Giulio Regeni: ecco cosa sappiamo a cinque anni dalla morte del ricercatore

Il 25 gennaio 2016 Giulio Regeni scompare al Cairo, in Egitto. Viene trovato il 3 febbraio, dopo essere stato torturato e ucciso. La procura di Roma chiude le indagini e quattro 007 egiziani rischiano accuse che vanno dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in lesioni personali e omicidio. Ecco a che punto è la ricerca della verità

Sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio. Sono questi i reati per cui sono indagati quattro agenti dei servizi segreti egiziani, che ora rischiano il processo nell’ambito dell’inchiesta sul sequestro e l’uccisione di Giulio Regeni, il ricercatore friulano scomparso al Cairo, in Egitto, il 25 gennaio 2016.

A distanza di cinque anni la strada da percorrere è ancora lunga, tra reticenze, mancanza di collaborazione e opacità da parte delle autorità egiziane. Un solo colore rimane accesso, il giallo, simbolo non solo di una vicenda che non trova ancora conclusione, ma anche della solidarietà, che troviamo costantemente rinnovata su striscioni e manifesti in cui domina la scritta “Verità per Giulio Regeni”.

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“Verità per Giulio Regeni” – Disegno: © Gianluca Costantini

La storia di Giulio Regeni e la svolta nelle indagini

«Abbiamo fatto di tutto, lo dovevamo a Giulio». A parlare è il procuratore di Roma Michele Prestipino, nell’annunciare la chiusura delle indagini sulla morte di Giulio Regeni. Prestipino e il pm Sergio Colaiocco contestano a quattro 007 egiziani reati a vario titolo: sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio (mentre per un quinto agente i pm hanno chiesto l’archiviazione).

A rischiare il processo sono il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Chiesta l’archiviazione invece per Mahmoud Najem, per cui «non sono stati raccolti elementi sufficienti, allo stato, a sostenere l’accusa in giudizio», spiegano dalla procura.

È questo il principale passo avanti fatto nella lunga lotta per ottenere giustizia e verità per Giulio, portata avanti incessantemente dalla famiglia, la mamma Paola Deffenti e il papà Claudio, insieme alla loro avvocata, Alessandra Ballerini.

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Procura egiziana: «Responsabile della morte resta sconosciuto»

Non ci sono elementi che giustifichino un processo sull’omicidio di Giulio Regeni. È questa la risposta che arriva dalla procura egiziana a pochi giorni dalla chiusura delle indagini a Roma. Le autorità egiziane parlano di non ben definite parti ostili a Egitto e Italia, che vogliono sfruttare il caso per nuocere le relazioni tra i due Paesi.

Secondo il procuratore generale del Cairo, Hamada Al Sawi, «per il momento non c’è alcuna ragione per intraprendere procedure penali circa l’omicidio, il sequestro e la tortura» di Giulio Regeni, in quanto il responsabile, sostiene la procura, «resta sconosciuto».

Parola definite inaccettabili dal ministero degli Esteri italiano, che «auspica che la procura generale egiziana condivida l’esigenza di verità e fornisca la necessaria collaborazione alla procura della Repubblica di Roma».

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Documenti di Giulio Regeni rinvenuti il 24 marzo 2016 dalla polizia egiziana (Fonte: https://www.facebook.com/MoiEgy/)

Come è morto Giulio Regeni: torture su diverse parti del corpo

La ricostruzione fatta dagli inquirenti si caratterizza per particolari pesanti, fatti di torture reiterate. I magistrati scrivono che nei confronti di Regeni, per «motivi abietti e futili e con crudeltà», sono state «cagionate lesioni e la perdita permanente di più organi».

Secondo la ricostruzione contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini firmata dal procuratore Prestipino e dal pm Colaiocco, i «quattro indagati dopo aver osservato e controllato direttamente ed indirettamente, dall’autunno 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni – abusando delle loro qualità di pubblici ufficiali egiziani – lo bloccavano all’interno della metropolitana del Cairo e, dopo averlo condotto contro la sua volontà e al di fuori di ogni attività istituzionale, prima presso il commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Lazougly, lo privavano della libertà personaleper nove giorni».

Giorni passati tra sevizie pesantissime, perpetrate con oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni, che hanno portato a Giulio acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni.

I pm parlano di numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico dorsale e degli arti inferiori.

Secondo gli inquirenti Giulio Regeni è morto per insufficienza respiratoria acuta a causa delle imponenti lesioni di natura traumatica provocate dalle percosse da parte del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. A lui, infatti, sono contestate, oltre al sequestro di persona pluriaggravato, anche le lesioni gravissime e l’omicidio.

Parla di un risultato importante il procuratore Prestipino, nel commentare la chiusura delle indagini: «Lo dovevamo a Giulio Regeni e lo dovevamo a noi stessi, come magistrati di questa Repubblica», ha detto.

Parla di un punto di partenza, il legale della famiglia Regeni, l’avvocato Alessandra Ballerini, che chiede di dichiarare l’Egitto paese non sicuro e bloccare la vendita di armi, perché «la giustizia non è barattabile, senza giustizia non ci sono né diritti né libertà».

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Fiaccolata in memoria di Giulio Regeni (Foto: Amnesty International)

Giulio Regeni: chi era, cosa studiava, cosa è successo e il ruolo della docente di Cambridge

Originario di Fiumicello, in provincia di Udine, Giulio Regeni ha lasciato il Friuli per studiare, già negli anni del liceo, nel New Mexico, Stati Uniti. Arrivato all’università, è andato in Inghilterra, prima a Oxford, dove aveva conseguito una laurea a indirizzo umanistico, e poi il dottorato a Cambridge che lo aveva portato al Cairo, dove faceva ricerche per una tesi sull’economia locale, portando avanti – in parallelo – la sua passione per il giornalismo.

Alcuni elementi di novità emergono dal computer della professoressa Maha Mahfouz Abdelrahman, docente di Giulio all’università di Cambridge, che ne seguiva il lavoro in Egitto e che secondo i magistrati di Roma «non ha aiutato le indagini».

Nel pc della docente è spuntata una e-mail inviata a una collega canadese il 7 febbraio 2016, quattro giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio, in cui scriveva: «Ho mandato un giovane ricercatore verso la sua morte…».

Dal computer di Giulio emerge chiaramente che era stata proprio Abdelrahman a suggerirgli di focalizzare studi e ricerche in Egitto sul «ruolo dei lavoratori nella rivoluzione nell’era post-Mubarak», mentre lei ha affermato che fu un’iniziativa di Regeni.

Morte Giulio Regeni: il movente dell’omicidio

Altro importante tassello riguarda l’idea di chiedere un finanziamento alla ricerca alla Fondazione inglese Antipode, idea – secondo quanto scrisse Giulio alla madre il 14 novembre novembre del 2015 – proveniente proprio dalla docente. Secondo la procura di Roma quel finanziamento è stato determinante nel definire la sorte di Giulio, intensificando l’attenzione delle forze di sicurezza egiziane, che hanno così pensato che Giulio appartenesse alla Fondazione Antipode «che spingeva per l’avvio di una rivoluzione in Egitto», sono le parole del maggiore della National security Magdi Ibrahim Sharif, quando confessò al collega kenyota di aver arrestato Regeni.

La possibilità di accedere a quel finanziamento, Giulio la condivide anche con Mohamed Abdallah, leader del sindacato autonomo degli ambulanti. Secondo i magistrati il movente dell’uccisione di Giulio, infatti, trova origine nelle attività del sindacato indipendente dei rivenditori di strada il cui capo, Abdallah, equivocando le ragioni per cui Regeni gli parla di un bando della fondazione inglese Antipode, lo denuncia come spia alla National Security.

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Commemorazione di Giulio Regeni organizzata dal parlamentare britannico Daniel Zeichner eletto nel collegio di Cambridge – Foto: Alisdare Hickson (via Wikimedia Commons)

Giulio Regeni: le iniziative per il 25 gennaio

Per il quinto anniversario dalla scomparsa di Giulio le iniziative non si arrestano, pur nelle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria da coronavirus. Il collettivo Giulio siamo noi, infatti, nell’impossibilità di accendere le fiaccole nelle piazze, chiede a tutti di fare un post sui social «con una foto, immagine, clip video, scrivendo su un supporto giallo una frase che chieda verità e giustizia per Giulio, il richiamo dell’ambasciatore e lo stop agli accordi con chi tortura», con gli hashtag #StopAccordiconchiTortura, #VeritàGiustiziaperGiulio e #RichiamoAmbasciatore.

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