Diritti Lgbt: le “terapie di conversione” sono un problema in tutto il mondo

Ben conosciute negli Usa e in Australia, le "terapie di conversione" (o "riparative") sono pratiche diffuse in tutto il mondo, ma finora sono state poco documentate. Prive di basi scientifiche, violano i diritti Lgbt infliggendo danni e sofferenze a chi le subisce. Pochi Stati le vietano e l'Italia non è tra questi

Inutili, prive di basi scientifiche e dannose per la salute mentale e fisica di chi le subisce. Eppure le “terapie di conversione“, dette anche “terapie riparative” sono praticate in 80 Paesi, spesso su adolescenti (dati Outright Action International 2019).

Cosa sono le “terapie di conversione” (o “riparative”)

Di cosa si tratta? Di tutte quelle pratiche (chiamarle “terapie” è sbagliato, non trattandosi di cure e non essendo l’omosessualità una malattia) con cui si tenta di cambiare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona: da omosessuale, lesbica o bisessuale a eterosessuale.

Attuate fin dalla fine dell’Ottocento, queste pratiche hanno continuato a essere messe in atto anche dopo la depatologizzazione dell’omosessualità da parte della comunità scientifica (nel 1973 l’Associazione americana di psichiatria l’ha rimossa dagli elenchi delle malattie mentali, nel 1990 anche l’Organizzazione mondiale della sanità).

Le tecniche utilizzate sono le più diverse: psicoterapia, somministrazione di farmaci, elettroshock, esorcismo, condizionamenti comportamentali, isolamento, privazione del cibo, abusi verbali e umiliazioni, ipnosi, percosse e altre violenze cosiddette “correttive”, stupro incluso.

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“Sono stato danneggiato dalla terapia anti-gay” – Foto: Daniel Gonzales (via Flickr)

Diritti Lgbt nel mondo: chi pratica le “terapie” e con quali conseguenze

Gli autori sono professionisti della salute, organizzazioni religiose, curatori tradizionali e spesso sono le famiglie e le comunità a promuovere il ricorso a queste pratiche.

Tra le conseguenze ci sono perdita di autostima, depressione, ansietà, isolamento sociale, vergogna e colpa, disfunzioni sessuali, pensieri suicidi (dati Consiglio internazionale per la riabilitazione delle vittime di tortura 2020).

Lgbt: la lotta per i diritti e contro la discriminazione

Spesso sono attuate nella sfera privata, in ambito familiare o nella comunità religiosa di appartenenza e, per questo, difficili da far emergere. Anche se negli ultimi due anni qualche passo avanti è stato fatto sotto questo profilo: oltre ai report di OutRight Action International e Irct, nel 2020 sono stati pubblicati anche un report degli Esperti indipendenti dell’Onu contro la violenza e la discriminazione basata su orientamento sessuale e identità di genere e uno di Ilga World.

«Riconosciamo lo sforzo di alcuni governi di vietare le cosiddette “terapie di conversione” e sollecitiamo gli altri citati in questo rapporto a prendere iniziative simili per salvaguardare i cittadini Lgbtiq da queste pratiche dannose. È chiaro che la domanda di “terapie di conversione” diminuirà solo quando finirà la condanna sociale, familiare e religiosa delle persone Lgbtiq e queste saranno libere di vivere la propria vita con pieno accesso ai diritti umani», ha detto Maria Sjödin, direttore di Outright Action International.

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“L’odio per se stessi non è una terapia” – Foto: Daniel Tobias (via Flickr)

“Terapie” vietate in Germania, Brasile, Taiwan, Malta, Ecuador e in parti di Canada, Spagna, Usa e Australia

Nonostante che le “terapie di conversione” siano state condannate dalle principali associazioni di salute mentale di Stati Uniti, Canada, Australia ed Europa e l’Onu le consideri «immorali, non scientifiche, inefficaci e, in alcuni casi, equivalenti a tortura», pochi Stati le hanno vietate.

Finora sono cinque: Brasile, Taiwan, Ecuador, Malta e, qualche mese fa, la Germania, che ha scelto di punire non solo chi offre pratiche di questo tipo a minorenni, ma anche chi le pubblicizza: la legge adottata a maggio 2020 prevede per i trasgressori un anno di carcere e/o un’ammenda fino a 30 mila euro. A questi divieti si aggiungono poi restrizioni locali in Canada, Spagna, Usa (dove sono stati adottate da 19 Stati) e Australia.

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Diritti Lgbt in Italia: manca ancora una legge

L’Italia non si è ancora dotato di una normativa in merito, anche se ne ha avuta la possibilità nel 2016 con il disegno di legge presentato da Sergio Lo Giudice insieme ad altri 17 senatori. Proposta che non è mai stata discussa.

A quattro anni da quel disegno di legge, cos’è cambiato nel nostro Paese? Per Sergio Lo Giudice non granché e non c’è una casistica documentata molto ampia. «Il tema però esiste, c’è sicuramente un sommerso molto forte e il divieto di queste terapie rimane uno dei tanti capitoli che andrebbero affrontati sul tema dei diritti Lgbt», dice a Osservatorio Diritti il presidente onorario di Arcigay.

Ma di cosa parliamo in Italia quando ci riferiamo a queste pratiche? «Qualcuno pensa ai campi di conversione americani e all’elettroshock, ma c’è un ampio spettro di pratiche più subdole che non arrivano a quel livello, ma giocano su fede e senso di colpa, che agiscono a livello psicologico e sono più difficili da far emergere», spiega Gianmarco Capogna, portavoce della Campagna permanente sui diritti Lgbtqi+ di Possibile, che nel maggio 2020 ha lanciato una mobilitazione insieme a una trentina di realtà e una campagna su AllOut per chiedere che le “terapie di conversione” siano vietate.

Anche in Italia, però, è difficile raccogliere testimonianze perché le persone non ne parlano volentieri e c’è poca informazione su chi attua queste pratiche.

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Foto: Juanky Pamies Alcubilla (via Flickr)

Pratiche di “conversione”: tema delicato e poca informazione

Queste pratiche sono contrarie ai principi deontologici della professione (vedi articoli 2, 3 e 4 del Codice deontologico degli psicologi), tanto che il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi e la Società italiana di psicologia le vieta. Questo però non impedisce che continuino a essere proposte o imposte.

«Sappiamo che ci sono situazioni non strutturate in cui, ad esempio, i genitori di fronte all’omosessualità del figlio lo mandano dallo psicologo, magari cattolico e consigliato dalla parrocchia. E questi, in barba agli obblighi deontologici, prova a fare qualcosa, cioè niente perché non si può cambiare l’orientamento sessuale di una persona. C’è anche stata una campagna da parte di organizzazioni che promuovevano queste pratiche, anche con testimonial che sostenevano di essere guariti dall’omosessualità, ci sono organizzazioni cattoliche. Il tema esiste, sommerso, perché, anche se la legge non lo vieta, ci sono le prese di posizione degli ordini professionali e ci si rende conto che è un terreno accidentato», dice Lo Giudice.

In genere, queste organizzazioni, in particolare quelle religiose, non rivendicano la pratica di queste “terapie”. «La Chiesa nelle sue varie articolazioni nega il ricorso a queste pratiche. Ciò che ammette è che se una persona in sofferenza rispetto al suo orientamento sessuale si rivolge a una parrocchia, la si aiuta a gestire quella sofferenza. Per fortuna, in molte parrocchie esiste una pastorale per i diritti delle persone omosessuali. Ma dove non c’è, il sistema stesso finisce per alimentare la sofferenza di chi fatica ad accettare la propria omosessualità che finirà per essere sottoposto a uno stigma e a un dolore enorme. E se l’unica via che gli viene prospettata è una terapia di conversione, la intraprende», dice Lo Giudice.

La mobilitazione delle associazioni per i diritti Lgbt

La mobilitazione lanciata a maggio 2020 ha avuto l’effetto di far emergere alcuni casi. «Alcuni raccolti da noi, altri a livello territoriale da circoli delle realtà aderenti alla campagna. Alcune persone hanno raccontato di medici di famiglia che avevano detto loro che “è soltanto una fase”, che “parlare con qualcuno le avrebbe riportate sulla retta via” e che hanno consigliato loro di andare da uno psicologo per sottoporsi a pratiche di questo tipo. Altre hanno raccontato di gruppi religiosi e campi di preghiera. Servirebbe un’indagine a livello territoriale per analizzare la situazione. Ecco perché serve una discussione parlamentare, come hanno fatto in Germania: lì hanno raccolto migliaia di testimonianze», aggiunge Capogna.

Dopo aver inviato una lettera ai ministri Bonetti, Lamorgese e Speranza e aver coinvolto la società civile (oltre 14.600 le firme raccolte), i sostenitori della campagna vogliono coinvolgere gli ordini professionali per una presa di posizione netta (come successo in Albania, dove a maggio 2020 l’Ordine degli psicologi ha vietato le “terapie di conversione” perché in contrasto con i diritti umani e le libertà fondamentali) e i parlamentari, per aprire una discussione, anche in virtù della Strategia per l’uguaglianza delle persone Lgbtiq adottata lo scorso 12 novembre dall’Unione europea.

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