Sex worker: niente diritti per chi lavora nel settore del sesso

Diritti non riconosciuti, controlli continui, abusi, violenze e vuoti legislativi: il nuovo report del Comitato internazionale dei diritti dei lavoratori del sesso racconta la storia di 50 prostitute in dieci paesi, Italia compresa

Chi decide di vendere prestazioni sessuali nel mondo rischia di venir marginalizzato dagli stati, che puntano ad abolire la prostituzione perché considerata dannosa per le donne. A denunciarlo è il nuovo report del Comitato internazionale dei diritti dei lavoratori del sesso (International Committee on the Rights of Sex Workers in Europe, Icrse), che racconta la storia di 50 prostitute, per la maggior parte straniere, e di come vengano minacciate dalla polizia, dalle leggi abolizioniste e dalle ordinanze locali che criminalizzano i clienti.

«Il lavoro sessuale, o sex work, viene percepito come una devianza e non un lavoro. Se fosse considerato un lavoro vero saremmo nella fascia vulnerabile, dovuto alla globalizzazione del lavoro e l’immigrazione», dice a Osservatorio Diritti Pia Covre, presidente del Comitato per i diritti civili delle prostitute, che ha collaborato alla stesura del rapporto.

Chi sono le prostitute per scelta e i diritti negati

Oltre l’80% delle persone che operano in questo settore è straniero, in maggioranza senza documenti e legato a situazioni di dipendenza da protettori. Chi sceglie di lavorare in questo mercato non ha la possibilità di aprire una partita Iva o avere dei contratti che consentano di avere un posto di lavoro.

Malgrado il sex work sia riconosciuto in diversi paesi come Francia e Paesi Bassi, non vengono tutelati molti diritti come la salute per chi esercita, l’accesso alla pensione e ai documenti per chi è straniero. Il report denuncia come il più grande problema per queste lavoratrici sia il rapporto con le forze dell’ordine e il rischio di essere maltrattati dai clienti.

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Il mercato del sesso nel mondo: la testimonianza delle vittime

Il rapporto di Icrse descrive la situazione in dieci paesi (Austria, Belgio, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Irlanda, Paesi Bassi, Romania e Regno Unito) attraverso testimonianze di sex worker che denunciano danni subiti per la loro situazione di totale illegalità.

Le storie raccolte disegnano un mondo di violenza e solitudine contro chi abusa di loro.

«Molte volte vai con clienti cattivi che abusano di te e tu non puoi reagire perchè è difficile. A volte ti attaccano quando non [te lo] aspetti. Non ti danno il denaro, vogliono che tu gli dia il tuo e che faccia sesso con loro. Alcune volte li affrontiamo, l’altra volta mi sono spezzata il braccio e la gamba, ma non sono andata in ospedale perché avevo paura di essere denunciata», racconta una sex worker francese.

In Francia hanno adottato il modello svedese, che prevede la criminalizzazione del cliente e vieta la prostituzione in case chiuse. La legge in materia è osteggiata fortemente dalle associazioni che lavorano in questo settore. «La mancanza di posti sicuri dove lavorare conduce ad allontanarsi verso spazi periferici, dove si può entrare a contatto con criminalità e assenza di aiuto nel caso di abuso», dice Pia Covre.

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Sex worker e forze dell’ordine: il significato dei controlli per un lavoratore del sesso

Per la maggior parte dei casi le persone che fanno questo lavoro sono senza documenti, arrivano da paesi non europei e spesso sono minacciate di espatrio forzato.

Il report dà voce a queste paure, sostenendo che gli organi preposti alla tutela della sicurezza spesso diventano carnefici di queste lavoratrici. La maggior parte delle intervistate ha interagito con la polizia tramite controlli d’identità (57%), seguiti da controlli di residenza (30%), dati che indicano gli alti livelli di sorveglianza e profilazione che colpiscono questa comunità.

«La sorveglianza (della polizia) mi colpisce immensamente, perché una volta che mi conoscono, ovunque io vada mi seguono, mi fermano senza motivo, controllano la mia carta d’identità», racconta una persona che lavora in Romania.

Per le sex workers migranti questa relazione è spesso conflittuale in quanto sono viste come criminali che violano le leggi sull’immigrazione e sul lavoro sessuale, invece di essere percepite come vittime quando subiscono episodi di violenza e abuso.

Convenzioni internazionali dimenticate per i lavoratori del sesso

Il relatore speciale dell’Onu per i diritti delle persone migranti, Felipe Gonzalés Morales, nel 2018 aveva descritto così la situazione di chi affronta la migrazione per lavorare in questo settore:

«Le sex worker, il cui lavoro viene criminalizzato e stigmatizzato, costituiscono un altro gruppo di donne migranti che devono affrontare delle difficoltà peculiari per poter accedere alla giustizia. Inoltre, le leggi e le politiche di contrasto alla tratta delle persone vengono spesso usate per identificare, detenere e deportare migranti sprovviste di documenti e senza che sia fornita loro né assistenza né altro tipo di compensazione».

Il sistema giuridico europeo tutela la donna con la Direttiva sui diritti delle vittime di crimini e la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa (qui il Pdf) sulle violenza contro le donne. Documenti che tutelano la donna migrante ma che rischiano di introdurla in un percorso di accoglienza che la allontana dalla scelta di operare come sex worker.

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Sex worker e vittime di tratta

La figura della sex worker viene associata spesso alla vittima di tratta, esortando così i governi ad abolire la prostituzione intesa come sfruttamento e violenza maschile contro le donne. Il rischio però è includere nelle vittime di tratta anche migranti che utilizzano il mercato del sesso come necessità di lavoro, una scelta quindi personale lontana dalle logiche di sfruttamento.

Il lavoro di Icrse chiede di modificare parte della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw) che indica come sfruttamento femminile ogni lavoro sessuale retribuito. La proposta della associazioni di sex worker internazionali è quella di lavorare insieme alle istituzioni per garantire una protezione alle vittime di tratta, ma dare dignità lavorativa a chi desidera lavorare nel mercato del sesso.

Sex worker Italia: fermi agli anni ’50

In Italia il mercato del sesso è regolamentato con la legge Merlin, che vieta l’esercizio della prostituzione in case chiuse, il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione. Leonardo Monaco è segretario dell’Associazione Certi Diritti, che dal 2008 assiste anche legalmente questi soggetti.

«Il nostro sistema è abolizionista e punta alla criminalizzazione di chi lavora nel mercato del sesso. Lo scopo è abolire questo fenomeno rendendo sempre più complicato l’esercizio».

Oltre alla legge degli anni ’50, esistono per ogni comune ordinanze particolari utilizzate per regolamentare la presenza all’aperto del mercato sessuale.

«In Italia non siamo criminalizzate come in Francia, ma da noi ci sono le ordinanze a macchia di leopardo che proibiscono di avvicinare le prostitute. Questo si riversa verso chi eroga il servizio, ritrovandosi in ambienti poco sicuri e senza la possibilità di denunciare eventuali abusi», continua Pia Covre, vittima a suo tempo di abusi come furti e violenze.

Cosa fa la politica per i sex worker in Italia

Alla Commissione degli affari costituzionali del Senato esiste una commissione per indagine conoscitiva sulle sex workers che dovrebbe studiare la situazione del nostro paese, modificare e uniformare le proposte per una nuova regolamentazione del settore.

Leonardo Monaco vede una grande difficoltà di presa di posizione in Parlamento. «L’opinione politica è tagliata verticalmente, l’abolizionismo sta sia a destra sia a sinistra. Dobbiamo trovare strumenti utili perché si smetta di criminalizzare e si punti a dare vie legali anche a livello fiscale». La proposta di queste associazioni è adottare il modello neozelandese, che norma la complessità del mercato del sesso con la possibilità di lavorare all’aperto, al chiuso e decriminalizzando la clientela.

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sex worker cos'è

Diritti, lavoro, libertà: il significato delle richieste delle associazioni

La pandemia da coronavirus ha falcidiato questo mestiere, riducendo in povertà assoluta le circa 100 mila persone che operano nel settore. «Se fossimo riconosciute con una partita Iva avremmo almeno potuto chiedere i 600 euro dello Stato. Invece siamo state abbandonate e dobbiamo rivolgerci alle associazioni di assistenza per mangiare», condanna Pia Covre.

Nel report si ritiene che questo lavoro può essere incluso nella Convenzione sull’eliminazione della violenza e le molestie dell’Organizzazione internazionale del lavoro del 2019, un documento che impegna gli Stati a proteggere i lavoratori, inclusi quelli dell’economia informale e dunque i sex worker.

Una richiesta politica che mira a ridurre la clandestinità dei lavoratori informali e il rischio di violenza contro i lavoratori del sesso. Leonardo Monaco riporta il problema quindi al desiderio politico di includere questo settore nel mondo del lavoro legale. «Dobbiamo mettere in campo una serie di azioni legali, strumenti di riemersione fiscale come le aliquote fiscali agevolate, per permettere alle persone di poter legalizzare una scelta economica che convenga a tutti».

Il 17 dicembre è stata proclamata la Giornata mondiale contro la violenza sulle sex workers, una dimostrazione internazionale di come il mondo del sesso sia vittima della violenza. La Francia ha il triste primato di 7 omicidi di sex workers all’anno, mentre in Inghilterra le associazioni che operano in questo settore denunciano un’impennata di assassini tra settembre 2019 e febbraio 2020 con 9 sex workers uccise. «La nostra situazione ci vieta di aprire conti in banca perché possiamo essere accusate di riciclaggio, non possiamo affittare una casa né costruirci una pensione. Siamo destinate alla clandestinità e alla violenza», conclude Pia Covre.

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