Sahara Occidentale: l’infinita guerra tra Fronte Polisario e Marocco
Il popolo Saharawi torna a denunciare violazioni dei diritti da parte del Marocco, che continua a negare il referendum per l’indipendenza, promesso nel lontano 1991: ecco cosa sta succedendo
L’escalation di violenza e rappresaglie nei territori del Sahara Occidentale è aumentata con la rottura del cessate il fuoco a novembre 2020. Il 30 marzo le unità popolari dell’Esercito di liberazione popolare Saharawi hanno bombardato alcune postazioni strategiche marocchine dislocate lungo il muro. E tra il 7 e l’8 aprile «il capo di stato maggiore della gendarmeria del Fronte Polisario (il movimento per l’indipendenza del Sahara Occidentale, ndr), Addah Al-Bendir, è stato ucciso da un attacco di droni marocchini a Tifariti, nella zona liberata del Sahara Occidentale», secondo quanto denunciato da Mustafa Salma, ex capo della polizia del Fronte Polisario.
Gli attacchi dell’Esercito Saharawi continuano senza sosta al ritmo di almeno uno alla settimana e non si conosce il numero di vittime causate da queste azioni. Dall’altro lato a destare preoccupazione ci sono le rappresaglie contro gli attivisti per i diritti della popolazione Saharawi che stanno subendo violenze da parte delle autorità del Marocco.
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Mohamed Lamin Haddi, giornalista detenuto dal 2010
Mercoledì 31 marzo l’Associazione degli immigrati Saharawi nella città spagnola di Cantabria, insieme ad altre associazioni, attraverso un comunicato, ha chiesto la fine della repressione dei cittadini Saharawi da parte del Marocco denunciando il caso del giornalista Saharawi Mohamed Lamin Haddi.
Lo scorso 13 gennaio Haddi ha avviato uno sciopero della fame interrotto pochi giorni fa dalle autorità marocchine, che gli hanno imposto l’alimentazione. Il caso di Lamin Haddi, rinchiuso in carcere dal 2010 e condannato a 25 anni per crimini politici, è stato portato all’attenzione del Parlamento europeo con un’apposita interrogazione nella quale si chiedeva come si potesse conciliare l’accordo tra Unione europea e Regno del Marocco con il fatto che i diritti del popolo Saharawi vengono continuamente violati.
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Sultana Khaya: donna in prima linea per i diritti Saharawi
I media locali insistono, inoltre, a denunciare gli attacchi all’attivista Saharawi Sultana Khaya. Donna che continua a manifestare per i diritti della popolazione Saharawi. L’ultimo attacco risale soltanto a lunedì 29 marzo. Non un’aggressione fisica, ma il distacco della corrente dall’abitazione affinché non potesse comunicare con l’esterno.
Sultana Khaya, presidente della Lega Saharawi per la difesa dei diritti umani e la protezione delle risorse naturali e membro della Commissione Saharawi contro l’occupazione marocchina, lo scorso 13 febbraio è stata ferita al viso e all’occhio dopo essere stata colpita da un lancio di pietre da parte forze di sicurezza marocchine.
Prima ancora un’altra aggressione si era verificata il 19 novembre dello scorso anno e coinvolse anche la mamma di 85 anni e la sorella. Il suo caso è monitorato da Human Rights Watch. «Le autorità marocchine – ha affermato Eric Goldstein, direttore ad interim della ong per il Medio Oriente e il Nord Africa – potrebbero non gradire le opinioni pro-indipendenza e lo stile schietto di Sultana Khaya. Eppure parlare pacificamente rimane un suo diritto e nulla giustifica il blocco della sua casa senza alcuna motivazione».
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Human Rights Watch ha svolto un’inchiesta sulle limitazioni alla libertà imposte all’attivista ricostruendo tutte le aggressioni subite. La risposta della delegazione interministeriale del Marocco è stata che non si è verificata alcuna limitazione della libertà, bensì la veniva semplicemente esortata a rispettare le misure imposte dalla pandemia.
Quella del rispetto delle misure anti Covid è apparsa al presidente di Human Rights Watch come una scusa:
«I continui appostamenti della polizia attorno alla casa di Sultana Khaya dimostrano come il Marocco voglia mantenere la pressione, anche psicologica, su coloro che rifiutano la sua rivendicazione di sovranità sul Sahara occidentale».
Insomma, in quel lembo di terra non sembra esserci pace e gli sbocchi diplomatici non lasciano presagire nulla di buono.
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Sahara Occidentale: Onu, Polisario, speranze di uno Stato indipendente e storia di una guerra dimenticata
Il territorio è appetibile perché ricco di fosfati e zona di pesca e a farne le spese sono le migliaia e migliaia di giovani Saharawi cresciuti nei capi profughi del confinante deserto dell’Algeria. La maggior parte del Sahara Occidentale è stata sotto il controllo marocchino da quando la Spagna, ex amministratore coloniale del territorio, si è ritirata nel 1975.
Nel 1991, sia il Marocco sia il Fonte Polisario, un’organizzazione militante e un movimento politico del Sahara Occidentale per il diritto all’autodeterminazione, hanno concordato il cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite con l’intento di arrivare al referendum sull’autodeterminazione. Referendum che non si è mai svolto.
Il Marocco considera il Sahara occidentale come parte integrante del Regno e respinge le richieste di un voto sull’autodeterminazione che includerebbe l’indipendenza come opzione. Di fatto oggi in quel lembo di Africa si sta svolgendo una guerra dimenticata dai media internazionali.
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La situazione attuale: associazioni italiane in Sahara Occidentale
In Italia sono almeno una settantina le associazioni che seguono da vicino l’evolversi della situazione nel Sahara Occidentale. L’associazione Jaima Sahrawi di Reggio Emilia è una delle più attive soprattutto nel campo profughi di Tindouf, che ha ormai superato le 200 mila presenze.
«Negli ultimi anni abbiamo lavorato duramente ottenendo ottimi risultati soprattutto con i ragazzi più giovani. Pur tra mille difficoltà la scuola funziona e la maggior parte dei giovani crescono imparando due lingue, l’arabo e lo spagnolo», dice la presidentessa Caterina Lusardi.
Racconta che l’ultima volta che si è recata a Tindouf risale al mese di gennaio dello scorso anno, poi i viaggi sono stati sospesi a causa dalla pandemia che, fortunatamente, non pare avere creato gravissimi problemi nel capo profughi.
Le autorità marocchine però non vedono di buon occhio attivisti per i diritti umani e giornalisti. Quattro anni fa la stessa Lusardi e altri membri dell’associazione atterrati all’aeroporto di Laayoune vennero trattenuti sull’aereo dalle autorità marocchine e rispediti indietro. Tutto si svolse senza alcuna forma di violenza fisica, ma l’episodio dimostrò come la presenza di attivisti, volontari e giornalisti nel Sahara Occidentale non sia ben tollerata dalle autorità marocchine.