Eni Nigeria: la sentenza del processo Opl 245 assolve tutti in primo grado
Per i giudici di Milano «il fatto non sussiste»: si chiude così il primo grado del processo Opl 245 durato tre anni, che vedeva Eni, Shell e tredici imputati accusati a vario titolo di corruzione internazionale per una presunta maxi tangente da 1,1 miliardi di dollari. Restano aperti altri procedimenti in Nigeria e Regno Unito, mentre in Olanda proseguono le indagini
I tredici imputati del processo Opl 245 – insieme alle due società alla sbarra, Eni e Shell – sono stati tutti assolti dall’accusa di corruzione internazionale perché «il fatto non sussiste». Si chiude così il primo grado di giudizio, dopo oltre tre anni di udienze.
Alla lettura del dispositivo, le difese si sono lasciate andare ad abbracci ed esultanze, visibilmente emozionate per un esito tanto favorevole. «Siamo soddisfatti», dichiara alle televisioni l’avvocato di Eni Nerio Diodà alla lettura della sentenza. Parla di «grande civiltà giuridica» e sostiene che il verdetto conferma il buon operato e le scelte di Eni in Nigeria.
A uscirne rafforzato è soprattutto l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, sulla cui gestione il processo aveva allungato un’ombra pesante. «Finalmente a Claudio Descalzi è stata restituita la sua reputazione professionale e a Eni il suo ruolo di grande azienda», è stato il commento del suo difensore, l’avvocata Paola Severino.
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Eni Nigeria: il processo, l’accusa di corruzione internazionale e le presunte tangenti per Opl 245
A innescare il procedimento penale sono state le ong Re:Common, Global Witness, Corner House con il supporto della nigeriana Heda Consulting. Le organizzazioni non governative avevano depositato alla procura di Milano un esposto nel 2013.
Il capo d’imputazione principale era concorso in corruzione internazionale aggravata: Eni, insieme a Shell, era l’ipotesi, si sarebbe aggiudicata la licenza di esplorazione petrolifera Opl 245, un giacimento offshore in Nigeria dal valore stimato di 9 miliardi di barili, a seguito del pagamento di una tangente da 1,1 miliardi di dollari.
Secondo la tesi accusatoria, smentita dal verdetto di primo grado, gli allora manager di Eni avrebbero incassato “retrocessioni” per 50 milioni di euro. Il pagamento considerato tangente dai magistrati era transitato da un conto della banca Jp Morgan a Londra, di proprietà dello stesso governo nigeriano.
Nessun elemento di prova – in prevalenza email scambiate tra i vertici di Shell con manager Eni sequestrate dalla polizia olandese durante le perquisizioni al quartier generale dell’azienda nel 2016 – è sopravvissuto al primo grado di giudizio.
Nemmeno gli elementi su Dan Etete, ex ministro del petrolio in Nigeria e proprietario-ombra di Malabu, società che ha venduto la licenza petrolifera a Eni e Shell e che secondo i tracciamenti di denaro realizzati da Fbi e Guardia di finanza di Milano ha ricevuto una parte consistente dei soldi passati dal conto corrente di Jp Morgan del governo nigeriano.
«La sentenza di oggi – è il commento di Re:Common – è molto deludente, ma non ci fermerà nel nostro sforzo di portare queste aziende a rispondere delle loro azioni. Attendiamo quindi di leggere le motivazioni della sentenza e le spiegazioni che il tribunale di Milano darà alle pesanti ombre emerse su questa vicenda nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Ci auguriamo sin da ora che il probabile processo d’appello possa ribaltare quanto deciso oggi dalla corte milanese».
Ora si attende la deposizione delle motivazioni della sentenza, per le quali il tribunale ha chiesto 90 giorni di tempo, e il probabile appello della procura.
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Le richieste di condanna per Descalzi, Scaroni e gli altri imputati del processo Eni Nigeria
Al termine della requisitoria di luglio 2020, i magistrati Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro avevano chiesto otto anni di carcere agli allora vertici di Eni Paolo Scaroni (attuale presidente di Rotschild e del Milan) e Claudio Descalzi (all’epoca numero due dell’azienda, oggi numero uno).
Per gli altri dirigenti di Eni Ciro Pagano (allora managing director della Nigerian Agip Exploration, società del gruppo Eni) e Roberto Casula (vice presidente dell’area subsahariana all’epoca, dal 2019 alla guida negli Stati Uniti di Eni Next Llc, iniziativa d’investimento per finanziare tecnologie energetiche all’avanguardia) l’accusa ha chiesto rispettivamente sei anni e otto mesi e sette anni e quattro mesi.
Per l’imputato-accusatore Vincenzo Armanna, definito dai magistrati project leader del progetto Opl 245 in Nigeria, sono stati chiesti sei anni e otto mesi.
Per Luigi Bisignani, lobbista con già all’attivo condanne e patteggiamenti per corruzione, la procura aveva chiesto sei anni e otto mesi.
Sette anni e quattro mesi, invece, erano stati chiesti per Malcom Brinded, il numero tre di Shell. Per il collega Peter Robinson e per gli ex agenti dell’intelligence britannica impiegati dalla società petrolifera anglo-olandese Guy Colgate e John Coplestone la richiesta è stata di sei anni e otto mesi.
Sei anni è quanto l’accusa ha chiesto anche per Gianfranco Falcioni, ex vice console onorario in Nigeria, ed Ednan Agaev, ex ambasciatore russo in Colombia.
Per l’ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete erano stati chiesti dieci anni di carcere.
A Eni e Shell erano stati chiesti in solido danni per 1,092 miliardi di dollari, pari alla somma della tangente contestata.
Tra aprile e maggio sono previste udienze e sentenza d’appello per il filone processuale che è andato a sentenza con rito abbreviato dove gli imputati sono Emeka Obi e Gianluca Di Nardo, entrambi ritenuti intermediari della tangente. Sono stati condannati a quattro anni di carcere.
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Processo Eni Nigeria: la sentenza non blocca i procedimenti in Nigeria, Olanda e Regno Unito
Tutta la vicenda legata alla licenza Opl 245 nel corso di questi anni ha dato origine a diversi procedimenti giudiziari, il cui esito è probabile che venga condizionato dalla sentenza milanese.
In Nigeria ci sono tre tronconi processuali per frode, corruzione e riciclaggio. Al centro Mohammed Adoke Bello, ex ministro della Giustizia nigeriano, che secondo l’ipotesi dei procuratori di Milano, smentita dai giudici della Settima sezione del Tribunale, avrebbe spinto per far concludere l’accordo con Eni e Shell con l’idea di trarne un vantaggio personale attraverso l’imprenditore Aliyu Abubakar, soprannominato dalla polizia giudiziaria nigeriana “Mr Corruption”. I processi vanno a rilento anche a causa dell’emergenza sanitaria.
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In Olanda, Paese in cui Shell ha la propria sede centrale, le indagini sono ancora in corso. A seguito della chiusura, la procura generale deciderà se procedere o meno con il rinvio a giudizio. L’orizzonte temporale previsto è quello della fine del 2021.
Ultimo Paese toccato da procedimenti legati a Opl 245 è la Gran Bretagna, dove entro la fine del 2021 presso la Corte civile di Londra si svolgerà il caso che vede il governo federale della Nigeria rivalersi contro Jp Morgan, la banca dalla quale sono passati i soldi della transazione.