Covid Brasile: nuova variante e gestione Bolsonaro soffocano Manaus
La nuova variante del coronavirus spinge la seconda ondata di Covid-19 a Manaus, in Brasile: un mix di malagestione, disorganizzazione e convinzione di aver raggiunto l'immunità di gregge ha portato alla saturazione degli ospedali e all’esaurimento delle scorte di ossigeno. E un nuovo scandalo ha bloccato le vaccinazioni
da Porto Alegre, Brasile
Il timore che possa arrivare in Italia ha spinto il nostro governo a interrompere i voli dal Brasile almeno fino al 15 febbraio: la variante isolata il 6 gennaio dall’Istituto nazionale giapponese per le malattie infettive (Niid), indicata con la sigla B.1.1.248, spaventa, dopo aver fatto ripiombare Manaus nella disperazione: difficile scordare le immagini delle fosse comuni dell’aprile scorso.
Per la capitale dello Stato di Amazonas si può parlare, a differenza di altre regioni del Paese – terzo per numero di contagi e secondo per decessi nel mondo – di una seconda ondata della pandemia: iniziata a ottobre, ha portato a metà gennaio all’esaurimento delle scorte di ossigeno e dei posti letto negli ospedali.
Fra le cause della crisi la posizione isolata della città, raggiungibile soltanto in barca o aereo, ma soprattutto il disinteresse del governo federale e la disorganizzazione, gli errori e la mancanza di azioni preventive di quello locale.
Covid Brasile: dalla prima ondata alla variante dell’Amazzonia diffusa oggi a Manaus
«Molte persone durante la prima ondata sono morte in casa, senza neanche andare in ospedale né curarsi in altro modo», spiega ad Osservatorio Diritti Glaucia Maria de Araújo Ribeiro, professoressa di Diritto amministrativo della Universidade do Estado do Amazonas.
Poi però le cose sembravano migliorate. «Tanti hanno smesso di portare la mascherina, con l’illusione di aver raggiunto ormai l’immunità di gregge», visto l’alto numero di contagi: secondo uno studio pubblicato a settembre il 66% degli abitanti aveva contratto Sars-CoV-2, mentre un altro a ottobre stimava che la quota fosse dei tre quarti.
«Fra marzo e aprile i casi confermati venivano mandati all’ospedale pubblico Delphina Aziz, punto di riferimento nella prima fase. Ma quando questo ha raggiunto la saturazione, anche dove lavoro io (l’ospedale universitario Getúlio Vargas e quello infantile Dr. Fajardo) erano state destinate alcune ale ai pazienti Covid, interrompendo l’attività ordinaria ambulatoriale e chirurgica», ci racconta Isac Silva de Jesus, infermiere di 32 anni.
«Fra maggio e giugno – durante un primo periodo di chiusure e restrizioni decise dal governo dello Stato, ndr – abbiamo ripreso gradualmente: a metà ottobre eravamo ormai tornati alla normalità». Ma a novembre contagi e ricoveri, anche di pazienti giovani, sono cresciuti, riempiendo in poche settimane strutture pubbliche e private.
La variante, nata da 12 mutazioni nel gene che produce la proteina spike, la quale infetta le cellule del corpo umano, ne include due (N501Y e E484K) che sembrano essere particolarmente contagiose: uno studio afferma che a dicembre essa era già presente nel 42% dei casi rilevati a Manaus. E avrebbe avuto origine proprio nello Stato di Amazonas, secondo una ricerca della Fondazione Oswaldo Cruz.
Leggi anche:
• Bolsonaro: presidente Brasile alla sbarra per gestione crisi coronavirus
• Coronavirus in Brasile: aumentano i casi, ma Bolsonaro continua a negare
Contagi in aumento: ospedali pieni e senza ossigeno
Di fronte all’emergenza, il governatore dello Stato, Wilson Lima, il 26 dicembre ha decretato un altro periodo di chiusure e restrizioni. «Queste misure sono state fortemente criticate, in particolare dai commercianti e da deputati e senatori bolsonaristi: già la mattina del 27 erano state annullate», spiega Davide Tuniz, educatore e giornalista italiano che vive a Manaus.
La crisi dell’ossigeno si è manifestata in tutta la sua evidenza il 14 gennaio: le persone hanno iniziato a morire di asfissia, perché non c’era la possibilità di ventilarle.
«La gara di solidarietà è iniziata subito, con il contributo decisivo di personaggi dello sport e dello spettacolo», continua Tuniz. «Il Venezuela, l’unico paese da cui è possibile arrivare a Manaus via terra, ha inviato 136 mila metri cubi ossigeno e il governo federale brasiliano ha mandato delle scorte attraverso l’aeronautica militare. La situazione non è però risolta: c’è l’ossigeno sufficiente alle necessità quotidiane, ma mancano le scorte e continua anche l’emergenza dei posti letto, con oltre il 90% dei posti in terapia intensiva occupati».
Per questo dal 25 gennaio è scattato un vero e proprio lockdown, con l’apertura delle sole attività essenziali, come supermercati e farmacie, il permesso di uscire solo in caso di stretta necessità e il coprifuoco notturno.
Leggi anche:
• Carcere: Brasile, sistema penitenziario in tilt tra sovraffollamento e storture croniche
• Fiat Brasile indagata per aver collaborato con la dittatura militare
Covid Brasile: il racconto di Isac, dalla malattia alle notizie dei colleghi morti
Isac Silva de Jesus ha vissuto l’esperienza del Covid non solo da professionista, ma anche come paziente. «Il 29 dicembre ho iniziato ad avere i sintomi: dolori, gola infiammata, perdita dell’olfatto. Il quarto giorno sono stato al pronto soccorso, poi sono tornato a casa. Poi però l’ossigenazione è precipitata: allora ho cercato un posto disponibile in una struttura privata, senza successo. Alla fine ho contattato l’ospedale universitario in cui lavoro, che nel frattempo aveva riaperto un’ala riservata al Covid, ma sono peggiorato ancora, nonostante la terapia di ventilazione non invasiva. Mi hanno consigliato di acquistare un farmaco che in alcuni casi si mostra efficace, il tocilizumab, che ho pagato 6 mila reais (circa mille euro, ndr)», racconta.
Quando però sono terminate le scorte di ossigeno, i medici sono stati chiari: nonostante avesse ancora bisogno della terapia ospedaliera, gli hanno consigliato di tornare a casa.
«Ho iniziato a vedere gli altri pazienti morire per mancanza di ossigeno. Il mio medico, piangendo, mi ha pregato di raccomandare a chiunque fuori dall’ospedale di restare a casa».
Nei giorni successivi è stato ricoverato di nuovo, stavolta nell’altro ospedale in cui lavora, perché anche la bombola che aveva acquistato privatamente era esaurita. Ora sta meglio, è tornato prima a casa e poi al lavoro. «Ma è stato molto difficile venire a sapere di colleghi morti. Non guardavo più il cellulare, non ce la facevo, piangevo e ho interrotto per un po’ i contatti esterni e la lettura continua delle notizie».
Iscriviti alla newsletter di Osservatorio Diritti
Nessuna prevenzione, disorganizzazione e politica: le cause della tragedia sanitaria
Isac sottolinea il fatto che la situazione è grave tanto negli ospedali pubblici, quelli del Sus (il servizio sanitario pubblico federale), quanto in quelli privati. «A Manaus oggi non importa quanto denaro si ha: il costo giornaliero per un ricovero in terapia intensiva in un ospedale privato è alto, circa 10 mila reais, ma in realtà mancano i posti disponibili e si muore per quello. Molti rimangono in attesa di un letto seduti in corsia su una sedia. E fuori le persone hanno paura», conclude.
L’eccezionalità della crisi dell’ossigeno è illustrata dallo scarto fra la domanda (normalmente 15-17 mila metri cubi al giorno, durante il picco dei ricoveri si è arrivati a 76,5 mila) e l’offerta (le tre aziende principali, White Martins, Carbox e Nitron, arrivano a produrne 28,2 mila).
La grande richiesta e le difficoltà di trasporto – Manaus è di fatto isolata dal resto dello Stato di Amazonas (il più esteso della federazione) e dal Brasile intero, e le aree interne vengono raggiunte principalmente con navi e imbarcazioni, anche di piccolo taglio – si sommano però alla mancanza di programmazione.
Le responsabilità del governo Bolsonaro
Il governo federale di Jair Bolsonaro – accusato in una recente newsletter della Facoltà di salute pubblica dell’Università di San Paolo di aver deliberatamente ostacolato le misure sanitarie di prevenzione e contrasto al Covid, screditando le autorità sanitarie e le evidenze scientifiche e disinformando la popolazione – ha ignorato gli avvertimenti ricevuti sull’esaurimento dell’ossigeno.
Come ammesso dallo stesso ministro della Salute, Eduardo Pazuello, generale dell’Esercito senza alcuna esperienza in ambito sanitario, sono stati ignorati gli avvisi del governo locale e dell’azienda produttrice White Martins, che già il 7 gennaio aveva avvertito il governo che le sue scorte stavano finendo.
Per questo il 23 gennaio la procura della repubblica ha aperto un’inchiesta. Dopo una prima visita a Manaus, Pazuello si è limitato a raccomandare il «trattamento precoce» del Covid con alcuni farmaci la cui efficacia non è supportata da evidenze scientifiche. Poi è tornato in città istituendo un’unità di crisi, affermando di rimanervi per tutto il tempo necessario.
«C’è una responsabilità ideologica del potere pubblico, a tutti i livelli», spiega ancora Tuniz. «Sono mancate la prevenzione, la pianificazione e la coscientizzazione della popolazione: così il livello di percezione della popolazione era basso. Il commercio informale, le fiere e i mercati sono sempre andati avanti normalmente: lì pochi usano la mascherina e non viene messo a disposizione l’alcol gel».
Leggi anche:
• Terrore a Rio de Janeiro: la polizia uccide nelle favelas
• Brasile: uccisa Marielle Franco, attivista delle favelas di Rio de Janeiro
Covid a Manaus: isolamento, migrazione, disuguaglianze
Altri fattori vanno poi tenuti in considerazione: da un lato, secondo la professoressa Ribeiro, manca una cultura dei presidi sanitari sul territorio, che fa sì che ci si rivolga perlopiù direttamente agli ospedali. Inoltre, la segreteria alla Salute dello stato di Amazonas, responsabile per l’organizzazione dei servizi sul territorio, negli ultimi due anni ha già cambiato direzione quattro volte, e una spiccata terziarizzazione dei servizi, con il ricorso alle cooperative, fa sì che manchi un corpo stabile del personale sanitario.
La capitale, inoltre, zona franca in costante espansione e distretto industriale meta di migranti alla ricerca di lavoro, ha un profilo singolare: «La popolazione più ricca è concentrata in pochi quartieri, mentre più della metà degli abitanti vive in una situazione precaria con un maggior rischio di contaminazione».
Scarseggiano poi, soprattutto nelle periferie, i servizi di assistenza di base e solo Manaus, in tutto lo Stato, dispone di posti letto di terapia intensiva. Difatti, racconta ancora Tuniz, «la situazione è disastrosa anche in altre città che hanno finito l’ossigeno ancora prima», cosa che ha incoraggiato lo spostamento verso gli ospedali di Manaus.
Lo scandalo delle vaccinazioni a chi non ne aveva diritto
«Non è stata una crisi “classista”, ma lo sta diventando con lo scandalo dei vaccini», prosegue Tuniz. Subito dopo l’inizio (18 gennaio) delle somministrazioni del Coronavac (sviluppato dall’azienda cinese Sinovac e prodotto dall’istituto paulista Butantan) sono state denunciate, come in altri Stati, irregolarità: la sparizione di 60 mila dosi e somministrazioni a non aventi diritto.
Per questo, le vaccinazioni, poi riprese, erano state sospese. Stessa sorte per il vaccino di Astrazeneca. All’emergenza si somma così anche la beffa.