Festa del lavoro: l’impatto del Covid-19 sui lavoratori in Italia e nel mondo
In occasione della Festa del lavoro 2021, Osservatorio Diritti scatta una fotografia su crisi sanitaria e diritti dei lavoratori. Ecco a che punto siamo tra riduzione delle ore lavorate, aumento dell'inattività, donne discriminate, lavoro domestico informale e disoccupazione giovanile
Sarà un altro primo maggio diverso, con l’annuale concerto di Roma in versione ridotta e altre manifestazioni più “contenute”. Ma gli effetti della pandemia sul lavoro vanno ben oltre. È aumentata la disoccupazione, così come il gender gap, e molti lavoratori precari sono ancora più sfruttati, in città come nelle campagne.
In occasione della Festa del lavoro 2021, Osservatorio Diritti fa il punto della situazione, per vedere, alla luce delle statistiche globali, europee e nazionali, qual è stato l’impatto dell’emergenza sanitaria causata dal nuovo coronavirus sui lavoratori.
Perdita di ore lavorate: danni maggiori in America Latina, Asia meridionale e Sud Europa
A evidenziarlo è l’ultimo rapporto presentato dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) che mette in evidenza, nella settima edizione della “Nota Ilo e mondo del lavoro“, come in primo luogo siano diminuite le ore lavorate.
Circa l’8,8% a livello mondiale è andato perso, se si fa il confronto con il primo trimestre del 2019. Una perdita che corrisponde a 255 milioni di posti di lavoro a tempo pieno che non esistono più.
La scomparsa di queste ore lavorate è particolarmente evidente, secondo il report dell’Ilo, in America Latina, nei Caraibi, nell’Asia meridionale e nel Sud Europa.
Per fare un paragone con una crisi del passato, le ore lavorate andate perse nel 2020 sono circa quattro volte superiori rispetto a quanto accaduto nel 2008.
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Disoccupazione e aumento dell’inattività: effetto pandemia sul mondo del lavoro
Le persone sono uscite dal mercato perché non erano in grado di lavorare a causa delle restrizioni causate dalla pandemia o perché, più semplicemente, hanno smesso di cercare lavoro.
Come evidenzia l’Ilo, nel 2020 le perdite occupazionali si sono tradotte principalmente in un aumento dell’inattività piuttosto che della disoccupazione, che sono comunque i due effetti principali del Covid-19.
Circa 81 milioni di persone sono passate all’inattività rispetto a 33 milioni di disoccupati. Di conseguenza, il tasso di partecipazione della forza lavoro globale è sceso del 2,2% a causa della crisi.
C’è da dire che solo nei paesi ad alto reddito la disoccupazione è aumentata più dell’inattività, un fenomeno che è stato trainato in misura significativa dalle tendenze negli Stati Uniti. Per il resto l’inattività pesa tantissimo e su questo hanno avuto una particolare influenza le chiusure forzate.
Il 93% dei lavoratori, infatti, risiede in paesi in cui sono state adottate o sono ancora in vigore forme di chiusura dei luoghi di lavoro che, per alcune aree geografiche e per settori economici ben specifici, sono diventate la norma durante la pandemia.
Niente lavoro, niente casa
Tutto questo ha accentuato ancora di più le disparità già esistenti. Come evidenzia il report annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (qui il Pdf in inglese), le misure che i governi hanno adottato in risposta alla pandemia hanno influito notevolmente sui mezzi di sussistenza delle persone e, a cascata, sul loro diritto ad avere un alloggio adeguato. In molti, infatti, si sono trovati senza la possibilità di pagare un mutuo o un affitto.
E per i lavoratori domestici questo non ha comportato solo la perdita di lavoro, ma anche dell’abitazione, visto che per molti le due cose coincidono.
I Dpcm bloccano il lavoro domestico “informale”
Stando al rapporto dell’Osservatorio Domina sul lavoro domestico nel 2020 (qui il Pdf completo), le difficoltà economiche delle famiglie – che sono i principali datori di lavoro – e i decreti che in Italia prevedevano che qualsiasi spostamento venisse giustificato, hanno portato a una situazione difficile per badanti e babysitter.
Visto che molti di questi lavoratori domestici non hanno un contratto regolare, non è stato possibile spostarsi per andare dal datore di lavoro. Si parla del 75% a livello mondiale, secondo le stime dell’Ilo, e di quasi il 60% in Italia (dati Istat). E in queste situazioni, naturalmente, bonus e ammortizzatori sociali non sono potuti essere d’aiuto.
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2021, una Festa del lavoro che deve far pensare: il Covid-19 aumenta il gender gap
Tra chi ha subito l’impatto più pesante della pandemia ci sono senz’altro le donne. A livello globale, sempre secondo le stime dell’Ilo, hanno subito la perdita di lavoro il 5% in più rispetto agli uomini.
La situazione non migliora per quel che riguarda l’Europa. Secondo il rapporto Eurostat del 2020, l’84% delle donne lavoratrici tra i 15 e i 64 anni è stato il più colpito dalla crisi e sta affrontando numerose perdite, in particolare le professioniste impiegate nei servizi. Come chi è occupato nel lavoro domestico, come detto, ma anche negli asili e nel lavoro di segreteria.
Secondo la pubblicazione di Eurofound “Le donne e l’uguaglianza nel mercato del lavoro: la pandemia di COVID-19 ha annullato le recenti conquiste?”, pubblicato nel dicembre scorso, il tasso di disoccupazione all’interno della Ue è cresciuto in particolare per le donne, aumentando così il divario di genere: 9% contro 8 per cento. Per chi, poi, ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni la probabilità di perdere del lavoro è dell’11% rispetto al 9% degli uomini della stessa età.
Ma non solo: su questo, stando al sondaggio, influisce il fatto che le donne sono più “portate” ad abbandonare il lavoro perché hanno una quota di maggiore responsabilità nella cura della famiglia che le conduce a scoraggiarsi e distaccarsi dal mercato. Nel panorama europeo, i dati Eurofound dimostrano che tra coloro che hanno lavorato prima dello scoppio della pandemia e subito dopo hanno perso il loro lavoro, il 4% delle donne è diventato inattivo, contro l’1% degli uomini.
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Lavoro delle donne in difficoltà
La situazione non è migliorata con il telelavoro che in teoria, dice il rapporto, è riuscito a far sì che le donne mantenessero il loro posto di lavoro e, in un momento di distacco sociale e isolamento, è stato un fattore chiave per garantire continuità. Tuttavia, la chiusura delle scuole ha reso difficile per molte madri destreggiarsi tra lavoro, istruzione domiciliare e cura, il tutto nello stesso spazio e spesso nello stesso tempo.
I dati, relativi soprattutto alla prima ondata della pandemia, hanno evidenziato anche come il 29% delle donne ritenesse difficile concentrarsi sul lavoro per via della famiglia, contro il 16% degli uomini. Le stesse percentuali riguardano il fatto di essere troppo stanche dopo il lavoro per sbrigare le faccende di casa.
Il 34% delle donne, inoltre, era preoccupato per il lavoro anche quando non lavorava, rispetto al 26% degli uomini. Inoltre se per il 24% delle donne la famiglia impedisce di dedicare tempo al lavoro, questo avviene solo per il 13% degli uomini.
La situazione non migliora guardando al nostro Paese: secondo il rapporto “Il mercato del lavoro 2020″, frutto del lavoro congiunto del Gruppo di lavoro tecnico e del Comitato d’Indirizzo dell’Accordo tra ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, si evidenzia come il gap sul tasso di occupazione tra donne e uomini è passato da 17,8 punti a 18,3 in favore di questi ultimi.
Festa del lavoro 2021: i giovani e il virus della disoccupazione
Anche i giovani hanno subito i pesanti effetti della pandemia. Stando ai dati Istat comunicati il 6 aprile, infatti, la crisi la crisi sanitaria ha portato la disoccupazione giovanile in Italia al 31,6 per cento.
Stando ancora al rapporto sul mercato del lavoro citato in precedenza, inoltre, è aumentato il gap di genere sul tasso di occupazione: quello degli under 35, nel caso specifico, è di 21 punti più basso rispetto a quello degli over 50 (era 19,3 nel 2019).
E questo anche in virtù del fatto che, come dice lo stesso rapporto, i settori che segnalano un calo maggiore delle assunzioni sono alberghi e ristorazione, industria in senso stretto, commercio, attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese, per i quali la riduzione riguarda soprattutto i più giovani.
Braccianti stranieri in Italia alle prese con la crisi sanitaria: una storia di discriminazione
La pandemia ha influito notevolmente anche sui lavori stagionali, in particolare sui braccianti stranieri, come coloro che lavorano nella piana di Gioia Tauro. La situazione è stata più volte denunciata da Medici per i diritti umani (Medu) che sia nel VII Rapporto sulle condizioni di vita e di lavori dei braccianti che nel gennaio 2021, ha evidenziato come queste persone siano state costrette a convivere in condizioni di promiscuità, il che ha peggiorato la situazione anche alla luce dell’emergenza Covid-19.
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Scarse condizioni igieniche, stress da convivenza forzata e assenza di acqua potabile sono stati alcuni dei problemi affrontati dai migranti. Qui il virus ha trovato terreno fertile e il contagio si è diffuso rapidamente senza che il sistema sanitario locale, più volte commissariato e gravemente carente in termini di risorse umane ed economiche sia riuscito a mettere in atto misure efficaci.
Assenza di screening e contenimento del virus, mancanza d’informazione sul Covid-19 e su come prevenirlo e contenerlo, così come mancanza di sostegno al reddito (nessuna cassa integrazione, per esempio), hanno contribuito a rendere nel complesso inefficaci le poche misure sanitarie adottate.
Tra ottobre e novembre 2020, si legge nel comunicato di Medu, sono state anche predisposte due zone rosse che hanno riguardato il campo container di Rosarno e la tendopoli di San Ferdinando. Senza attività di sorveglianza epidemiologica, misure di isolamento, questi braccianti si sono sentiti ancora più isolati e sono aumentate le tensioni.
L’organizzazione, anche in forza dei nuovi raccolti e della nascita di nuove baracche, chiede non solo di risolvere la situazione lavorativa, ma di adottare misure per restituire dignità e legalità al territorio.
E in occasione della festa del primo maggio, che pone l’attenzione sui diritti dei lavoratori, quelli delle campagne non sono certo da meno di quelli delle città.