India, contadini Adivasi in rivolta contro la riforma agraria

L’arresto di Hidme Markam, attivista Adivasi, arriva in un periodo di forti contestazioni verso la riforma agraria e la repressione del premier Narendra Modi. Contadini, agricoltori, popoli indigeni e sindacati protestano contro la liberalizzazione del settore

Hidme Markam è una attivista Adivasi che combatte in India per i diritti delle donne e dei popoli indigeni, contro la violenza di Stato legata alle attività minerarie nello Stato indiano del Chhattisgarh.

Markam è stata arrestata a inizio marzo 2021 con l’accusa di sostenere i ribelli armati maoisti che si nascondono nelle foreste del centro dell’India, dove da mezzo secolo è in corso la rivolta armata naxalita, una delle insurrezioni meno raccontate dai media. Nel video dell’arresto circolato sui social si vede l’attivista brutalmente spinta dentro l’auto delle forze dell’ordine mentre partecipava a un evento organizzato per la festa internazionale della donna.

«Hidme Markam lotta senza sosta per chiedere il rispetto dei diritti degli Adivasi incarcerati ingiustamente, per denunciare i terribili abusi che le donne Adivasi subiscono da parte della polizia e delle forze di sicurezza, e per difendere le terre sacre dalle attività minerarie», spiega a Osservatorio Diritti Jo Woodman, ricercatrice di Survival International. «Nell’India di oggi, questi ‘crimini’ sono sufficienti per farti arrestare, vederti rifiutare la cauzione ed essere etichettato come terrorista», continua Woodman.

Leggi anche:
India: bambini tra sfruttamento, abbandono scolastico e tratta 
Kashmir-India: un anno senza autonomia, cancellati i diritti umani 

india proteste agricoltori
Hidme Markam, attivista Adivasi – Foto: © Survival

Il governo di Narendra Modi criminalizza gli Adivasi e reprime le proteste

Markam coordina anche la Jail Bandi Rihai Committee, un’organizzazione che chiede il rilascio di migliaia di indigeni criminalizzati, bollati come maoisti e tenuti in custodia cautelare, per anni in attesa di processo.

Non è la prima volta che gli Adivasi o i loro sostenitori – come Padre Stan Swamy, tutt’oggi in carcere – vengono etichettati come “anti-nazionalisti”, simpatizzanti dei “naxaliti” e accusati di sedizione. Il suo arresto arriva in periodo molto caldo per il Paese, in cui diversi attivisti, giornalisti, docenti e studenti sono in carcere, accusati sulla base di due norme draconiane, spesso usate per silenziare il montante dissenso verso l’esecutivo.

Proteste contro l’accaparramento di terra delle compagnie minerarie

Come attivista, il lavoro di Markam si è concentrato sul contrasto ai grandi progetti delle società private indiane e l’accaparramento di terre da parte delle compagnie minerarie che stanno devastando l’ambiente, inquinando il suolo e le acque, mano nella mano con le forze di sicurezza indiane, che vigilano sull’accaparramento delle risorse.

Migliaia di indigeni sono stati sfrattati dalle loro foreste in nome della conservazione e dell’estrattivismo, lasciandoli senza terra e dipendenti dal lavoro agricolo esterno: si teme che la recente riforma agraria peggiorerà la loro condizione.

Leggi anche:
Tratta delle donne: quella drammatica linea rossa che unisce Kenya e Nepal 
L’Onu condanna l’India: chi contesta la legge anti-musulmani va liberato

india proteste agricoltura
Donne della tribù Dongria Khond – Foto: © Survival

Le riforma dell’agricoltura “anti-contadini” di Modi

Molti attivisti e contadini Adivasi hanno infatti preso parte alle proteste contro le nuove leggi agrarie, che da oltre quattro mesi cingono la capitale New Delhi e si sono espanse a macchia d’olio nel resto del Paese, incluse le comunità Adivasi, che in India contano 104 milioni di persone.

A settembre 2020 il governo guidato dai nazionalisti hindu del Bharatiya Janata Party ha passato tre leggi che liberalizzano il settore agrario, già in forte sofferenza, come denunciato da anni dagli attivisti e dai contadini stessi. Un comparto che impiega oltre la metà della forza lavoro indiana e contribuisce a un mero 15% del Pil. Oltre 300.000 contadini indiani si sono suicidati negli ultimi 20 anni, strangolati dai debiti.

Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Dirittiosservatorio diritti newsletter

Contadini, agricoltori, Adivasi: proteste da Nuova Adelhi a tutta l’India

Le riforme, passate in tutta fretta senza consultarsi con sindacati e associazioni di categoria, sono state contestate da quasi tutte le sigle dell’associazionismo contadino, che ne chiedono il ritiro in quanto favoriscono i colossi dell’agrobusiness a discapito dei piccoli agricoltori, che vedrebbero distrutte le poche garanzie che lo Stato gli accordava, spalancando le porte agli attori privati.

Da fine novembre, decine di migliaia di agricoltori da tutta l’India sono in sit-in permanente, accampati alle porte di Delhi ma il governo sembra inamovibile. Anche se non sempre inquadrate dai media, le comunità Adivasi si sono da subito unite alle proteste contro la liberalizzazione del settore. L’Adivasi Adhikar Rashtriya Manch (Forum nazionale per i diritti degli Adivasi) ha detto che «gli Adivasi saranno la comunità più colpita».

Leggi anche:
India: Delhi, musulmani travolti dalla violenza hindu 
India, proteste e scontri sulla legge anti-musulmani: 6 morti, centinaia di feriti 

india proteste contadini
Uomo della tribù Mising, agricoltori che pascolano animali lungo il Brahmaputra – Foto: © Survival

L’impatto della riforma agraria sulle comunità Adivasi

«La visione che si cela dietro la riforma è quella di un’agricoltura altamente industrializzata, che spazzerebbe via l’agricoltura sostenibile e su piccola scala. In tutta l’India, i contadini hanno compreso i danni profondi che questa riforma arrecherà alle loro vite, alle loro terre e ai loro mezzi di sussistenza. E questo vale in particolare per i contadini Adivasi, che sono coloro che hanno più da perdere», dice ancora la ricercatrice di Survival.

Decine di milioni di indigeni sopravvivono raccogliendo foglie, frutti, fiori da vendere o legna da ardere e dipendono dalla foresta per il loro sostentamento. La paura è che la corporativizzazione del settore agricolo promossa dal governo Modi peggiorerà la situazione dei contadini senza terra – come gli Adivasi e i braccianti agricoli – spingendoli in una situazione di indebitamento e di sempre maggiore dipendenza dal settore privato.

1 Commento
  1. Gianni Sartori dice

    DALL’INDIA ALLE FILIPPINE: IN MANCANZA DI GUERRIGLIERI SI AMMAZZANO INDIGENI E CONTADINI

    Mascherare la repressione pura e semplice, in molti casi l’esecuzione extragiudiziale, come “operazione militare contro la guerriglia” rientra nei metodi, nello “stile”, delle guerre a bassa intensità (per quanto “bassa” risulti spesso un eufemismo).

    Lo si è visto in America Latina, dalla Colombia al Guatemala, dove venivano venduti ai media come cadaveri di combattenti i poveri corpi massacrati di contadini e indigeni. Talvolta interi villaggi.

    O addirittura esibirli come vittime della guerriglia.

    Per esempio in Colombia era pratica consolidata quella di attribuire alle FARC o all’ELN la responsabilità dei massacri di civili operati dall’esercito, dalla polizia, dai paramilitari o da squadroni della morte (in genere legati al narcotraffico).

    Del resto succedeva anche in India. Solo neldicembre 2019, dopo quasi otto anni, una commissione guidata dal giudice V.K. Agrawal aveva finalmente stabilito la verità in merito agli eventi di Sarkeguda dove, nel giugno 2012, vennero assassinati 17 adivasi (gli aborigeni dell’India), di cui sette bambini. Un massacro ufficialmente presentato come uno scontro con la guerriglia maoista, i naxaliti. Quel mattino i paramilitari (le CRPF) avevano circondato gli abitanti del villaggio riuniti per la festa tradizionale di Beej Pondum aprendo quindi il fuoco. Successivamente si erano scatenati infierendo ulteriormente sulle persone ferite rimaste a terra.

    Due recenti episodi sembrerebbero riproporre lo schema. Il primo ancora in India, l’altro nelle Filippine.

    Il 25 ottobre tre indigeni adivasi, esponenti del Partito Comunista dell’India (Maoista), sono stati uccisi dalle forze di sicurezza nei pressi della frontiera tra gli Stati del Telangana del Chhattisgarh.

    Si trattava di quadri a livello regionale del partito, ma non di esponenti della guerriglia naxalita. Come invece ha cercato di dar a intendere un comunicato delle forze di sicurezza parlando di uno “scontro a fuoco” che in realtà non sarebbe mai avvenuto. Stando almeno a quanto dichiara il PCI (M) che definisce l’episodio “un’esecuzione mascherata da combattimento”. Va detto che i naxaliti rivendicano sempre le loro operazioni e i militanti caduti in combattimento. L’accusa alle forze di sicurezza di aver agito come una squadra della morte va quindi presa in seria considerazione. Di conseguenza il PCI(M) ha chiamato la popolazione della regione a sollevarsi con uno sciopero generale contro la triplice barbara esecuzione.

    Quasi contemporaneamente nelle Filippine il capo della polizia nazionale – generale Guillermo Eleazar – si è complimentato con l’ufficio regionale della polizia 5 (PRO-5) per aver “neutralizzato” (ossia ucciso) cinque presunti appartenenti a NPA (Nuovo esercito popolare) a Barangay Bugtong (provincia di Masbate). Ma anche in questo caso, come ha immediatamente denunciato il Partito comunista delle Filippine (ramo politico di NPA), si trattava di semplici contadini, non di guerriglieri. Anche perché in questa zona notoriamente non è presente alcuna unità di NPA.

    Gianni Sartori

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.