Carcere e Covid: ecco qual è la situazione nei penitenziari italiani
La terza ondata di Covid-19 entra nelle carceri italiane. Dove ad essere colpiti sono sia i detenuti, sia gli agenti. Mentre le vaccinazioni vanno a rilento. Ecco cosa sta succedendo e come evitare che esplodano queste "bombe epidemiologiche"
Il carcere, ai tempi della pandemia. La marea montante dei contagi non sta risparmiando le patrie galere, dove un anno fa scoppiarono decine di rivolte e persero la vita 13 detenuti, una strage senza precedenti, attribuita a overdosi di metadone e psicofarmaci (leggi anche Carceri italiane in rivolta: morti, violenze ed evasioni).
Il nuovo coronavirus in questi mesi ha ucciso altre persone, tra carcerati, agenti e personale medico. Gli infettati, in prevalenza asintomatici, si contano a centinaia.
Le vaccinazioni sono partite, ma a singhiozzo e in modo non omogeneo, stando a quanto denunciano fonti sindacali e addetti ai lavori. Una situazione resa ancora più instabile dalla sospensione temporanea dell’utilizzo dei vaccini AstraZeneca decisa il 15 marzo.
Gli ultimi dati sul Covid-19 dietro le sbarre
Nella prima decade di marzo, con una inversione di tendenza, il numero dei reclusi infettati dal Coronavirus è salito dai 410 segnalati l’1 marzo ai 468 dell’8 marzo (+14,1%) e poi ai 470 dell’11 marzo (+ 14,6% da inizio mese). Sono aumentati in modo rilevante anche gli agenti della polizia penitenziaria risultati positivi, passati dai 562 dell’1 marzo ai 612 dell’8 marzo (+8,2%) e ai 655 del’11 marzo (+ 16,5% rispetto a inizio mese).
In parallelo è rimasta stabile la popolazione carceraria, svanito l’effetto dei provvedimenti di alleggerimento varati nelle prime fasi della pandemia, quando le presenze superavano quota 61.200.
Il 1° marzo di quest’anno si contavano 52.644 donne e uomini (più 27 bambini, figli di mamme detenute) stipati negli spazi ristretti di 189 penitenziari. L’8 marzo il totale era di poco inferiore, 52.599 alla conta, a fronte di quasi 40mila agenti e graduati in divisa e a circa 4mila tra dipendenti amministrativi e dirigenti (49 dei quali risultavano positivi l’1 marzo e l’11 marzo, passando per i 48 dell’8 marzo), cui aggiungere medici e infermieri, insegnanti, mediatori, cappellani e volontari (dove ammessi).
Carcere e Covid-19: la morte non risparmia detenuti, agenti, medici
L’associazione Ristretti Orizzonti (dossier Morire di carcere) dalla primavera 2020 a inizio marzo 2021 ha avuto notizia di 18 reclusi stroncati dal virus.
Il Covid, stando a sindacati e colleghi, in contemporanea è costato la vita a 4 medici penitenziari (di Foggia, Massa, Brescia e Napoli Secondigliano) e ad almeno 10 poliziotti penitenziari, 3 dei quali in servizio a Carinola (in provincia di Caserta).
Potrebbero essere ancora di più? Altre tragedie irrimediabili sono sfuggite al censimento informale? Sul sito del ministero di Giustizia il riepilogo dei decessi non c’è, non nella pagine web con i monitoraggi settimanali resi pubblici.
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Vaccinazioni a singhiozzo per carcerati, polizia e dipendenti
La macchina delle vaccinazioni è partita, anche dietro i portoni blindati e i muraglioni, con situazioni differenziate da regione a regione e da istituto ai istituto. All’8 marzo erano stati vaccinati 927 dei 52.599 detenuti presenti, meno del 2 per cento. L’11 marzo si è arrivati a 1.331 reclusi immunizzati (intorno al 2,5%), sempre pochi rispetto al totale, però con un incremento relativamente marcato (+43,6% in 72 ore).
Il personale di polizia penitenziaria “avviato alla vaccinazione” (formula ambigua, che sembra mettere insieme chi ha avuto l’antidoto e chi sta per averlo) l’8 marzo ammontava a 5.764 delle 36.939 “divise” in organico (il 15,6%,) e l’11 marzo a 8.253 (+43,2% da inizio mese). Però in alcune regioni, il Molise ad esempio, nel primo scorcio del mese per gli agenti della polpenitenziaria la somministrazione non era ancora stata avviata.
I dipendenti amministrativi e i dirigenti destinatari della prima dose (o in lista per riceverla a breve) l’1 marzo erano 503 su 4.021 (pari al 12,5%), l’11 marzo 711 (+41,3%).
Carcere e Covid: scarseggiano le dosi di vaccino
Gennarino De Fazio, segretario generale della UilPa, una delle sigle del personale in divisa, vede la situazione in chiaroscuro: «Sebbene la vaccinazione dei colleghi e dei detenuti sia iniziata e proceda complessivamente con una certa regolarità – anche se con maggiori difficoltà per i reclusi – nelle carceri si registrano difficoltà comuni al resto del Paese».
«L’ancora insufficiente disponibilità di dosi – continua De Fazio – e la territorializzazione del servizio sanitario (e del piano vaccinale, sino ad ora) non garantiscono né uniformità né interventi mirati laddove maggiori sarebbero le esigenze. In Campania, per citare un tragico caso, sono morti 5 colleghi. Eppure questa regione è fra le ultime a vaccinare le forze di polizia». Solo il 12 marzo è stato dato il via alle immunizzazioni degli operatori in divisa, ai quali è stata data la priorità.
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Toscana, il coronavirus entra nella fortezza del Maschio di Volterra
In Toscana ad allarmare particolarmente è Volterra, dove la fortezza del Maschio per un anno non era stata toccata dalla pandemia. Ora, invece, il disastro. Nel giro di pochi giorni – riportano i giornali locali e i dati ufficiali del ministero confermano – il numero di detenuti positivi è lievitato da 22 a 50, per poi schizzare a 58 l’11 marzo, un terzo del totale.
Pesante la situazione anche a Pescara (30 carcerati contagiati su 287 presenti all’11 marzo, con 36 agenti in malattia) e a Chieti. Di contro, in Calabria, a quella data i reclusi stavano tutti bene. Zero contagiati in cella (e 19 lavoratori malati).
La progressione del Covid nelle carceri della Lombardia
In Lombardia l’8 marzo i detenuti positivi censiti nelle 18 strutture per adulti erano 82. Il 10 marzo sono diventati 92, saliti a 97 il giorno dopo. Chi si ammala o entra positivo nei penitenziari della regione, in altre località, viene portato a San Vittore o Bollate, i due istituti-hub con decine di posti letto riservati a persone con il virus.
Non tutti i malati, viste le condizioni degli spazi e i tassi di affollamento, hanno la possibilità di stare da soli in cella. Anzi.
A San Vittore, al rilevamento del 10 marzo, risultavano zero persone infettate alloggiate in “camere di pernottamento” singole e 117 asintomatici messi in isolamento precauzionale in stanze con 2 o più compagni.
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Carcere e Covid-19, parla il garante dei detenuti di Milano
Francesco Maisto, garante per le persone private della libertà a Milano, racconta a Osservatorio Diritti: «Anche la situazione delle carceri milanesi risente di oscillazioni spaziali e temporali, nel senso che non vigono necessariamente le stesse regole nello stesso giorno in tutti gli istituti. A inizio marzo a Bollate si è sviluppato un focolaio nel primo reparto, posto temporaneamente in isolamento. Le vaccinazioni del personale civile e di polizia sono terminate per tutti. Questa settimana dovrebbe essere il turno dei detenuti, con i quali sono stati organizzati incontri informativi per raccogliere i consensi alla somministrazione del vaccino».
L’emergenza pandemia continua a condizionare pesantemente la vita quotidiana e l’esercizio dei diritti. «I colloqui in presenza – spiega sempre Maisto – subiscono variazione in relazione al colore delle zone esterne, quelli a distanza sono sempre garantiti. La possibilità di fruire dei permessi di uscita dipende dalle restrizioni generali, più pesanti quando si è in zona rossa. Le attività lavorative di Bollate e San Vittore funzionano. Nell’area industriale di Bollate è operativo il laboratorio di mascherine che rifornisce le carceri del Nord».
Il problema maggiore è per l’istruzione. «Al terzo reparto di Bollate hanno dovuto adottare contromisure e chiudere i corsi perché un’insegnante, sebbene tamponata, ha fatto lezione da positiva. A Opera sabato 6 marzo il direttore ha sospeso tutto senza motivo, sebbene 48 ore prima avesse assicurato il funzionamento in presenza per il polo universitario». Sempre a Opera – rivela il garante – «ai pochi volontari ammessi il tampone è stato effettuato a pagamento, a spese loro».
Covid e sovraffollamento, i timori alla Dozza di Bologna
A Bologna è la Cgil Funzione pubblica a rilanciare l’allerta, per voce di Salvatore Bianco: «Negli ultimi mesi alla Dozza si è fatto un buon lavoro per contenere i contagi. Ci sono alcuni casi, ad oggi, però la situazione per ora pare sotto controllo. I timori per il futuro prossimo derivano dalla combinazione tra Covid e sovraffollamento, un mix micidiale. A fronte di 492 posti regolari si contano quasi 750 presenze, oltre il tutto esaurito».
Attività e nuovi ingressi sospesi per contrastare il Covid
Dall’8 marzo – e non solo a Bologna, entrata prima in zona rossa – sono state sospese tutte le attività scolastiche, culturali, ricreative, sportive e religiose, con l’ingresso vietato a insegnati, formatori, volontari (esclusi quelli che seguono i detenuti-lavoratori e lo Sportello informativo e di mediazione) e ministri di culto.
I colloqui con i familiari restano possibili solo con videochiamate o con telefonate. «Si è arrivati alla saturazione, anche per via di alcuni reparti chiusi a causa dei casi positivi accertati. L’11 marzo – riferisce il garante bolognese dei detenuti, Antonio Iannello – il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria ha temporaneamente sospeso i nuovi ingressi, disponendo di portare arrestati e fermati a Modena».
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Covid preso in cella: nessun responsabile?
Il primo detenuto morto in Italia per Covid si chiamava Vicenzo Sucato, aveva 76 anni ed era finito dentro a Bologna per reati di mafia. Spirò in ospedale il 1° aprile 2020, ammesso alla detenzione domiciliare in corsia. La famiglia presentò un esposto, dando origine a un’indagine per omicidio colposo e ipotetiche omissioni.
La procura ha chiesto una prima volta l’archiviazione, non accordata dal giudice, e l’ha richiesta il 30 gennaio. L’avvocato dei parenti, Domenico La Blasca, si sfoga al telefono da Palermo: «I parenti alla fine hanno rinunciato a presentare di nuovo opposizione. Vincenzo si è aggravato quando era sotto la custodia e la responsabilità dello Stato, che era tenuto a salvaguardare la sua vita, a proteggerlo. Aveva almeno cinque o sei patologie importanti, oltre all’infezione, ed è morto in ospedale. Ma allora perché non era stato scarcerato prima dell’allarme Covid, come chiedevamo da mesi?».
L’analisi dell’associazione Antigone
Non a caso l’associazione Antigone ha intitolato Oltre il Covid l’ultimo rapporto sulle carceri italiane, presentato l’11 marzo: «La pandemia ha messo in risalto tutte le criticità che da tempo denunciavamo. Ha isolato ancora di più il carcere dal resto della società. Gli sforzi delle istituzioni si sono concentrati in questa fase sul contenimento dei contagi. Tuttavia bisogna guardare oltre il coronavirus. Con la sua scomparsa, che ci auguriamo avverrà presto, anche grazie alla somministrazione dei vaccini, però non spariranno i problemi del sistema penitenziario. La pandemia deve rappresentare l’occasione per non tornare indietro».