Guerra Nagorno Karabakh: popolo distrutto da scontro Armenia-Azerbaijan
Sfollati, attacchi ai civili e armi proibite: ecco quali sono le conseguenze della guerra in Nagorno Karabakh, il conflitto tra Armenia e Azerbaijan di cui l'Europa pare non essersi (quasi) accorta
di Irene Bazzechi e Antonio Freddi
Tra il 27 settembre e il 10 novembre 2020 si è combattuta alle porte dell’Europa la guerra dell’Artsakh (o seconda guerra del Nagorno Karabakh), che ha visto contrapporsi la Repubblica d’Armenia e l’auto-proclamata Repubblica di Artsakh, da una parte, e la Repubblica dell’Azerbaijan, dall’altra.
Questo conflitto caucasico è quasi inesistente per le classi politiche e l’opinione pubblica europee, nonostante che i due paesi siano membri del Consiglio d’Europa, ma ha portato ad alcune migliaia di morti e feriti e decine di migliaia di sfollati o vittime di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.
Guerra del Nagorno Karabakh: gas naturale tra i motivi del silenzio europeo
I combustibili fossili non figurano tra le ragioni dirette di questo conflitto, ma potrebbero comparire tra quelle del silenzio che lo ha circondato in Europa. Il Nagorno Karabakh, così come l’Ossezia del Sud o il Kurdistan turco, è infatti una delle aree instabili che dovrebbero essere attraversate dal “corridoio meridionale” per il trasporto del gas naturale da Azerbaigian, Iran, Turkmenistan e Iraq verso gli stati europei.
Il corridoio, rallentato dal protrarsi di queste situazioni critiche, mira a creare un asset geopolitico tra i paesi europei, gli Stati Uniti e i paesi orientali, riducendo così la dipendenza energetica dalla Russia.
Molti paesi europei hanno quindi sorvolato sull’eliminazione rapida, per quanto sanguinosa e costellata di violazioni del diritto internazionale, di questo punto di “rallentamento” dei lavori, così come la Turchia, tra i vincitori di questa guerra, non ha esitato ad appoggiare l’Azerbaigian per assicurarsene il sostegno energetico.
L’accordo Armenia-Azerbaijan-Russia sul Nagorno Karabakh
Il 10 novembre è stato siglato un accordo tra Armenia, Azerbaijgian e Russia, che ha visto come grandi sconfitti gli armeni. La mattina della firma, infatti, non sono mancate grandi proteste nel paese e addirittura incursioni negli uffici del primo ministro armeno, colpevole di averlo sottoscritto.
A poco sono servite le rassicurazioni offerte dal presidente russo, Vladimir Putin, sul ruolo di protezione dei 2000 peace-keepers russi dispiegati: la perdita dei territori a maggioranza armena si è immediatamente trasformata in una crisi umanitaria per gli oltre 100mila profughi dalle zone del Nagorno Karabakh fuggiti in Armenia.
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Violazioni dei diritti nella guerra in Nagorno Karabakh
In questo conflitto i principali diritti umani violati sono stati il diritto alla vita, all’autodeterminazione, alla salute, alla casa, all’educazione, all’ambiente, i divieti di tortura e discriminazione.
Tra le violazioni del diritto umanitario internazionale figurano invece gli attacchi indiscriminati e ingiustificati contro la popolazione civile, l’attacco di obiettivi civili, l’attacco di edifici religiosi e del patrimonio culturale, l’attacco di strutture sanitarie, il maltrattamento, la tortura e l’uccisione di prigionieri, l’utilizzo di armi proibite.
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Inidizi di “genocidio” nella guerra del 2020
Numerosi sono gli indizi che conducono a presumere la presenza di operazioni di pulizia etnica o genocidio. È ben nota la storia delle persecuzioni subite dal popolo armeno nel secolo scorso ad opera della Turchia, spalleggiata in questa sua azione anche dagli azeri, ostili agli armeni non solo per etnia e religione, ma anche per posizionamento geografico: le terre abitate dagli armeni si frappongono al ricongiungimento dell’Azerbaijan con la patria culturale turca.
Negli ultimi mesi i discorsi pubblici di rappresentanti politici azeri e dello stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan hanno evocato i cosiddetti “avanzi della spada”, termine con il quale si fa riferimento alle popolazioni cristiane, come greci, assiri e soprattutto armeni, presenti all’interno degli stati a maggioranza turca.
Durante il conflitto appena concluso, la distruzione di simboli e luoghi culturali e religiosi cari al popolo armeno è stata motivata in modo tutto ingiustificato da ragioni di opportunità o tattica militari. Il bombardamento di aree residenziali e le incursioni di milizie irregolari provenienti dalla Siria, dove si erano già distinte per operazioni di pulizia etnica a danno dei curdi, mostra il desiderio di colpire la popolazione civile in larga maggioranza armena. Quest’ultima ha abbandonato le abitazioni, per il timore di rappresaglie e violente discriminazioni.
L’organizzazione Genocide Watch ha condotto un’analisi della situazione e ha concluso che, allo stato attuale, da parte dell’Armenia c’è stata una persecuzione della popolazione azera, ma non ci sono segni dell’intenzione di commettere un genocidio.
Più preoccupante è invece l’atteggiamento dell’Azerbaijan che, allo scopo di indurre alla migrazione forzata la popolazione armena del Nagorno Karabakh, sembra essere animato dall’intenzione di commettere azioni che rientrano nella definizione di genocidio.
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Attacchi indiscriminati contro i civili in Nagorno Karabakh
In base ai rapporti e alle documentazioni di numerosi giornalisti, nonostante la precisione delle armi utilizzate e dei droni a guida laser forniti da Turchia e Israele, i bombardamenti indiscriminati contro aree residenziali di Stepanakert e villaggi minori del Nagorno Karabakh, nonché contro le città azere di Tartar e Barda, hanno causato la morte e il ferimento di centinaia di civili.
Sistematica è stata anche la distruzione di edifici civili di uso non strategico militare, scuole, asili, chiese e ospedali con conseguente impossibilità di garantire il diritto alla salute, alla libertà di culto e all’educazione.
L’Alto commissario delle Nazioni per i diritti umani, Michelle Bachelet, in un comunicato ufficiale del 2 novembre 2020 ha espresso la sua preoccupazione per tali operazioni che violano i principi di distinzione e proporzionalità stabiliti dal diritto internazionale umanitario e si configurano quindi come crimini di guerra: sia l’Azerbaijan sia l’Armenia hanno ratificato le quattro Convenzioni di Ginevra.
Secondo fonti dell’autoproclamato governo dell’Artsakh, il 50% di Stepanakert sarebbe stato colpito (compresi i due ospedali principali), così come numerosi villaggi e circa 60 tra scuole e asili.
Esecuzione sommaria dei prigionieri di guerra
Vari video e documenti audio testimonierebbero la tortura e l’esecuzione sommaria di prigionieri armeni da parte di combattenti filo-azeri. Nel comunicato del 2 novembre Michelle Bachelet ha denunciato in particolare il caso, ben documentato, di due soldati armeni, Benik Hakobyan (73 anni) e Yuri Adamyan (25), catturati e successivamente giustiziati sommariamente a Stepanakert. Anche il Consiglio d’Europa ha dichiarato che indagherà sull’episodio.
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Bombe a grappolo: la denuncia di Amnesty e Human Rights Watch
Amnesty International e l’ong Human Rights Watch hanno confermato l’uso di numerose bombe a grappolo di fabbricazione israeliana in aree residenziali, sia da parte dell’Azerbaijan sia dell’Armenia, che hanno causato vittime prevalentemente civili. Si tratta di ordigni proibiti dalle convenzioni internazionali in quanto, oltre ai devastanti effetti immediati creano un pericolo a lungo termine per la popolazione civile, in quanto spesso le “submunizioni” non esplodono al momento dell’impatto, ma si depositano al suolo per poi agire come mine antiuomo.
Sebbene nessuno dei due paesi abbia sottoscritto la Convenzione internazionale sulle bombe a grappolo del 2009, essi sono comunque vincolati dal principio di distinzione tra combattenti e non combattenti presente nelle Convenzioni di Ginevra e nel diritto internazionale consuetudinario.
Armi proibite: le munizioni al fosforo nella guerra in Nagorno Karabakh
Da più fonti è emerso che l’esercito dell’Azerbaijan avrebbe utilizzato armi chimiche, per la precisione munizioni al fosforo, proibite dal diritto internazionale, per bersagliare le foreste del Nagorno Karabakh. Le particelle incandescenti di fosforo bianco, oltre a incendiare la vegetazione, provocano gravi ustioni chimiche che penetrano nelle vittime consumandone i tessuti; inoltre, fissandosi sugli abiti, ustionano successivamente anche i soccorritori.
Durante il conflitto molti civili avevano abbandonato le loro case per rifugiarsi nelle foreste, in prossimità di insediamenti civili: questi ulteriori bombardamenti, non solo costituiscono un attacco illegittimo verso i combattenti, ma mostrano la volontà di colpire la popolazione civile e provocare disastri ambientali nelle aree del conflitto, incendiando boschi e inquinando i corsi d’acqua per anni.
Circa 2.000 ettari di foresta sarebbero stati interessati, in questa regione la cui economia è in parte legata alle foreste e che presenta un tasso di flora e fauna endemica tra i più elevati del pianeta.
Nagorno Karabakh oggi: il dopoguerra
Secondo i report del Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc), migliaia di persone sono tuttora colpite dalle conseguenze immediate del conflitto e la situazione è peggiorata con l’arrivo dell’inverno. Le bombe e le mine inesplose minacciano gli abitanti, mentre le condizioni climatiche rendono le operazioni di recupero delle vittime nelle zone del conflitto assai difficili.
L’Icrc si sta occupando, come da proprio mandato, sia dei prigionieri e dei civili imprigionati durante il conflitto, per far sapere ai familiari la loro condizione e lo stato di salute, sia delle persone “scomparse”, sulla cui sorte cerca di far luce.
Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), le priorità al momento sono il supporto alle famiglie che non sono più in grado di far ritorno alle proprie case e la fornitura di beni di prima necessità ai rifugiati, per la maggior parte armeni che rimarranno in Armenia, almeno per tutta la durata dell’inverno.
Continuano infatti ad arrivare spontaneamente sfollati dai territori del Nagorno Karabakh conquistati dall’Azerbaigian, i quali chiedono il riconoscimento di protezione e diritti dall’Armenia. In questo contesto, inoltre, mancano misure di sicurezza e di contenimento del nuovo coronavirus, i cui casi sono in aumento tra la popolazione sfollata.
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