Diritto alla nazionalità: i bambini non possono esserne privati, Paesi Bassi condannati

Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite condanna i Paesi Bassi per non aver concesso lo status di apolide a un bambino di 10 anni, impedendogli così di ricevere protezione internazionale: tutti i bambini hanno diritto alla nazionalità

Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite  condanna i Paesi Bassi per aver violato un diritto umano fondamentale: quello dei minori ad avere una nazionalità riconosciuta.

Nello specifico, a far scattare l’allarme internazionale, è stata la storia di un bambino in particolare, Flint (il nome è di fantasia), registrato presso i registri civili olandesi con “nazionalità sconosciuta” invece di apolide. Una differenza sostanziale, visto che confina il piccolo in un limbo legale, rendendogli impossibile, ai sensi della legge locale, ricevere protezione internazionale.

Diritto alla nazionalità: la storia di Flint

Il bambino è nato ad Utrecht, nei Paesi Bassi, nel febbraio 2010, da una ragazza cinese 21enne, arrivata in Olanda clandestinamente nel 2004 quando aveva appena 15 anni. Costretta a prostituirsi appena entrata nel Paese, dopo quattro anni di calvario è riuscita a scappare e a denunciare alla polizia i soprusi subiti.

Gli investigatori però, non riuscendo a identificare gli aguzzini, hanno rapidamente chiuso le indagini. Senza lavoro né giustizia, lo status della ragazza è diventato quindi da allora “straniera irregolare“.

A complicare la situazione, c’è il fatto che la donna non è nemmeno in possesso di una nazionalità d’origine perché, pur essendo nata in Cina, è stata abbandonata dai genitori prima di essere registrata alla locale anagrafe. E quando Flint è nato la madre non è riuscita a fornire documenti sufficienti per regolarizzare la posizione.

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“Nazionalità sconosciuta” per migliaia di bambini

Dopo numerosi e inutili tentativi, il bambino è stato quindi registrato con “nazionalità sconosciuta”, andando a ingrandire le fila di un fenomeno che nei Paesi Bassi è tutt’altro che minoritario.

Uno studio del 2011 condotto dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati, infatti, ha rilevato la presenza di 90.000 persone con nazionalità sconosciuta, inclusi 13.000 bambini, molti dei quali nati nei Paesi Bassi.

A confermare i dati c’è anche l’Ufficio centrale di statistica olandese, secondo il quale a settembre 2016 erano 74.055 le persone registrate in questo modo, di cui 13.169 di età inferiore ai 10 anni.

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Amsterdam, Paesi Bassi

L’articolo 24 del Patto sui diritti civili e politici: diritto alla cittadinanza garantito ai bambini

Questo comportamento, ha stabilito in comitato Onu, viene meno a quanto stabilito dall’articolo 24 del Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici, un patto nato dall’esperienza della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 16 dicembre 1966, di cui i Paesi Bassi sono firmatari e Stato membro.

Secondo l’articolo in questione, ogni fanciullo, senza discriminazione alcuna fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica o la nascita, ha diritto a quelle misure protettive che richiede il suo stato minorile, da parte della sua famiglia, della società e dello Stato; «deve essere registrato subito dopo la nascita ed avere un nome» e «ha diritto ad acquistare una cittadinanza».

Per questo, all’ennesimo rifiuto da parte delle autorità olandesi, Flint e sua madre, nel 2016 hanno si sono rivolte al Comitato per i diritti umani, che ha di conseguenza sporto denuncia formale nei confronti dei Paesi Bassi.

«Ogni Stato ha la responsabilità di garantire che i bambini apolidi sotto la loro giurisdizione che non abbiano la possibilità di acquisire altre nazionalità non siano lasciati senza protezione legale. Il diritto alla nazionalità garantisce una protezione concreta per le persone, in particolare minori», ha sottolineato un membro del Comitato Onu, Shuichi Furuya.

Oltre a chiedere ai Paesi Bassi di rivedere le proprie decisioni in merito alla vicenda di Flint, il Comitato esorta a rivedere la legislazione per garantire che in eventuali casi futuri sia stabilita una procedura per determinare lo status di apolide. Inoltre, chiede di mettere mano alla legislazione sull’idoneità a richiedere la cittadinanza.

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Consiglio dei diritti umani (UN Photo/Jean-Marc Ferré)

Tre anni senza libertà e sotto minaccia di espulsione

In questo momento Flint vive con la madre in un centro per richiedenti asilo respinti dove, a prescindere dall’attuale pandemia del nuovo coronavirus, sono in vigore forti limitazioni della libertà personale. I residenti non possono lasciare l’area municipale a cui sono assegnati e sono soggetti a rigorosi controlli quotidiani. I contatti con la società olandese sono quasi inesistenti, sono sotto minaccia permanente di espulsione e non hanno alcun diritto a sussidi o aiuti sociale, a parte una piccola indennità settimanale.

I centri di libertà limitata sono solitamente strutture temporanee dove gli ospiti stazionano per brevi periodi, mentre Flint e la madre sono lì da tre anni. Una situazione giunta al limite, che rischia di creare gravi danni nella crescita psicologica del bambino.

Stando a quanto emerso da diversi monitoraggi, infatti, i bambini che crescono con forti restrizioni sperimentano paure costanti, problemi di salute, tensioni familiari ed esclusione sociale.

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Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra

Una possibile svolta per tutti i bambini apolidi

Ad aiutare Flint e la madre in questa battaglia, è anche la Open Society, una delle più grandi fondazioni private al mondo impegnata nella difesa dei diritti umani, fondata da George Soros. Oltre a lanciare appelli e petizioni affinché la situazione si sblocchi, la fondazione si sta attivando  concretamente attraverso la Justice Initiative, il programma operativo che si occupa di fornire supporto legale gratuito.

Per farlo si sta avvalendo anche dalla collaborazione del Public Interest Litigation Project, un’organizzazione olandese che lotta per regolamentare la posizione degli apolidi.

Secondo l’avvocato dell’organizzazione che si occupa di Flint, Jelle Klaas, l’azione del Comitato Onu potrebbe essere davvero determinante e obbligare a una svolta concreta perché «non si limita a evidenziare gli errori commessi, ma stabilisce chiaramente cosa può e deve essere diverso per Flint e tutti gli altri bambini apolidi nei Paesi Bassi».

Diritto di nazionalità alla prova della legge olandese

Nonostante il governo olandese abbia promesso che la questione sarà discussa in Parlamento, la situazione sembra tutt’ora in una fase di stallo. Il Consiglio di Stato si sta dimostrando incapace di correggere questa lacuna giuridica e gli unici passi sono quelli fatti di recente alla Camera dei rappresentanti, che ha presentato un progetto di legge giudicato però fortemente inadeguato.

La proposta è di introdurre un periodo di attesa di 10 anni prima che un bambino nato nei Paesi Bassi possa presentare una richiesta per ottenere la cittadinanza olandese.

Secondo Laura van Waas, condirettore dell’Istituto per l’apolidia e l’inclusione dei Paesi Bassi, «questo è un tiepido tentativo dello Stato olandese di facilitare i bambini apolidi senza uno status di residente legale, ma essendo presente il requisito aggiuntivo di una residenza principale stabile, nulla cambia realmente e il diritto alla nazionalità dei bambini dipenderà ancora dal comportamento del genitori. L’interesse del bambino, invece, deve essere prioritario e le autorità olandesi non devono accontentarsi di una misura solo simbolica».

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