Cile, il referendum sancisce la marcia verso una nuova Costituzione
In Cile il 78,12% di chi ha votato al referendum ha scelto di abrogare la Costituzione voluta da Augusto Pinochet nel 1978, liberandosi dell’ultima ombra del dittatore che in 17 anni ha ammazzato oltre tremila persone e privatizzato l’intera struttura statale
“Apruebo!” (approvo!), hanno urlato migliaia di persone la sera di domenica 25 ottobre scendendo nelle piazze di Santiago del Cile per festeggiare la vittoria al referendum costituzionale. L’urlo della libertà dal sistema neo liberale imposto dal golpe del 1973, che aveva sancito la morte della repubblica di Salvador Allende e l’ascesa al potere del generale Augusto Pinochet.
In viaggio verso la nuova Costituzione: un anno di lotta
Il 18 ottobre 2019 era iniziata una grande ondata di proteste per il rincaro del biglietto della metropolitana. Decine di studenti avevano deciso di non pagare la corsa e saltare i controlli, incendiando alcune stazioni e rispondendo ai lacrimogeni della polizia con sassaiole e manifestazioni. In poche ore migliaia di persone avevano invaso le piazze per sostenere la protesta.
«Fin dal 2006 gli studenti hanno iniziato a denunciare il prezzo troppo alto del percorso di studi, ma lo stato non ha mai abbassato le rette. Non si può vedere lo studio come un bene di consumo, ma come un diritto umano. Per questo l’intera società si è ribellata, dai giovani ai nonni», dice a Osservatorio Diritti Romina Concha Madrid, una giovane musicista che in quei giorni di coprifuoco e proteste era stata arrestata per aver violato il coprifuoco e aveva denunciato l’accaduto al nostro giornale (leggi Cile: storia di Romina, arrestata perché ha osato partecipare alle proteste). In quelle settimane era nato il desiderio di costruire una protesta permanente per combattere una struttura statale privatizzata, lasciando fuori i partiti di entrambi i fronti.
Joel Viera è un musicista e artista ed è stato coinvolto nelle proteste. «Il 25 ottobre 2019 circa un milione e duecento mila persone hanno invaso le strade di Santiago, manifestando il dissenso verso il presidente Piñera e la politica liberale che ha sottomesso per decenni la nostra libertà. La gente ha capito per la prima volta che eravamo una forza e ha smesso di avere paura. Da quel giorno non ci siamo mai fermati», commenta Vieira.
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La repressione «mi ha ricordato la dittatura di Pinochet»
La repressione dell’esercito ha portato a oltre 40 manifestanti uccisi e centinaia di feriti, soprattutto agli occhi con colpi di pallottole di gomma. Ada Perez è un’artista di Santiago e ha cercato di fotografare tutti i momenti significativi di quest’anno. «I lunghi mesi di lotte per le strade mi hanno ricordato il terrore durante la dittatura, la paura di venire arrestati e torturati nelle carceri. Io ero bambina durante Pinochet, ma non dimentico quel sentimento di paura. Vedere ora che la gente ha portato bellezza e libertà mi riempie di gioia e mi fa sperare», dice Ada.
Le manifestazioni hanno chiesto diritti umani come lo studio per tutti, una riforma delle pensioni e la statalizzazione dell’acqua. «Abbiamo lottato per il bene comune che ci era stato tolto nella dittatura. La politica ci aveva ridotto all’indigenza, con pensioni al di sotto della soglia della povertà e l’accesso all’acqua potabile impossibile perché troppo costoso», dice Joel Viera. Il popolo ha portato nelle strade una nuova speranza, «il desiderio della libertà è diventato talmente forte che ci ha tolto la paura della violenza, ci siamo ritrovati a sperare davvero in un nuovo Cile».
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Giovani, donne, indigeni: i volti del Cile referendario
Ada ha un figlio di 21 anni, schierato fin dai primi giorni nella protesta degli studenti. «Mio figlio ha votato per la prima volta, dopo aver combattuto per strada per mesi. Ha lottato per la sua dignità, il diritto allo studio uguale per tutti. Qui in Cile per studiare bisogna essere ricchi, altrimenti si deve chiedere un prestito e sperare di trovare un lavoro ben pagato per ripagarlo. Oltre un milione di giovani è andato a votare per la prima volta, questo è il vero risultato di questo lungo periodo».
Oltre agli studenti, anche il movimento femminista ha inciso nella risposta alla pressione politica e militare contro i manifestanti. «L’8 marzo oltre due milioni di donne sono scese in piazza per chiedere la loro libertà, fronteggiando l’esercito e dimostrando la propria forza. Tutte le categorie sociali hanno parlato e dato legittimità alla nuova ondata di richieste dal popolo», commenta Joel Viera.
La catena di manifestazioni ha coinvolto anche gli indigeni Mapuche, da sempre dimenticati dalla politica. «Contro di loro la polizia ha sempre spiegato le forze repressive peggiori, ma oggi anche gli indigeni avranno una rappresentanza che scriverà la nuova Costituzione», dice ancora Viera.
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Cile, referendum 2020: i risultati reclamano una nuova Costituzione
Questa speranza rivoluzionaria ha convinto l’assemblea nazionale a istituire un referendum con lo scopo di riformare la Costituzione firmata da Augusto Pinochet nel 1978. Pierre Lebret, politologo a capo dell’Istituto di alti studi sull’America Latina in Francia, per 4 anni consulente per gli affari esteri del governo di Michelle Bachelet, analizzato così gli avvenimenti: «Questo è un voto storico perché è un ripudio perentorio contro il modello neoliberale all’origine di tutte le diseguaglianze create dalla dittatura e vissute in questi ultimi 47 anni».
I quesiti referendari erano due: volete una nuova Costituzione?; che organo dovrà scrivere la nuova Costituzione?. E i risultati sono stati schiacchianti: il 78,12% dei votanti a detto sì a una nuova Costituzione.
«Questo referendum è un passo da gigante. L’elezione di chi scriverà questa nuova Costituzione, attraverso il meccanismo della Convenzione costituzionale, sarà una prima mondiale», esulta Labret, che ha seguito a distanza questo evento. La possibilità quindi di sedersi a scrivere il nuovo testo sarà data a tutti, senza decisioni di partito imposte. «I politici devono capire che il popolo ha parlato e deve essere coinvolto, per evitare che i prossimi mesi portino altre dure manifestazioni di piazza».
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Cosa succederà in Cile dopo il referendum costituzionale
Romina è certa che «abbiamo dimostrato come la politica finora vista e subita non ci rappresenta più. Vogliamo scrivere una costituzione partendo dal basso, lasciando fuori partiti e politici di lunga data». Questo è il pensiero delle mille piazze che hanno combattuto in questi mesi la repressione del presidente Sebastián Piñera, con lo scopo di liberarsi dalla politica, che ha lasciato all’1% della popolazione le redini del 27% del Pil nazionale, e di restituire i diritti allo studio, all’acqua, alla sanità e alla pensione a tutti i cileni.
Pierre Lebret ne è sicuro: «Il popolo cileno comincia a guardarsi in faccia, comincia a rendersi conto della ricchezza della propria diversità etnica e culturale. E, naturalmente, in un paese in cui la legge del mercato opera da oltre 40 anni, lo stato sociale deve essere ricostruito».
I cileni hanno davanti a loro diversi mesi per ricostruire quello che è stato perso in oltre 40 anni di politiche liberali, ma non sono più soli. «Siamo diventati così forti da aver ottenuto le dimissioni del ministro dell’Interno e la scarcerazione di due studenti accusati di aver incendiato delle stazioni metropolitane. Nessuno ci fermerà», conclude Viera.