Mutilazioni genitali femminili nel mondo: sempre più vittime in Europa

Uno studio dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere rivela che anche in Europa sono tante le bambine e le ragazze che rischiano di essere sottoposte a mutilazioni genitali femminili. Anche se l'opposizione delle comunità è in aumento

Negli ultimi dieci anni l’arrivo di migranti provenienti da Paesi che praticano le mutilazioni genitali femminili (Mgf) ha fatto aumentare il numero di ragazze a rischio in Europa. È quanto emerge dai dati diffusi in occasione della Giornata mondiale di tolleranza zero verso le mutilazioni genitali femminili dall’Istituto europeo sull’uguaglianza di genere (Eige).

L’indagine ha coinvolto quattro Stati dell’Ue, Danimarca, Spagna, Lussemburgo e Austria, con focus group all’interno delle comunità interessate da questa pratica: Egitto e Sudan (in Austria), Somalia, Iraq e Iran (in Danimarca), Eritrea, Guinea, Guinea-Bissau e Senegal (Lussemburgo), Senegal, Guinea, Mali, Somalia, Nigeria, Gambia ed Etiopia (Lussemburgo).

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Foto: Rufai Ajala (via Wikimedia Commons)

Cambiano i paesi di provenienza delle donne a rischio Mgf

Dallo studio emerge anche che, rispetto a dieci anni fa, sono cambiati i Paesi di provenienza dei migranti. In Austria e Spagna, ad esempio, la percentuale di ragazze a rischio elevato di subire mutilazioni si è ridotta. Il motivo? Oggi in Austria il gruppo più numeroso di ragazze a rischio proviene dall’Iraq, un Paese in cui l’incidenza di queste pratiche è molto più bassa dell’Etiopia, uno degli Stati più rappresentati nel 2011.

«Le ultime stime sul numero di ragazze a rischio mostrano che le leggi e le campagne stanno funzionando. In termini assoluti, il numero di ragazze che rischiano di subire queste pratiche nell’Unione europea è più alto perché ci sono più ragazze provenienti da Paesi in cui le mutilazioni genitali femminili sono diffuse. È vero però che le comunità stanno iniziando a opporsi e spesso compiono sforzi per eliminarle. Possiamo vincere la battaglia contro le mutilazioni genitali femminili», ha detto Carlien Scheele, direttore di Eige.

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Foto: MONUSCO (via Wikimedia Commons)

Mutilazioni genitali femminili: cosa sono

Vietate dall’Organizzazione mondiale della sanità che le considera «una violazione dei diritti umani delle donne», le mutilazioni genitali femminili vengono praticate su bambine e ragazze, in genere prima dei 15 anni di età, e consistono nella parziale o totale rimozione dei genitali esterni o nella lesione agli organi genitali per motivi non medici.

Queste pratiche costituiscono una grave forma di violenza basata sul genere che non ha alcun beneficio per chi le subisce, ma anzi provoca ferite fisiche e psicologiche profonde, a breve e lungo termine.

Mutilazione genitale femminile: come avviene e con quali conseguenze

Tra le conseguenze ci sono emorragie gravi, problemi urinari, cisti, infezioni, rapporti sessuali dolorosi, altre disfunzioni sessuali, complicazioni durante il parto, aumento del rischio di morte prenatale. Le vittime delle mutilazioni spesso soffrono di depressione, ansia, senso di incompletezza.

Spesso sono praticate da donne della comunità, in condizioni igienico-sanitarie non adatte, senza anestesia. Secondo l’Onu in un caso su 4 le mutilazioni sono praticate da personale sanitario, segno di un’allarmante tendenza alla medicalizzazione della pratica.

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Campagna contro le mutilazioni genitali femminili in Uganda – Foto: Amnon s (Amnon Shavit), via Wikimedia Commons)

Più rischi per le bambine richiedenti asilo

Nei quattro Paesi oggetto di indagine, le ragazze che hanno fatto richiesta di asilo sono quelle maggiormente a rischio. Anche se questi Stati hanno leggi che puniscono le mutilazioni genitali femminili anche quando praticate all’estero, la protezione è più debole per le ragazze e le donne che cercano di entrare in Europa per sfuggire a queste pratiche.

Tra i quattro Stati, solo il Lussemburgo riconosce le mutilazioni genitali femminili come motivo per concedere l’asilo. In Danimarca, Spagna e Austria ci sono stati casi in cui sono state considerate un motivo di accettazione della richiesta, ma sono episodi molto rari. Anzi, in Spagna, spesso queste richieste sono rigettate perché le mutilazioni sono illegali nei Paesi di origine, anche se vengono praticate comunque.

Per fermare le mutilazioni, secondo Eige, serve più formazione tra i professionisti che operano in ambito sanitario, educativo, di tutela dei bambini, che si occupano di asilo e migrazioni e che si interfacciano con le comunità interessate da queste pratiche. Ma è necessario anche implementare sistemi di registrazione nazionale dei casi, investire in campagne d’informazione e inserire nel sistema di asilo le mutilazioni genitali femminili come una forma di persecuzione basata sul genere.

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Mutilazioni genitali femminili, dati 2020

Sono oltre 200 milioni le ragazze e le donne che, nel mondo, hanno subito mutilazioni genitali femminili (dati Organizzazione mondiale della sanità, 2020). E, anche se negli ultimi anni c’è stata una riduzione dei casi grazie anche all’adozione da parte di numerosi Stati dell’Africa subsahariana di leggi di contrasto, ogni anno sono circa 4 milioni le ragazze e le donne che rischiano di essere sottoposte a queste pratiche.

La pandemia da coronavirus, poi, potrebbe far aumentare questi numeri: a causa delle chiusura delle scuole e dell’interruzione dei programmi di protezione sono circa 2 milioni in più le ragazze che nei prossimi dieci anni potrebbero essere sottoposte a queste pratiche (dati Unicef e Unfpa, 2021).

Mutilazioni genitali femminili nel mondo: dove sono più diffuse

Concentrate soprattutto in una trentina di Paesi in Africa e Medio Oriente, le mutilazioni genitali femminili sono un problema globale e sono praticate anche in Asia e in America Latina. In seguito ai movimenti migratori, inoltre, si registrano casi anche tra le popolazioni immigrate in altre aree del mondo, Unione europea compresa.

Si stima che siano 600 mila in Europa le donne e le ragazze che hanno subito queste pratiche (Parlamento Europeo, 2020), circa 80 mila in Italia (Università Bicocca 2019).

La lotta alle Mgf negli Obiettivi di sviluppo sostenibile

Porre fine alle mutilazioni genitali femminili fa parte degli Obiettivi sostenibili da raggiungere entro il 2030 (è compreso nell’obiettivo 5, “Garantire l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e le ragazze“).

«Anche prima che il Covid-19 sconvolgesse i progressi, l’obiettivo sostenibile dell’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili entro il 2030 era ambizioso. Tuttavia, la pandemia non ha smorzato ma ha rafforzato la nostra determinazione per proteggere quei 4 milioni di ragazze che, ogni anno, rischiano di subire mutilazioni genitali», hanno detto Natalia Kanem, direttore esecutivo del Fondo Onu per la popolazione (Unfpa), e Henrietta Fore, direttore esecutivo di Unicef in una dichiarazione congiunta lo scorso 6 febbraio.

Come combattere le mutilazioni genitali femminili

Per farlo, però, serve la collaborazione di tutti: istituzioni locali, regionali, nazionali e internazionali, società civile, organizzazioni del territorio, gruppi di difesa dei diritti delle donne, insegnanti, lavoratori sanitari, leader religiosi e anziani, ma anche chi lavora in ambito legale. E anche gli uomini hanno un ruolo cruciale da giocare.

«Uguaglianza di genere ed eliminazione delle mutilazioni genitali femminili sono due obiettivi interdipendenti, che si rafforzano l’uno con l’altro. Se l’uguaglianza di genere fosse realtà, non ci sarebbero mutilazioni genitali femminili», hanno concluso Fore e Kanem.

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