Nagorno Karabakh: la fine della guerra non è l’inizio della pace

Il cessate il fuoco in Nagorno Karabakh sancisce la sconfitta dell'Armenia nella guerra contro l'Azerbaijan. Oltre ad aver ucciso migliaia di persone, il conflitto sta provocando un imponente esodo di armeni. A livello internazionale si muovono Russia, Turchia e alcuni paese europei

Il 9 novembre, alle ore 23, tramite un post su Facebook, il premier armeno Nikol Pashinyan ha annunciato alla nazione di aver firmato un accordo di cessate il fuoco per la fine della guerra. Una tregua siglata da Armenia e Azerbaijan e definita dal primo ministro di Yerevan «indicibilmente doloroso per me e per il nostro popolo». Aggiungendo che la decisione di mettere fine alle ostilità è arrivata dopo che le forze azere hanno conquistato la città di Shushi e si sono spinte alle porte della capitale del Nagorno Karabakh, Stepanakert.

Nagorno Karabakh: fine della guerra, Armenia sconfitta

Il leader armeno ha parlato di trattato doloroso perché le condizioni accettate rappresentano una vera e propria sconfitta dell’Armenia, dal momento che gli armeni dovranno ritirarsi dai sette distretti contesi del Karabakh e anche la storica città di Shushi rimarrà sotto controllo azero.

Inoltre, nel corridoio di Lachin, la strada che mette in comunicazione il Nagorno Karabakh con l’Armenia, sono già stati schierati 2.000 peacekeeper russi e la durata del loro mandato è di 5 anni, prorogabile di altri 5. E l’Azerbaijan ha ottenuto anche che venga costruita una via che metterà in comunicazione il territorio azero con l’enclave del Nakhchivan e la Turchia.

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Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaijan – Foto: President.az (via Wikimedia Commons)

La situazione oggi in Naborno Karabakh: le reazioni al trattato

Se la notizia dell’accordo è stata accolta con festeggiamenti a Baku e nelle principali città azere, a Yerevan invece è esplosa la rabbia della popolazione, che ha accusato il premier Pashinyan di tradimento. Poche ore dopo l’annuncio della firma del trattato, le strade della capitale armena sono state invase da una folla irata che ha assaltato il parlamento e la casa del premier invocando le dimissioni del primo ministro.

Nel frattempo è arrivata la notizia che il ministro degli esteri Zohrab Mnatsakanyan ha rassegnato le dimissioni dicendo che la cessione di Shushi non è mai stata posta all’ordine del giorno in nessun momento delle trattative. E 17 partiti di opposizione continuano a chiedere le dimissioni di Pashinyan e dell’esecutivo.

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Il premier armeno, Nikol Pashinyan, con il presidente russo Vladimir Putin – Foto: Kremlin.ru (via Wikimedia Commons)

Le conseguenze del conflitto in Nagorno Karabakh

Mentre in Armenia infuria la crisi politica e in Azerbaijan si celebra la vittoria e si festeggia per il ritorno degli sfollati azeri nei territori del Karabakh, nei distretti che gli armeni dovranno abbandonare perché passeranno sotto controllo azero si sta assistendo a un vero e proprio esodo.

Già durante le ultime fasi del conflitto si erano viste immagini di convogli di macchine e camion che lasciavano il Karabakh in direzione dell’Armenia.

Negli ultimi giorni invece hanno fatto il giro del mondo le istantanee che ritraggono i cittadini armeni dare fuoco alle proprie abitazioni, uccidere capi di bestiame e tagliare alberi per non lasciare nulla agli azeri, sebbene il governo di Ilham Aliyev abbia assicurato che i cittadini armeni che torneranno in Karabakh, o resteranno lì a vivere, non saranno in alcun modo vittima di discriminazione.

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Monastero di Dadivank, un sito religioso a rischio

Una questione che ha infiammato il dibattito mediatico negli ultimi giorni ha a che vedere anche con il patrimonio artistico, archeologico e culturale del Nagorno Karabakh, nello specifico il monastero di Dadivank. Un’antica abbazia edificata a partire dall’XI secolo, orgoglio e icona della chiesa apostolica armena e che in base alle nuove spartizioni del territorio passerà sotto controllo azero.

La popolazione armena ha effettuato un ultimo pellegrinaggio al luogo di culto, 12 bambini sono stati battezzati e uomini e donne sono stati immortalati mentre baciavano le pietre del luogo sacro.

Il governo azero ha assicurato e garantito la protezione dei siti storici, ma da Yerevan è arrivata la richiesta di un dispiegamento di forze a protezione del sito religioso perché c’è il timore di una possibile distruzione della memoria storica e culturale della comunità armena. Per questo motivo nei giorni scorsi Mosca ha schierato un contingente di uomini a difesa del monastero.

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Monastero di Dadivank, Nagorno Karabakh – Foto: Soghomon Matevosyan (via Wikimedia Commons)

Il ruolo della Turchia

Dopo che Ankara ha giocato un ruolo chiave durante lo scontro armato schierandosi al fianco di Baku sin dall’inizio del conflitto, ora rimane ancora ondivago l’impegno che la Sublime Porta assumerà dopo che è stata firmata la tregua. Il parlamento turco ha approvato infatti il dispiegamento di truppe per unirsi alle forze russe in Nagorno-Karabakh, Mosca ha invece negato il fatto che soldati turchi saranno dispiegati in Karabakh, sostenendo che la loro presenza si limiterà al suolo azero.

Quel che è certo è che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha già mobilitato e dispiegato i suoi uomini al confine armeno, presso la località di Igdir, dove sarà costruita la strada che metterà in comunicazione l’enclave del  Nakhchivan con la Turchia e l’Azerbaijan.

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Le ripercussioni della guerra del Nagorno Karabakh in  in Europa

Quanto successo in Nagorno Karabakh ha avuto ripercussioni anche nei paesi europei. Il 25 novembre in Francia il Senato esaminerà una risoluzione che propone il riconoscimento del Karabakh e non sono mancati anche episodi di odio e razzismo.

Nell’ultimo mese si è registrata infatti anche la vandalizzazione del memoriale del genocidio armeno a Lione e sono apparse scritte razziste e minacce ad alcuni membri della comunità armena in Germania. Episodi che hanno spinto entrambi i governi europei a mettere al bando l’organizzazione turca ultranazionalista e di estrema destra dei Lupi Grigi.

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