Iran: diritti Lgbt violati da Stato e famiglia, ma i giovani non ci stanno
Dopo il caso di Alireza Fazeli-Monfared, ucciso da un fratellastro e due cugini per la sua omosessualità, i giovani iraniani Lgbt scendono in strada e si filmano di nascosto per denunciare le violazioni dei diritti e le discriminazioni subite ogni giorno
«Noi siamo iraniani Lgbt, noi esistiamo e ci innamoriamo. Fatevene una ragione». Dopo l’omicidio di Alireza Fazeli-Monfared, 20 anni, ucciso dal fratellastro e da due cugini perché omosessuale, i giovani Lgbt sono scesi nelle strade dell’Iran, filmandosi di nascosto con i cellulari, mentre camminano per la strada con una bandiera arcobaleno sulle spalle.
I video sono stati inviati a Masih Alinejad, giornalista e attivista iraniana che è stata costretta a fuggire dall’Iran nel 2009 per le sue inchieste sulla brutalità del regime. Alinejad ha pubblicato i video sul suo profilo Twitter, chiedendo ai suoi follower di essere la loro voce.
«Sappiamo che possono arrestarci, ucciderci, giustiziarci per ciò che siamo. Noi esistiamo e come tutte le altre persone abbiamo due occhi, due piedi e due mani. I religiosi ci considerano corruttori della terra, la tv di Stato ci censura, il sistema educativo non parla di noi. Noi esistiamo, ci innamoriamo e non facciamo male a nessuno. Masih, noi esistiamo e combatteremo fino alla vittoria. Fai in modo che la gente sappia, anche noi abbiamo il diritto di vivere e di innamorarci», dicono i giovani Lgbt nel video.
Sui social si susseguono i messaggi con l’hashtag #AlirezaFazeliMonfared e sono numerose le associazioni che tutelano i diritti delle persone Lgbt che hanno denunciato quanto avvenuto.
Anche Amnesty International ha chiesto giustizia attraverso un video postato su Facebook. «Nessuno dovrebbe perdere la vita per il proprio orientamento sessuale. Chiediamo giustizia e dignità per Alireza e per le persone Lgbt in Iran».
Leggi anche:
• Transgender: in Italia la battaglia per i diritti delle persone trans è in salita
• Terapia ormonale transgender: in Italia diventa gratis, ma serve la diagnosi
Diritti umani violati in Iran: il caso di Alireza Fazeli-Monfared
Alireza Fazeli-Monfared è stato ucciso a inizio maggio dal fratellastro e da due cugini. Il brutale omicidio (il giovane è stato decapitato) è avvenuto in seguito alla scoperta della sua omosessualità da parte dei familiari.
La legge iraniana punisce le relazioni tra persone dello stesso sesso con la fustigazione e, per gli uomini, con la pena di morte. Inoltre, nonostante sia permessa la riassegnazione del sesso dopo un intervento chirurgico per le persone transgender, non ci sono leggi che puniscono la discriminazione verso le persone Lgbt (Rapporto 2021 di Human Rights Watch; leggi anche Diritti umani violati: l’Italia e il mondo nel report di Human Rights Watch).
A seconda della fonte utilizzata, si scopre che dal 1979 il regime iraniano ha giustiziato tra le 4.000 e le 6.000 persone per il loro orientamento sessuale. Spesso, però, sono le stesse famiglie a intervenire per una questione di “onore”, come in questo caso.
IranWire, il sito d’informazione sull’Iran con base a Londra, ha scritto nell’articolo in cui riporta la notizia dell’omicidio che il fratellastro di Alireza si era ripetutamente lamentato con il padre per il suo aspetto e per il modo in cui si vestiva, accusandolo di disonorare la famiglia.
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Diritti Lgbt: cosa prevede la legge in Iran
«Questo omicidio non è il primo e purtroppo non sarà l’ultimo. La legge islamica tutela solo i diritti degli uomini eterosessuali credenti: se sei donna, se hai un orientamento sessuale diverso o se sei uomo ma non la pensi come loro, sei contro la legge di Dio e sarai punito, spesso con la morte. Alireza è stato ucciso dal fratello e dai cugini perché era considerato una vergogna per la famiglia, ma se non lo avessero fatto loro sarebbe stato giustiziato dallo Stato», dice a Osservatrio Diritti Behnoud Khashe, un attivista iraniano che vive in Italia.
«Ci sono cose che non possiamo scegliere: la famiglia, il luogo in cui nasciamo, il nome e l’orientamento sessuale. Ma in Iran, dopo l’occupazione islamica del 1979, si può essere condannati per il proprio sesso o il proprio orientamento sessuale e così alle persone Lgbt non resta che andarsene. Non si tratta di una scelta, però», aggiunge Khashe.
È stato così anche per Alireza Fazeli-Monfared: secondo quanto riportato da diverse fonti giornalistiche, il giovane aveva deciso di fuggire per raggiungere il compagno in Turchia.
Leggi anche:
• Sei transgender? Nelle scuole cattoliche dell’Indiana rischi l’espulsione
• Sex worker: niente diritti per chi lavora nel settore del sesso
La violazione dei diritti e l’esonero dalla leva militare
Tra i primi a dare la notizia dell’omicidio di Alireza Fazeli-Monfared c’è stato 6Rang, il network iraniano delle persone lesbiche e transgender nato nel Regno Unito nel 2010 per favorire la consapevolezza sui diritti sessuali e per eradicare l’omofobia, la transfobia e la violenza contro le persone lesbiche e transgender e contro la comunità Lgbt.
In Iran il servizio militare è obbligatorio per tutti i cittadini dopo i 18 anni e dura due anni. «C’è chi prova a nascondere la sua omosessualità e si fa due anni di inferno perché rischia di subire molestie e aggressioni, chi invece è più fragile sceglie di non farlo, dichiarando il proprio orientamento sessuale. Ma è un rischio perché l’esercito poi lo comunica alla famiglia», dice Khashe.
6Rang ricorda che l’orientamento sessuale è motivo di esonero in base all’articolo 7 paragrafo 5 della legge militare (viene indicato come “depravazione sessuale”) ed è indicato sul documento di esonero. In questo modo, come ha messo in evidenza il network in un articolo, la legge sull’esonero dalla leva costringe di fatto le persone gay coming out.
Sembra che sia stato proprio il fratellastro ad aprire la lettera che conteneva il documento di esonero, scoprendo così l’omosessualità di Alireza.
Rischio impunità per chi uccide persone omosessuali
Non è chiaro se i responsabili siano stati arrestati: 6Rang in un primo momento lo affermava, ma in un post pubblicato il 14 maggio su Facebook ha precisato che nei giorni successivi all’omicidio la notizia dell’arresto è stata smentita.
«Attraverso le sue leggi omofobe, la propaganda anti-gay e le sentenze lievi per i delitti d’onore, la Repubblica islamica dell’Iran è responsabile nel facilitare l’omicidio di numerosi membri della comunità Lgbt nel Paese», ha scritto Masih Alinejad su Twitter.
Leggi anche:
• Bielorussia: la dittatura silenzia le proteste con arresti indiscriminati
• La Dichiarazione universale dei diritti umani dal 1948 ai nostri giorni
Violazioni dei diritti e discriminazioni delle persone Lgbt
In Iran le persone che si identificano come lesbiche, gay, bisessuali e transgender subiscono violazioni dei propri diritti civili e discriminazioni continue. È quanto emerge dal Rapporto 2021 dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani sull’Iran, in cui si legge che la criminalizzazione delle relazioni tra persone dello stesso sesso legittima la violenza da parte dello Stato e dei privati: le persone Lgbt subiscono molestie e aggressioni e, se arrestate, viene negato loro un giusto processo.
Tra le altre forme di violenza indicate dal report ci sono la violenza domestica, abusi e bullismo nel sistema scolastico e sul posto di lavoro, atti che non vengono denunciati per paura di persecuzioni.
Le persone Lgbt incontrano ostacoli nell’accesso al sistema sanitario e spesso si sentono dire che il loro orientamento sessuale è una malattia che richiede una cura: terapie riparative o, nel caso delle persone transgender, la riassegnazione chirurgica del sesso (leggi anche Diritti Lgbt: le “terapie di conversione” sono un problema in tutto il mondo).
Violenze contro lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender
Anche il Rapporto “Ferite nascoste: una ricerca sulla violenza contro le persone Lgbt in Iran” realizzato nel 2020 da 6Rang mette in evidenza una situazione di costante violazione dei diritti umani e di discriminazioni: dallo studio emerge che 6 persone Lgbt iraniane su 10 hanno subito aggressioni da parte di membri della propria famiglia, quasi la metà le ha subite in pubblico, il 20% ha riferito di aggressioni nel sistema legale, altrettanti nel sistema sanitario e il 46% nel sistema educativo.
L’associazione ha chiesto all’Iran di eliminare le leggi che criminalizzano le relazioni tra persone dello stesso sesso e alle organizzazioni internazionali di fare pressione sul governo perché garantisca alle persone Lgbt la tutela dei propri diritti.
«Bisogna aiutare gli iraniani a cambiare il regime, aiutarli a vivere nella propria terra, perché non tutti vogliono andarsene. Se lo fanno, è perché sono costretti. Finché il regime controlla tutto, media compresi, finché tutto è filtrato e censurato, sarà difficile portare un cambiamento culturale».
UN ANARCHICO – E ATEO – IRANIANO A RISCHIO ESTRADIZIONE
(Gianni Sartori)
Premetto che – per quanto mi riguarda – considero gli anarchici alla stregua di una minoranza etnica e religiosa (e in genere perseguitata). Comunque con profondo rispetto – e anche con affetto visti i miei trascorsi giovanili – per aver cercato la “quadratura del cerchio” tra Giustizia e Libertà. Anche se non ne condivido – non più – l’esagerata – a mio avviso – fiducia nell’intrinseca bontà del genere umano. Punto.
Qualcuno – forse Clemenceau – aveva detto che “chi non è stato anarchico a sedici anni non ha cuore”. Sorvolo sulla seconda parte della frase (a mio avviso più discutibile). Osservo invece – di passaggio – che nel 2014 Abtin Parsa aveva appunto sedici anni.
All’epoca venne arrestato dall’IRGC (il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica) per aver osato pronunciare un discorso anti religioso e anti statale nella sua scuola, il liceo “Shahid Chamran” a Zarqan. Su questa esperienza ha lasciato una precisa testimonianza sostenendo di essere stato torturato “per il mio ateismo e per la mia posizione anti-governativa”. La sua testa veniva sbattuta per ore su una tavola di ferro e minacciavano di violentarlo con una bottiglia in vetro se non avesse accettato di sottoscrivere ciò di cui lo accusavano. Abtin aveva saputo indicare il probabile nome del suo aguzzino, Seyed Jaàfari (o almeno, aggiungeva “era così che lo chiamavano”). Raccontava anche della sorte toccata ad altri prigionieri, in particolare di ragazze che sarebbero state violentate dai Guardiani della Rivoluzione. E di averne potuto ascoltare quotidianamente le grida e i lamenti in quanto la sua cella era vicina alla stanza delle torture. Più volte ebbe la tentazione di suicidarsi per la disperazione. Ma spiegava di aver voluto resistere per poter raccontare quanto aveva visto e vissuto.
Una volta scarcerato, dopo un anno e mezzo di detenzione, venne costantemente sottoposto a pressioni, controlli e angherie. Tanto che nel 2016 aveva cercato rifugio in Grecia. In varie occasioni Teheran aveva richiesto alla Grecia di rispedirlo indietro. Non solo. Abtin ha ricevuto numerose minacce di morte da parte di personaggi e organizzazioni affiliati al regime islamico, in particolare dopo le proteste che avevano attraversato il Paese nel 2017. Avendo egli espresso solidarietà ai manifestanti con un video, dopo qualche giorno il suo messaggio veniva trasmesso dalla televisione iraniana completamente manipolato. Tanto da sembrare che il giovane libertario incitasse i manifestanti a utilizzare esplosivi: un falso spudorato.
Nel 2017 Abtin aveva ottenuto un asilo politico valido per tre anni. Nello stesso periodo si era unito alle lotte dei gruppi libertari radicali e nel 2018 venne fermato dalla polizia greca e picchiato duramente (oggi si ritrova con alcune vertebre incrinate).
Successivamente venne arrestato per il possesso di un’arma (in realtà pare si trattasse di un semplice tagliacarte). Essendosi rifiutato di fornire le impronte digitali (per solidarietà con i migranti) era stato condannato a tre mesi di carcere.Nel novembre 2019 la sua abitazione veniva perquisita nell’ambito dell’inchiesta su Autodifesa Rivoluzionaria e tutta la documentazione inerente la domanda di asilo politico sequestrata.
Nel febbraio 2020 si era deciso a lasciare la Grecia e chiedere asilo politico nei Paesi Bassi. Nel marzo 2020 subiva un nuovo arresto, stavolta dalla polizia olandese, per aver organizzato una sollevazione di migranti. Per tale reato rischia fino a cinque anni di prigione. Ma il problema principale resta un altro, quello di venire estradato prima in Grecia e poi in Iran dove la sua sorte – come è facilmente intuibile – sarebbe segnata.
Recentemente le federazioni anarchiche dell’Iran e dell’Afghanistan avevano indetto una settimana di solidarietà internazionale (dal 12 al 19 luglio) per impedirne l’estradizione.
Invano a quanto pare.
Infatti l’8 luglio l’Olanda ha già compiuto il primo passo rigettando la richiesta di Abtin, ossia che la procedura della sua estradizione in Grecia venisse sospesa. Esiste quindi il pericolo concreto che venga estradato entro breve tempo.
Gianni Sartori