Bahrain, niente diritti nel carcere di Jaw

Sovraffollamento e mancanza di trasparenza regnano nella prigione di Jaw, in Bahrain. Dove si teme per la diffusione del Covid-19 tra i detenuti. Lo denunciano le associazioni per i diritti umani, che scrivono anche una lettera di protesta a La Sapienza di Roma che ha intitolato una cattedra proprio al re del Paese

Nel carcere di Jaw, in Bahrain, si sta violando il diritto alla salute. A denunciarlo sono diverse associazioni umanitarie, prima tra tutte Amnesty International, che ha lanciato l’allarme a seguito di alcune testimonianze di familiari dei carcerati.

Secondo i loro racconti, i detenuti non avrebbero ricevuto mascherine, presidi igienico-sanitari ad hoc o altre misure preventive per combattere il virus. Secco l’ammonimento in merito di Lynn Maalouf, vicedirettore per il Medio Oriente e il Nord Africa dell’organizzazione attiva nella difesa dei diritti umani:

«Il governo del Bahrain e le autorità carcerarie hanno il chiaro dovere di garantire il diritto alla salute delle persone in stato di detenzione e di proteggerle dal rischio di contagio. Non devono giocare d’azzardo con le vite di coloro che sono sotto la loro custodia. Le autorità devono garantire che tutti i prigionieri siano provvisti di adeguati presidi, che possano mantenere le distanze fisiche e siano sottoposti a controlli regolari».

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Bahrain – Foto: Pixabay

Bahrain, il Covid-19 entra in prigione

Anche in merito al numero effettivo di casi di Covid-19 tra le mura carcerarie parrebbe esserci stata poca trasparenza da parte dell’amministrazione penitenziaria. Nonostante il governo voglia gettare acqua sul fuoco affermando che la situazione pandemica è sotto controllo, la realtà dei fatti sembra essere ben diversa.

Il ministero dell’Interno del Bahrain, infatti, il 23 marzo 2021 ha confermato la presenza di tre casi di positività, senza fornire successivamente altri dati numerici, ma limitandosi ad affermare, il 28 marzo, che  tutti i prigionieri risultati positivi erano stati isolati, avevano ricevevano cure adeguate ed erano stati messi in contatto con le proprie famiglie.

Tra il 31 marzo e il 9 aprile, però, Amnesty, parlando con i parenti di sei prigionieri e svolgendo controlli incrociati tra le famiglie dei detenuti e alcuni attivisti per i diritti umani del Bahrain, è venuta in possesso di elenchi comprendenti i nomi di oltre 70 persone che si ritiene siano stati infettati dal virus e ai quali sono stati fortemente limitati i contatti con i propri cari all’esterno.

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Moschea in Bahrain – Foto: Pixabay

Diritti violati nel carcere di Jaw

Oltre alla mancata distribuzione degli strumenti per arginarlo, a contribuire al proliferare del coronavirus nel carcere di Jaw è stato anche il sovraffollamento, arrivato a un punto tale che, secondo un’indagine svolta nel 2015 da Human Rights First, a fronte di  una capacità ufficiale di 1.201, i detenuti ammonterebbero a circa 2.700.

Una situazione per nulla migliorata negli anni successivi, visto che è stata la stessa Amnesty International, nelle ultime settimane, a parlare di celle di circa tre metri per quattro e mezzo, nella quale viene stipata almeno una decina di persone.

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Il Bahrain non rispetta le Mandela Rules

Questi numeri che violano gli standard minimi delle Nazioni Unite per il trattamento dei prigionieri, adottate nel 2015 e note come Mandela Rules.

Queste norme sottolineano che «tutti i prigionieri devono essere trattati con il rispetto dovuto alla loro sostanziale dignità e valore come esseri umani». Inoltre, stabiliscono gli obblighi legali delle autorità per ridurre il sovraffollamento, fornire alloggi adeguati e garantire la comunicazione dei detenuti con le loro famiglie.

«È comune trovare una dozzina o più prigionieri detenuti in celle progettate per ospitare otto persone, ma le autorità del Bahrain devono affrontare con urgenza il sovraffollamento nella prigione di Jaw, a partire dal rilascio immediato e incondizionato di tutti coloro che sono stati incarcerati semplicemente per aver manifestato pacificamente per i propri diritti», ha ribadito con forza Lynn Maalouf.

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Veduta notturna sul Bahrain – Foto: Pixabay

Carcerazioni arbitrarie in Bahrain

Il riferimento è a tutti i civili finiti in cella dopo le manifestazioni pacifiche avvenute nel 2011, organizzate per chiedere pari diritti per tutti i cittadini, in quella che è nota come la Primavera Araba.

Sebbene a marzo 2020 furono rilasciati quasi 1.500 detenuti del carcere di Jaw a causa della pandemia, il provvedimento non ha riguardato i 12 manifestanti incarcerati nell’edificio n. 7 ormai da 10 anni.

Solo uno di loro ha visto aprirsi le sbarre della cella il 9 aprile 2021: Mohammed Hassan Jawad, noto anche come Mohammed Jawad Parweez, uno dei più importanti difensori dei diritti umani del Bahrain.

Ancora in carcere, invece, Sayed Nizar Alwadaei, cognato di Sayed Ahmed Alwadaei, capo della difesa del Bahrain Institute for Rights and Democracy. Human Right First ha denunciato che, sebbene sia risultato positivo al Covid-19, Sayed è rimasto rinchiuso in una cella con altri quattro prigionieri a rischio di infezione.

Come se non bastasse, l’Americans for Democracy and Human Rights in Bahrain (Adhrb) e il Bahrain Institute for Rights and Democracy (Bird), hanno denunciato che diversi prigionieri politici sarebbero stati aggrediti in cella dalla polizia in tenuta antisommossa sabato 17 aprile 2021.

La protesta arriva in Italia: difensori dei diritti umani contro La Sapienza di Roma

A chiedere il rilascio di tutti i difensori dei diritti umani, attivisti e manifestanti che si trovano in prigione in violazione dei loro diritti alla libertà di espressione e assemblaggio, sono anche i numerosi cittadini che hanno iniziato a manifestare  in diverse località del Bahrain nelle ultime settimane e il Gulf Center for Human Rights (Gchr).

Proprio a causa della repressione insistente e perpetuata nel tempo verso gli oppositori politici e le violazioni dei più elementari diritti umani, Amnesty italia, Adhrb, ong che promuove i diritti umani nella regione del Golfo Persico, il Centro europeo per la democrazia e i diritti umani (Ecdhr) e il Bahrain Institute for Rights and Democracy (Bird) hanno chiesto la cessazione del coinvolgimento del Bahrain nella cattedraKing Hamad Chair for inter-religious dialogue and peaceful co-existence” inviando una lettera aperta all’università La Sapienza di Roma (qui il testo completo).

La cattedra è stata istituita nel 2018 per promuovere una maggiore comprensione delle relazioni tra culture e religioni diverse tra le generazioni più giovani, ma le due organizzazioni ritengono che l’attribuzione della cattedra al re del Bahrain vada assolutamente contro i valori della Sapienza.

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