Sughra, da sposa bambina ad attivista per i diritti delle donne
A 12 anni è stata costretta a sposarsi. A 20 è stata abbandonata dal marito. Analfabeta, ha deciso di studiare e diventare insegnante. Oggi presiede una ong che sostiene sviluppo ed emancipazione delle donne nelle comunità rurali. A Osservatorio Diritti racconta la sua storia
Sposa bambina all’età di 12 anni e analfabeta, perché così voleva la tradizione, nel suo villaggio nella provincia del Sindh, in Pakistan. Poi, all’età di 20 anni, abbandonata da quel marito che era stata costretta a sposare.
Tornata nel suo villaggio insieme ai suoi due figli, Ghulam Sughra Solangi ha sfidato le norme sociali conservatrici, la mentalità maschilista e patriarcale, l’opposizione della sua famiglia e il giudizio severo della gente: ha deciso di studiare, è diventata la prima ragazza della sua comunità ad ottenere un diploma di scuola superiore, poi la prima insegnante in una scuola femminile nel suo villaggio.
Nel 2014 l’incontro con Malala Yousafzai, Nobel per la pace
Oggi, a 50 anni, Sughra è una famosa attivista per i diritti delle donne e delle bambine. Nel 1994 ha fondato la Marvi rural development organization (Mrdo), una ong che lavora nel Sindh, con sede a Sukkur, per promuovere i diritti umani, la salute, l’istruzione, rafforzare il ruolo della donna.
Nel 2011 ha ricevuto negli Stati Uniti il premio International women of courage (donne coraggiose nel mondo), consegnatole da Hillary Clinton e Michelle Obama. Nel 2014 ha incontrato in Inghilterra Malala Yousafzai, la giovane connazionale Premio Nobel per la pace del 2014: con lei ha avuto uno dialogo proficuo su istruzione e rafforzamento dei diritti delle donne in Pakistan.
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Spose bambine: la storia di Sughra
A pochi giorni dalla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne (25 novembre), Sughra racconta a Osservatorio Diritti la sua storia, la sua capacità di resilienza, le sue battaglie contro pregiudizi, discriminazione, ipocrisia.
«Sono nata nel 1970 nel Sindh, in un villaggio rurale di 200-300 case. Mio padre era insegnante in una scuola pubblica. Mia madre era una casalinga: lei mi ha sempre sostenuto in ogni fase della mia vita. Con lei ho sempre condiviso tutto. In casa eravamo una figlia e tre figli maschi. Da bambina desideravo tanto andare a scuola, ma il mio sogno si è frantumato davanti alla tradizione locale per la quale le donne non hanno bisogno di uscire di casa e cercare un’istruzione. Mi sono dovuta sposare all’età di 12 anni. Quando ne avevo 20, mio marito mi ha abbandonato accusandomi di essere analfabeta e poco attraente. Dopo il mio divorzio, tutto ciò che mi restava erano i miei figli. Quando sono tornata a casa dai miei genitori, mi sono sentita respinta, umiliata, tanto da arrivare quasi al suicidio. Ma ho resistito e sono andata avanti. Ho cominciato a esprimere la mia volontà di andare a scuola, ma i miei fratelli me lo hanno impedito. Sono nata in una famiglia e un ambiente molto conservatori, è vero, ma sono cresciuta con un forte senso dell’uguaglianza e delle pari opportunità per le donne e con la volontà di fare tutto il possibile per contribuire al cambiamento».
La testimonianza: tra pregiudizi e minacce
La sua vita ha preso una strada nuova quando Sughra ha cominciato a studiare da autodidatta. «Il punto di svolta è avvenuto quando i miei fratelli hanno permesso che un mio cugino più anziano mi seguisse negli studi. Dopo quattro anni ho superato il primo esame di scuola. E non mi sono scoraggiata, nemmeno quando la gente mi umiliava e mi ridicolizzava. Per mantenere i miei figli e me, di sera fino a tardi facevo lavori di ricamo. L’indipendenza economica mi ha permesso di conquistare l’autonomia dai miei genitori e poter continuare a studiare».
La sua battaglia non è stata priva di sofferenza. Nel suo cammino, Sughra è stata minacciata molte volte, ha ricevuto intimidazioni da parte dei signori feudali, i grandi proprietari terrieri che mirano a mantenere la popolazione rurale ignorante e soggiogata. Ma niente ha fermato la sua determinazione. A darle un grande sostegno, a un certo punto, è stato un altro uomo entrato nella sua vita, il suo secondo marito, che però nel 2014 le è stato strappato da un cancro.
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Contro tabù e oppressione: un fenomeno difficile da estirpare
Sughra ha una figlia e figlio. Si considera una madre orgogliosa. Sua figlia, Saira, ha ereditato le sue aspirazioni di donna libera.
Racconta Sughra: «Da dieci anni Saira combatte per liberare le giovani pakistane dalle catene dell’ingiustizia, della discriminazione e dell’oppressione. È convinta che i tabù sociali non consentano alle donne di alzare la loro voce e che la paura delle ritorsioni le spinga a continuare ad essere vittime di abusi. A mio figlio e mia figlia io chiedo di lavorare al servizio dell’umanità e per la giustizia sociale. Saira sta gestendo le problematiche dei più poveri e degli oppressi attraverso la Marvi rural development organization».
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Spose bambine, povertà, analfabetismo: un circolo vizioso da spezzare
Dalla sua nascita a oggi, la ong ha realizzato 60 progetti su emancipazione femminile, pace e armonia interreligiosa, salute, istruzione, risposta alle emergenze, tutela legale, inclusione delle persone con disabilità, sviluppo legato alle questioni di genere, raggiungendo più di 580.000 beneficiari diretti in undici distretti del Sindh.
Dice l’attivista: «Le donne delle comunità rurali sono nella condizione di vittime, private dei loro diritti, escluse dai benefici dello sviluppo comunitario. L’istruzione è una forza che può aiutare a promuovere i loro diritti, ma nelle regioni rurali le ragazze non hanno accesso alla scuola. Il sistema feudale radicato nel Sindh è responsabile delle privazioni e delle atrocità commesse contro la popolazione femminile. Nel Pakistan rurale le donne vengono discriminate dalla comunità e tenute in stato di sottomissione. Il mio obiettivo è dare loro la possibilità di andare a scuola, eliminando le barriere economiche che limitano la loro istruzione».
Da attivista Sughra ha capito ben presto che le bambine non vanno a scuola non solo a causa delle norme sociali, ma anche per la povertà delle famiglie. Promuovere l’emancipazione economica femminile è diventato dunque uno dei suoi obiettivi primari, perché significa rompere il circolo vizioso che lega povertà, analfabetismo, ignoranza dei propri diritti, sottomissione.
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Matrimoni precoci proibiti, ma diffusi
Sughra ricorda le numerose violazioni ancora largamente diffuse in Pakistan: violenza domestica, tortura in ambito familiare, matrimoni forzati e precoci, violenze sessuali, abusi e maltrattamenti nelle istituzioni educative.
In fatto di matrimoni precoci, il Sindh è stato la prima provincia ad approvare una legge nel 2013 che mette al bando questa pratica. Eppure, questi matrimoni continuano a essere una realtà radicata in tutto il Pakistan.
«Nel Sindh la donna è emarginata economicamente e politicamente, indifesa di fronte alle violenze. Nella nostra provincia un altissimo numero di bambine abbandona la scuola perché costrette a sposarsi, o anche a causa di altri problemi pratici, come la lontananza delle scuole dai villaggi, la mancanza di trasporti, le scarse condizioni di sicurezza, l’assenza di infrastrutture e di servizi igienici negli edifici scolastici».
La barbarica pratica del delitto d’onore
E poi, la piaga del karo kari, il delitto d’onore: secondo i dati delle Nazioni unite, almeno mille donne ogni anno in Pakistan vengono uccise perché accusate di aver disonorato la famiglia. Ma migliaia sono i casi di omicidi che restano nell’ombra e nel silenzio.
«Il karo kari ha avuto la sua origine nel Sindh, che è purtroppo la provincia dove si pratica di più. A subirlo sono sopratutto donne accusate di relazioni prematrimoniali o extraconiugali. La maggior parte dei casi restano irrisolti». Modificare sistemi culturali e sociali radicati nelle comunità tribali è impresa ardua, ma non impossibile. È tuttavia necessario partire dal sistema giudiziario.
«Esistono leggi per prevenire queste pratiche barbariche ma, come passo successivo, la polizia deve essere obbligata a investigare i casi di delitto d’onore e punire la giustizia tribale, che non può essere tollerata. Inoltre, lo Stato deve provvedere a promuovere la consapevolezza su ciò che le leggi prescrivono».
La battaglia per i diritti delle bambine
Tanto c’è ancora da fare in Pakistan. «Oggi qualcosa si sta muovendo, grazie alle campagne di sensibilizzazione lanciate da varie organizzazioni non profit, dalla società civile, dai mezzi di comunicazione. Le ong giocano un ruolo importante, ma in Pakistan la loro effettiva capacità di agire è limitata anche a causa della scarsità di risorse finanziarie di cui dispongono. Per questo io faccio appello allo Stato perché rafforzi le organizzazioni della società civile».
Sughra è fiduciosa: «Il cambiamento è già in atto. Io lo vedo nel mio lavoro da attivista nelle comunità rurali: tanti genitori oggi sono sensibilizzati, mandano le loro figlie a scuola, pensano alla loro istruzione». Il suo sogno è che sempre più donne in Pakistan alzino la loro voce, come ha fatto lei tanti anni fa, sfidando stigmatizzazioni, minacce, intimidazioni. Senza paura, finalmente libere di essere ciò che desiderano nella loro vita.