Rotta Balcanica: migranti umiliati lungo i confini con l’Unione europea
Violenze, abusi, respingimenti collettivi: ecco cosa accade a profughi e migranti che cercano di entrare nell'Unione europea attraverso i confini orientali
Le violenze poliziesche sulla rotta balcanica non risparmiano nessuno, neppure i minori. Secondo le informazioni raccolte dal Border Violence Monitoring Network, infatti, non avevano neppure 18 anni i cinque ragazzi afghani che a inizio marzo hanno visto i poliziotti croati fermare il loro viaggio verso l’Europa continentale. Erano partiti il 1° marzo da Sturlic, a metà strada tra Vledisa Kadusa e Bihac, per tentare The Game, “il gioco”, come viene chiamato l’attraversamento del confine tra Bosnia Erzegovina e Croazia, avamposto dell’Unione europea nei Balcani.
Dopo cinque giorni nelle foreste, però, i ragazzi afghani sono stati notati e intercettati da una pattuglia a guardia del confine e fatti salire senza esitazioni su uno dei loro mezzi. Li hanno portati nella stazione di polizia più vicina, dove gli agenti li hanno fatti svestire per poi picchiarli e privarli anche degli affetti personali, oltre che delle poche banconote, una sessantina di euro, che portavano con sé. A nulla è servita la loro minore età, che avrebbe dovuto offrire qualche protezione in più: gli agenti croati non li hanno sentiti o hanno fatto finta di non sentirli, secondo chi ha raccolta la loro testimonianza.
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Il fiume o le botte: migranti in viaggio sulla rotta balcanica
«Nessuno ha mai chiesto a me o qualche mio amico di firmare anche un solo pezzo di carta», ha raccontato uno dei minori coinvolti agli attivisti di No Name Kitchen e raccolta in un recente report di Border Violence Monitoring Network.
Per i cinque ragazzi afghani, però, l’odissea non era finita: ancora qualche ora di detenzione e un veicolo nero li ha condotti nei pressi del fiume che segna il confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina, tra Unione europea e resto del mondo. Anche chi non sapeva nuotare è stato costretto a attraversarlo in un modo o nell’altro, «altrimenti ci avrebbero picchiato ancora», sono le parole dei ragazzi riportate nel documento.
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Il caso dei ragazzi afghani è solo una delle storie di violenza e violazione dei diritti umani che contraddistinguono da anni la quotidianità del confine orientale dell’Europa, segnata dai respingimenti che le autorità di frontiera eseguono nei confronti delle persone in transito.
Trentuno sono stati quelli registrati, per un totale di 671 persone coinvolte, nel solo report di marzo di Border Violence Monitoring Network, stilato da una serie di organizzazioni che lavorano nei Balcani sulla base delle testimonianze raccolte dai migranti dopo il respingimento alla frontiera.
Morte al confine con la Bosnia Erzegovina
Oltre al caso dei cinque ragazzi afghani intercettati e respinti dalle autorità croate, viene raccontata la morte di un uomo a causa dello scoppio di una mina lungo il confine con la Bosnia Erzegovina.
In questo caso, il dramma dei migranti di oggi si è intrecciato a quello del conflitto nell’ex Jugoslavia: il 4 marzo, un gruppo di persone si è inoltrato in un campo minato non segnalato. Uno è morto, mentre gli altri sono fuggiti prima di essere intercettati dalla polizia croata.
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Non solo Croazia e Ungheria: violenza in Bulgaria e Grecia
Pratiche simili sono diffuse anche nei Balcani del sud, dove i respingimenti violenti al confine bulgaro sono all’ordine del giorno. Nel mese di marzo, Border Violence Monitoring Network ne ha registrati cinque: due verso la Grecia, tre verso la Turchia.
Ad accomunarli sono «la violenza e l’abuso da parte delle autorità», come emerge dalle testimonianze raccolte: a pochi chilometri dal confine greco, a Valche Pole, un gruppo numeroso di migranti è stato intercettato a inizio marzo da una pattuglia bulgara, che ha sequestrato loro averi e documenti, ignorando le richieste di asilo e portandoli indietro, al confine con la Grecia. Presi in consegna dai gendarmi greci, sono stati portati quindi in territorio turco prima di essere abbandonati.
Destino simile è quello toccato anche a un altro gruppo di migranti, in prevalenza siriani, sorpreso dalla polizia bulgara all’interno dei confini nazionali: dopo averli picchiati e derubati, li hanno fatti salire su dei veicoli che li hanno riportati di fronte alla Turchia. Era l’unico paese dove tornare.
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Tecnologia contro i migranti lungo la rotta balcanica
A complicare gli spostamenti dei migranti, mettendo la loro sicurezza in pericolo, è anche l’armamentario tecnologico che i governi della zona stanno adottando e istallando ai confini. Dopo aver realizzato una vera e propria barriera alta quattro metri con alla sommità il filo spinato, le autorità ungheresi hanno deciso di scoraggiare i migranti istallando pure una serie di videocamere e sensori, oltre che allarmi sonori e altoparlanti con messaggi tradotti nelle lingue delle persone in transito.
Anche la Croazia ha investito nel potenziamento del suo sistema di sorveglianza del confine: in funzione anti-migranti, grazie anche ai fondi europei, si è dotata di droni di ultima generazione, capaci di individuare persone in transito a più di sei miglia durante il giorno e a poco meno di due durante la notte.