Glencore, le azioni del gigante minerario in Ciad saranno giudicate dall’Ocse
La multinazionale anglo-svizzera dovrà rispondere delle accuse di fuoriuscita di acque reflue tossiche in Ciad davanti all'Ocse britannica. Decine di persone dichiarano di aver subito gravi ustioni, lesioni cutanee e malattie dopo il contatto con l'acqua contaminata
Il governo britannico ha accolto una denuncia presentata da tre associazioni per la tutela dei diritti umani contro il colosso minerario anglo-svizzero Glencore in merito a una fuoriuscita di acque reflue tossiche in Ciad, dove decine di persone sostengono di aver subito gravi ustioni, lesioni cutanee e malattie dopo il contatto con l’acqua contaminata.
I funzionari del Dipartimento per il commercio internazionale, che controlla se le aziende con sede nel Regno Unito rispettino le linee guida dell’Ocse per un business responsabile, hanno deciso che le questioni sollevate dalle tre associazioni «meritano un ulteriore esame». È la prima volta che Glencore affronta un reclamo dell’Ocse in Gran Bretagna.
«La decisione del Regno Unito di accettare la denuncia offre un’opportunità a coloro che sono stati danneggiati dalle operazioni della Glencore di essere finalmente ascoltati e di essere risarciti per i danni subiti», ha detto Anneke Van Woudenberg, direttore esecutivo di Rights and Accountability in Development (Raid), una delle tre associazioni che hanno presentato la denuncia e che lo scorso anno aveva pubblicato un dettagliato report sull’incidente.
Le altre due associazioni che hanno presentato il ricorso sono l’organizzazione ciadiana Public interest law Center e l’Associazione dei giovani ciadiani della zona petrolifera (Association des Jeunes Tchadiens de la Zone Petroliere – Ajtzp).
La palla passa ora al Punto di contatto nazionale (Ncp) britannico, che supervisiona l’attuazione delle linee guida Ocse e che farà da mediatore tra le parti. Se la mediazione fallirà, l’Ncp valuterà se le violazioni dei diritti umani denunciate si sono verificate o meno e pubblicherà le sue conclusioni.
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Scandalo Glencore: l’accusa di sversamento di acque tossiche
La denuncia presentata dalle tre organizzazioni per i diritti umani è arrivata a due anni di distanza da un incidente che si è verificato a Badila, nel sud del Ciad. Il 10 settembre 2018, stando alla loro ricostruzione, una cisterna che conteneva l’acqua di scarto derivata dalla lavorazione di petrolio greggio è crollata e ciò ha provocato lo sversamento di 85 milioni di litri di acque reflue che hanno allagato i campi agricoli e si sono poi riversate nel fiume Nya Pende.
All’interno del report pubblicato nel 2020, contenente le testimonianze dei residenti e della popolazione locale, si legge che la cisterna da settimane aveva delle perdite, ma Glencore ha trascurato il problema e non ha avvertito la popolazione locale.
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Azioni contestate a Glencore: danni alla salute e moria di animali
Gli incidenti avrebbero quindi causato ustioni, lesioni cutanee, malattie e diarrea almeno a 50 residenti che si sono bagnati nel fiume o ne hanno bevuto l’acqua. Molti tra i feriti sono bambini e, secondo le testimonianze riportate dal quotidiano britannico The Guardian, un ragazzo di 13 anni non è stato in grado di muovere il suo corpo per un anno intero dopo essersi immerso nel fiume, proprio a causa delle ustioni da petrolio riportate.
Diversi sono i cittadini che hanno richiesto il ricovero in ospedale ed è stata denunciata una moria di animali. Un aspetto non secondario per un paese fortemente rurale dove la vita delle comunità si basa soprattutto sull’agricoltura, la pesca e l’allevamento. Ad oggi i residenti affermano che Glencore non ha ancora riconosciuto i danni e non ha parlato di risarcimento.
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«Glencore ha violato le linee guida dell’Ocse»
La denuncia è stata fatta per conto di circa 18.000 cittadini ciadiani che sono stati interessati dalle operazioni estrattive di Badila.
Per Van Woundenberg, «nessuna comunità, in Africa o altrove, dovrebbe aspettare due anni perché si avviino indagini per sapere se la fuoriuscita di sostanze tossiche ha avuto effetti sulla salute di bambini e altri cittadini. Riteniamo che Glencore abbia violato le linee guida dell’Ocse e speriamo che il governo britannico si impegni al massimo per fare luce e riparare la popolazione dai torti subiti».
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Multinazionale anglo-svizzera al centro di un altro incidente in Ciad
Il 21 luglio 2020 si è verificato un altro sversamento presso il giacimento di Badila. In questo caso è fuoriuscito dell’olio da un pozzetto che ha contaminato ulteriormente le acque del fiume e i campi. Nel villaggio di Melom, vicino al giacimento petrolifero, i residenti hanno riferito di una patina di idrocarburi sull’acqua potabile del pozzo locale.
In questo caso Glencore si è immediatamente attivata per ripulire la fuoriuscita e per informare i residenti di non bere l’acqua e poi, attraverso un comunicato diffuso da Raid, Glencore ha dichiarato che dalle analisi della fuoriuscita «non c’è alcuna prova che possa dimostrare che l’inquinamento dell’acqua del pozzo di Melom sia dovuto al rilascio di sostanze dal sito estrattivo di Badila».
Parole che però non hanno convinto l’attivista Aristote Benainou di Ajtzp, che ha chiesto che i risultati dei test sull’acqua di Glencore fossero divulgati. Poco dopo il difensore dei diritti umani ha subito pressioni dalle autorità di Idriss Deby che hanno emesso un mandato di cattura nei suoi confronti e gli uffici dell’Ajtzp, il principale gruppo della società civile impegnato nel controllare e monitorare gli effetti delle operazioni petrolifere di Glencore e le loro ripercussioni sulla popolazione locale, sono stati chiusi.