Brasile: salute mentale, Bolsonaro vuole l’elettroshock

Il governo brasiliano nomina un sostenitore dell'elettroshock per riformare la politica del ministero. Raccolte firme per impedire il ritorno alla pratica "manicomiale". Per il sociologo Dario Sousa e Silva è una "scelta legata al simbolismo politico di Bolsonaro e alla sua necropolitica"

da Rio de Janeiro, Brasile

Tra novembre 2020 e febbraio 2021 – mentre la curva dei contagi da Covid-19 denunciava l’inizio della seconda ondata che in gennaio avrebbe causato la morte di migliaia di persone asfissiate negli ospedali di Manaus – una diversa priorità animava i corridoi del ministero della Salute del Brasile: la riforma delle politiche di salute mentale. Il 18 febbraio l’allora ministro Eduardo Pazuello ha nominato lo psichiatra Rafael Bernardon Ribeiro coordinatore generale dell’ufficio Salute mentale, alcolismo e altre droghe, inserito nel Dipartimento delle azioni programmatiche strategiche del ministero.

Sarà lui a dover mettere ordine nelle oltre 100 disposizioni tra circolari, ordinanze e leggi che negli ultimi 30 anni hanno caratterizzato il percorso di uscita del Brasile dalla politica manicomiale, basata su ricoveri, scosse elettriche e sistematiche violazioni di diritti umani, in direzione di una pratica umanizzata che valorizza la libertà del paziente e l’assistenza territoriale.

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Chi è Bernardon, sostenitore dell’elettroshock

Il dottor Bernardon Ribeiro, docente universitario e socio dell’associazione Sos Psichiatria, è un fervido difensore della Terapia elettroconvulsivante (Tec) e della Neuromodulazione, note comunemente come elettroshock.

In un’intervista del 2013 lo psichiatra affermava che «la terapia elettroconvulsivante è utilizzata in medicina dal 1938, il fatto che sia ancora usata è perché è molto buona». Chiarendo inoltre che ne viene raccomandato il trattamento per «casi più gravi che non hanno alcuna risposta ai farmaci».

Nonostante il protocollo di utilizzo sia regolamentato dal Consiglio federale di medicina (Cfm) dal 2002, non c’è unanimità nella comunità medica per quanto riguarda efficacia e rischi. Il trattamento è controverso in particolare a causa del meccanismo d’azione ancora sconosciuto e dell’incertezza sugli effetti collaterali cognitivi.

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Ex manicomio di Colorno – Foto: Paolo Lottini (via Flickr)

Polica punitiva: le ragioni dietro alla decisione di Bolsonaro

I motivi che animano l’azione del presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, avviata già a partire dalle settimane successive al suo insediamento nel gennaio 2019, sono politici e simbolici. Come spiega il sociologo dell’Università di Stato di Rio de Janeiro (Uerj), Dario Sousa e Silva Filho: «Al netto della competenza come medico del dottor Bernardon Ribeiro, c’è un aspetto simbolico nel termine elettroshock, usato come punizione e non come trattamento per persone considerate compromesse mentalmente, sia per nemici politici come forma di tortura. Questo valore simbolico viene usato dal presidente Bolsonaro per rifornire la stampa di informazioni che ricordino la sua fedeltà a una causa, da lui presentata come una causa conservatrice. Uno strumento per alimentare il legame con suoi sostenitori».

Facendo questo – sostiene Sousa e Silva – Bolsonaro rinforza un’idea politica associata alla tortura, che lui dichiaratamente difende, a una relazione punitiva con la società e a una violenza come forma per mantenere l’ordine predominante. L’ordine nello spettro politico che il presidente difende ha la violenza come pilastro fondamentale ed elemento centrale. Questo coinvolge tutti i campi: religioso, nel trattamento della salute mentale e in quello della salute in generale, concretizzandosi ad esempio nella negligenza praticata di proposito e verbalizzata nel corso della pandemia di Covid-19».

Secondo il docente dell’Uerj, «tutto si unisce nell’universo politico simbolico comune della necropolitica, che si sintetizza in uccidere e lasciare morire. Questa prospettiva si allontana, nel campo della salute mentale, da una prospettiva pensata a partire da Nise Da Silvieira, basata sul trattamento umanizzato che vede il paziente come persona e l’individuo in chiave di re-integrazione, attraverso il trattamento con l’arte e in favore dello stimolo alla soggettività».

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Da Temer a Bolsonaro: l’allarme della comunità scientifica

La nomina dello psichiatra Bernardon Ribeiro è stata accolta con preoccupazione dalla comunità scientifica. Una raccolta firme, aperta sulla piattaforma Change.org, ha ottenuto più di 65.000 adesioni in meno di due settimane. Gli esponenti della lotta anti-manicomiale erano in allarme già dal 2017, con l’avvio della revisione delle politiche della salute mentale del governo del presidente Michel Temer, che aveva istituito un gruppo di lavoro per «analizzare, discutere, migliorare, revocare e creare nuovi strumenti per garantire il rispetto della nuova politica nazionale sulla salute mentale». La Commissione è stata creata ufficialmente per mettere ordine nelle oltre 100 ordinanze legate alla salute mentale, tra cui alcune che «confondono i dirigenti e ostacolano il lavoro di monitoraggio e consolidamento efficace delle politiche».

Una delle ultime misure del governo di Michel Temer, nel novembre 2018, è stata quella di tagliare il trasferimento di 12 milioni di euro ai Centri di assistenza psicosociale territoriali(Caps).

Secondo l’antropologa Beatriz Brandão, ricercatrice dell’Università di San Paolo (Usp) e dell’Istituto di ricerca economica applicata (Ipea), le misure dei governi Temer e Bolsonaro mirano a distruggere i progressi effettuati a partire dagli anni ’80 e concretizzatesi nella legge 10.216 del 2001 che «prevede la protezione dei diritti delle persone con disturbi mentali e struttura un modello assistenziale per la salute mentale». Questa svolta politica e legale, sottolinea Brandão, «ha permesso di ottenere progressi sociali in chiave anti-manicomiale e anti-ospedalecentrico».

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Manicomio di Colorno – Foto: Paolo Lottini (via Flickr)

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«Questo contesto di conquista diventa fragile quando riceve colpi assestati alle fondamenta», afferma Brandão, evidenziando che «la riforma psichiatrica rese possibile una ridefinizione dei servizi in una prospettiva di lavoro in rete, con logica inter-settoriale e multi-disciplinare innovativa rispetto al passato, attraverso i centri di salute mentale territoriali. Una prospettiva ancorata al concetto di riduzione del danno attraverso la cura in libertà che rende possibile la promozione di una salute integrale».

«Il governo attuale è guidato dall’antico modello di ricovero, isolamento sociale e distanziamento relazionale. La logica dell’esilio continua a essere perpetuata in ogni azione governativa. Non c’è nulla di nuovo rispetto ad azioni disumane e politicamente anacronistiche adottate già in alti contesti».

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