Israele degli ultimi sei anni (2015-2020).
Spiccano soprattutto quei 17,5 milioni di euro di autorizzazioni rilasciate nel 2019 nella categoria militare ML2 che comprende «bocche da fuoco, obici, cannoni, mortai, armi anticarro, lanciaproiettili e lanciafiamme militari»: quale tra questi è impossibile saperlo, vista la poca trasparenza delle Relazioni governative riguardo agli specifici tipi di materiali forniti ad ogni Paese.
Sono comunque armamenti prodotti da una delle aziende del gruppo a controllo statale Leonardo (ex Finmeccanica), che fa la parte del leone nell’export di sistemi militari allo Stato di Israele: tra le altre aziende italiane che forniscono materiali militari al Misrad HaBitakhon, il ministero della Difesa di Israele, figurano anche Ase Aerospace, CABI Cattaneo, Fimac, Forgital, Leat, Mecaer, MES, OMA Officine, Sicamb, Teckne.
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Italia-Israele, «eccellente cooperazione tecnico-militare»
Nel contempo l’Italia ha acquistato dalle aziende israeliane materiali e sistemi militari per circa 150 milioni di euro. Un giro di affari di cui il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, incontrando lo scorso dicembre in visita ufficiale in Israele il suo omologo alla Difesa Benny Gantz e il primo ministro Benjamin Netanyahu, ha sottolineato «l’eccellente livello di cooperazione tecnico militare ed industriale» auspicandone finanche «l’ulteriore rafforzamento».
Guerini ha inoltre sostenuto che «le profonde radici storiche che caratterizzano i rapporti bilaterali tra Italia e Israele sono un riferimento costante della politica internazionale nell’ambito del nostro contributo alla stabilità nel Medioriente» (sic!).
Non solo: con Netanyahu, Guerini ha ribadito la volontà, condivisa dalla controparte, «di sviluppare ulteriormente gli ambiti di cooperazione nel settore specifico della Difesa, una collaborazione che contribuisce sia alla rispettiva sicurezza dei paesi che a ulteriori positive ricadute in termini industriali».
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I silenzi del ministro della Difesa italiano
Il ministro Guerini si è guardato bene dal menzionare le numerose risoluzioni dell’assemblea generale dell’Onu che, già dal 1975, ha condannato «la continua occupazione dei territori arabi da parte di Israele in violazione della Carta delle Nazioni Unite e dei principi del diritto internazionale” (si veda la risoluzione 3414 del 5 dicembre 1975, la risoluzione 31/61 del 9 dicembre 1976 e successive) chiedendo a «tutti gli Stati di desistere dal fornire a Israele qualsiasi aiuto militare o economico fintanto che continua ad occupare territori arabi e nega i diritti nazionali inalienabili del popolo palestinese».
Queste risoluzioni, inoltre, hanno imposto allo Stato di Israele «il completo ritiro israeliano dai territori occupati e la creazione di uno stato palestinese» (risoluzione 36/226 del 17 dicembre 1981).
Lo Stato di Israele già dal 2013 era stato condannato in 45 risoluzioni dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite: dalla creazione del Consiglio nel 2006 è stato oggetto di più risoluzioni di condanna che il resto dei Paesi del mondo messi insieme.
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La retorica e gli accordi Italia-Israele nel settore militare
Le dichiarazioni del ministro Guerini fanno parte della retorica e dell’apparato propagandistico messi in campo a partire dal nuovo millennio dai governi Berlusconi. È proprio il 16 giugno 2003 che, a seguito della visita a Tel Aviv del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, viene firmato a Parigi il “Memorandum d’intesa con Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa”.
L’accordo, entrato in vigore dopo la ratifica delle Camere l’8 giugno 2005, regola tra l’altro la reciproca collaborazione nel settore della difesa, con particolare attenzione all’interscambio di materiale di armamento, all’organizzazione delle forze armate, alla formazione e all’addestramento del personale e alla ricerca e sviluppo in campo industriale-militare.
Poche esportazioni di armi a Israele fino al 2012
Il ministro Guerini ha inoltre evidenziato «l’eccellente livello di cooperazione tecnico militare ed industriale». Si tratta, anche in questo caso, di un’affermazione fuorviante e in gran parte menzognera.
Il ministro ha dimenticato di osservare che per decenni, ed in particolare per tutto il periodo successivo all’entrata in vigore della legge 185/90 (che ha introdotto “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”), fino al 2011 l’interscambio di materiali d’armamento tra Italia e Israele è stato pressoché irrisorio: le relazioni governative documentano che le esportazioni di materiali militari a Israele si attestano su una media annua di qualche decina di migliaia di euro. Per vent’anni, dunque, i governi italiani, pur mantenendo buoni rapporti diplomatici e commerciali con Tel Aviv, hanno messo in pratica una politica rigorosa e restrittiva sulle forniture militari allo Stato di Israele: tutto cambia a partire dal 2012.
L’Italia vende armi a Israele: il salto di qualità
Il “salto di qualità” avviene nell’aprile del 2012 quando, l’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, in visita in Israele annunciò l’intenzione del governo di finalizzare al più presto i dettagli del contratto per la fornitura all’Aeronautica Militare Israeliana di 30 velivoli d’addestramento M-346 prodotti dalla Alenia-Aermacchi e relativi simulatori di volo.
Sono gli aerei e i simulatori su cui si sono esercitati i piloti dei caccia F-16 e F-35 che in questi giorni stanno bombardando Gaza. Un contratto, che faceva seguito agli accordi presi dal precedente governo Berlusconi per un pacchetto di acquisti reciproci, di cui ha beneficiato l’azienda del gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo), mentre i contribuenti italiani hanno pagato il corrispettivo, per oltre 850 milioni di euro, di tecnologia aerospaziale acquistata da Israele, tra cui un satellite spia e due aerei Gulfstream G550 «per la sorveglianza e la supremazia aerea» a supporto alle forze di terra e navali.
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Gli ultimi contratti con Agusta-Westland
Negli anni successivi le forniture di sistemi militari dall’Italia a Israele sono aumentate rispetto agli anni Novanta, ma non hanno segnato valori rilevanti fino al febbraio 2019, quando i ministeri della Difesa dei due Paesi hanno firmato un accordo per l’acquisto di sette di elicotteri AW119Kx d’addestramento avanzato della Agusta-Westland (gruppo Leonardo) per le forze aeree israeliane, del valore di 350 milioni di dollari, ancora una volta in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un valore equivalente di tecnologia militare israeliana. Nel settembre del 2020 ne sono stati aggiunti altri cinque, per un totale di dodici elicotteri e due simulatori destinati alla Air Force Flight School.
Le manifestazioni della società civile
Nei giorni scorsi si sono tenute in numerose piazze italiane manifestazioni per chiedere il cessate il fuoco e per esprimere solidarietà al popolo palestinese: manifestazioni oscurate dagli organi di stampa nazionali, che hanno invece dato ampio risalto al raduno indetto dalla Comunità Ebraica al Ghetto di Roma in solidarietà con Israele, a cui hanno partecipato tutti i rappresentanti dei principali partiti politici, tranne Sinistra italiana e Liberi e Uguali.
Molte delle manifestazioni di piazza hanno rilanciato l’appello e la lettera aperta alle massime autorità nazionali diffuso dalla Rete italiana pace e disarmo con i sindacati Cgil, Cisl, Uil insieme a tantissime associazioni della società civile. L’appello ribadisce che è urgente «un’azione diplomatica, di pace e di rispetto del diritto Internazionale: occorre fermare la violenza, rimuovendone le cause, e riconoscendo lo Stato di Palestina».
La Campagna banche armate: stop alle forniture militari
A fronte delle reiterate violazioni da parte dello Stato di Israele, la Campagna di pressione alle banche armate, insieme a Pax Christi, ha chiesto al governo italiano di «sospendere immediatamente tutte forniture di armamenti a Israele e di revocare tutte le licenze per armi in corso».
«Il nostro Paese – si legge nel comunicato – se non vuole continuare ad essere complice delle violenze e della sopraffazione da parte di Israele nei confronti del popolo palestinese, deve anzitutto mettere in pratica il principio sancito dall’articolo 11 della nostra Costituzione e ribadito nella legge n. 185/90 che vieta esplicitamente l’esportazione di sistemi militari verso i Paesi in stato di conflitto armato”.
La Campagna banche armate ha inoltre invitato associazioni e correntisti ad interpellare la propria banca riguardo all’eventuale coinvolgimento dell’istituto di credito nelle forniture di armi e sistemi militari a Israele.