Diritti Lgbt: chi li difende subisce violenze e discriminazioni

Arresti di massa, violenze di ogni genere, discriminazione: ecco di cosa è vittima chi decide di difendere i diritti della comunità Lgbt in qualunque parte del mondo. E la pandemia ha aggravato la situazione. Lo denuncia il nuovo report di Front Line Defenders

Il 2020 ha registrato un aumento della violenza nei confronti di chi è in prima linea per difendere i diritti di persone Lgbt e lavoratori del sesso. È quanto emerge da Difensori a rischio durante la pandemia di Covid-19, il report pubblicato da Front Line Defenders, l’ong nata nel 2001 a Dublino per tutelare i difensori dei diritti umani.

Tra aprile e agosto 2020, i ricercatori dell’organizzazione hanno intervistato una cinquantina di attivisti in 13 paesi: Argentina, Messico, Perù, Ecuador, Tanzania, Uganda, Ungheria, El Salvador, Malawi, Zimbabwe, Eswatini, Sri Lanka e Indonesia.

Difensori dei diritti Lgbt sotto attacco

I risultati sono sconcertanti: gli attivisti hanno riferito di attacchi fisici, aggressioni sessuali, arresti, raid nelle case e molestie da parte delle forze dell’ordine durante l’emergenza causata dal nuovo coronavirus.

«I difensori dei diritti di persone Lgbtiq+ e sex workers hanno portato avanti il loro difficile lavoro durante la pandemia nonostante le enormi minacce alla loro salute fisica e psicologica. Oltre al lavoro di advocacy e risposta all’emergenza, hanno riempito il gap umanitario lasciato da governi corrotti e programmi discriminatori di risposta alla pandemia. Ora più che mai lanciamo un appello per fermare gli attacchi nei confronti di chi tutela le persone ai margini», ha detto Andrew Anderson, direttore esecutivo di Front Line Defenders.

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Attivisti dell’associazione Tamaulipas Diversidad Vhida Trans in Messico – Foto: Tamaulipas Diversidad Vhida Trans

Arresti di massa contro attivisti per i diritti Lgbt nel mondo

Il rapporto documenta anche arresti di massa negli uffici delle organizzazioni per i diritti delle persone Lgbtiq+, chiusura di cliniche mediche gestite da attivisti, aggressioni sessuali e detenzione di attivisti transgender, diffamazione nei confronti di attivisti Lgbtiq+ che vengono rappresentati come diffusori del virus e traumi psicologici gravi causati dall’impossibilità di rispondere alle numerose richieste di aiuto all’interno delle loro comunità.

«Gli attivisti per i diritti umani che hanno partecipato all’indagine continuano a subire violenti attacchi, raid nelle case, arresti e una stigmatizzazione dilagante semplicemente per il fatto di chiedere accesso a cibo, alloggio e cure sanitarie per i membri delle loro comunità durante la pandemia. Ogni orribile storia di violenza e discriminazione che ho ascoltato proveniva da attivisti che proseguono la loro battaglia nonostante i rischi», ha detto Amazin LeThi, attivista Lgbtiq+, in occasione della presentazione del rapporto durante la Giornata internazionale per fermare la violenza contro le lavoratrici e i lavoratori del sesso.

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Friburgo, Svizzera – Foto: Pixabay

Denuncia della comunità Lgbt: la pandemia ha aggravato la situazione

Le due comunità, Lgbtiq+ e sex workers, spesso si trovano ad affrontare simili violazioni dei diritti economici, sociali, culturali e politici. In molti paesi, gli attivisti che ne tutelano i diritti, che spesso sono ugualmente membri delle comunità, hanno vissuto esperienze simili di violenza da parte della polizia, criminalizzazione, aggressioni pubbliche, ingiustizie economiche e attacchi diffamatori alla propria reputazione.

La pandemia e la risposta dei governi all’emergenza non ha fatto altro che aggravare una preesistente situazione di violenza sistemica, marginalizzazione economica e stigmatizzazione dilagante nei confronti di entrambe le comunità. E ha aumentato i rischi per la sicurezza degli attivisti.

In Tanzania, ad esempio, i ricercatori hanno ascoltato il racconto di attacchi nelle case di attivisti dopo che si era venuto a sapere che ospitavano persone Lgbtiq+ o lavoratori del sesso che rischiavano di finire in strada a causa dell’emergenza sanitaria.

«Quasi ogni settimana da quando è iniziata la pandemia, riceviamo foto di attacchi violenti alle case di attivisti Lgbtiq+. Molti di loro le hanno trasformate in rifugi di emergenza per chi non ha un posto dove andare: l’aiuto reciproco è una parte fondante di queste comunità. Gli attivisti con cui abbiamo parlato subiscono gravi traumi psicologici, fisici e sessuali per il solo fatto di aiutare le loro comunità a sopravvivere alla pandemia», ha raccontato Erin Kilbride, ricercatrice e autrice del rapporto di Front Line Defenders.

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Omofobia, bifobia, transfobia: un mondo di discriminazioni

«Dall’inizio della pandemia ricevo messaggi e telefonate almeno quattro volte la settimana. Possiamo dire di essere tutti nella stessa barca perché il Covid-19 colpisce tutti, ma non è proprio così. Le società in cui viviamo sono omofobiche, bifobiche e transfobiche. Ci sono discriminazioni in famiglia, nelle comunità, nei servizi sanitari ed educativi, nella giustizia. Il virus può anche non discriminare, ma gli effetti non sono gli stessi per tutti», racconta Bosibori Christine Nyandoro, conosciuta come Pinky, counselor in un programma di supporto psicologico tra pari nelle comunità Lgbtiq+ in Africa e fondatrice di Udara Imara, un’organizzazione che crea spazi sicuri per le donne Lbq+ e si batte per il loro inserimento in programmi di salute e benessere.

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Foto: Pixabay

Anche i difensori dei diritti umani hanno bisogno di aiuto

Pinky è un punto di riferimento per le persone in difficoltà e sono tante quelle che la chiamano e che, poi, passano il suo numero ad altri. «Quando ricevo queste chiamate, mi preoccupo. Mi chiedo se sarò in grado di aiutare. Ci sono moltissimi casi di sfratto, di violenza, gente che non ha da mangiare e non ci sono fondi di emergenza. Io uso i miei soldi per pagare trasporto, cibo, hotel e medicine a queste persone, oppure le ospito da me», dice.

Le aggressioni però sono in aumento e Pinky ha paura di essere attaccata nella sua stessa casa da chi non approva il fatto che ospiti persone Lgbtiq+. «Come comunità ci prendiamo cura l’uno dell’altra ed esponiamo noi stessi ai rischi facendo la scelta impossibile tra rispondere a un’emergenza senza nessuna tutela o ignorare la richiesta di aiuto. Io sono una madre con una bambina piccola e devo stare attenta, ma spesso non c’è il tempo di pensare».

Come counselor Pinky offre aiuto psicologico alle altre persone, ma a volte anche lei ne avrebbe bisogno: «La mattina mi sveglio, mi vesto, mi trucco, così le persone pensano che io stia bene. Ma sento la pressione di dovermi presentare in questo modo, fa parte del peso che portiamo. Anche noi abbiamo bisogno di aiuto perché il nostro benessere è una parte fondamentale del nostro lavoro».

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