Mutilazioni genitali femminili in Liberia: un abuso di Stato

In Liberia le mutilazioni genitali femminili non sono illegali. E chi cerca di opporsi riceve minacce e ritorsioni. "Le scuole nella foresta", di Emanuela Zuccalà, racconta il dramma delle bambine "tagliate" negli istituti gestiti dalla Sande, antica e potentissima società segreta di donne

La Liberia non è un Paese per donne. Nel primo Stato africano che ha eletto una donna alla carica di presidente, Ellen Johnson Sirleaf (dal 2006 al 2018), le mutilazioni genitali femminili (Mgf) sono ancora una pratica legale, protetta dalla legge e dalla tradizione di una influente e potentissima società segreta femminile chiamata Sande.

Una setta antichissima profondamente radicata nel Paese – antitetica alla società Poro, esclusivamente maschile – presente in undici delle quindici contee della Liberia. Chi si oppone alle mutilazioni, chi cerca di fare campagne di sensibilizzazione per la loro abolizione, rischia la vita.

Minacce a chi si oppone alle mutilazioni genitali

È accaduto a un’attivista di nome Phyllis Kimba, alla quale è stata incendiata la casa nella capitale Monrovia dopo che, durante un suo discorso all’Onu, la donna aveva aspramente denunciato lo strapotere della società Sande.

Ed è accaduto a Mae Azango, giornalista di FrontPage Africa, che nel 2012 ha cominciato a scrivere i primi articoli dedicati al tema: raggiunta da numerose minacce, la reporter ha dovuto nascondersi e mandare sua figlia negli Stati Uniti per paura di ritorsioni.

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© UNICEF/UN0281302/Tadesse

Mutilazioni genitali femminili: in cinque Paesi africani niente divieto

Sui diritti delle donne la Liberia si muove drammaticamente in controtendenza rispetto al resto del continente: «In Africa cinquanta Paesi hanno reso illegale la pratica delle mutilazioni. Solo cinque Stati non la considerano ancora un crimine: oltre alla Liberia, il Ciad, la Sierra Leone, il Mali e la Somalia. Il Sudan l’ha dichiarata reato nella primavera del 2020».

A parlare è Emanuela Zuccalà, giornalista, scrittrice, regista, da anni impegnata a favore dei diritti delle donne nel mondo. Alcuni anni fa ha cominciato a occuparsi del tema delle Mgf. Ha viaggiato in vari Paesi africani per raccontare e documentare l’atrocità e l’ingiustizia di una tradizione che ferisce e nega la dignità e la libertà delle bambine e delle donne.

Nel 2016 è nato un cortometraggio, Uncut, realizzato insieme alla fotografa Simona Ghizzoni, prodotto da Zona: un viaggio tra Kenya, Etiopia e Somaliland che racconta la battaglia coraggiosa di tante donne che hanno detto no a questa forma di tortura e hanno alzato la testa scontrandosi con società maschiliste e patriarcali.

“La scuola nella foresta”, dentro la storia delle mutilazioni genitali femminili

Da un viaggio in Liberia, realizzato circa un anno fa con la fotografa Valeria Scrilatti, è nato un nuovo documentario, La scuola nella foresta, prodotto sempre da Zona con il sostegno della ong ActionAid, impegnata con vari progetti di sviluppo in Liberia.

Racconta Zuccalà: «Da tanti anni volevo andare in Liberia, perché lì c’è la storia, nel vero senso della parola, delle mutilazioni genitali femminili». Il documentario dà voce ad attivisti e attiviste, difensori dei diritti umani, coperti dall’anonimato per non esporli a pericoli e ritorsioni. E racconta la pratica delle Mgf all’interno delle scuole create dalla società Sande dove le bambine e le ragazzine vengono mandate dalle famiglie per essere iniziate alletà adulta, ricevere nozioni di moralità e una formazione per diventare delle brave mogli, madri, donne di casa.

Le bambine imparano a cucinare, accudire la casa, i figli, prendersi cura dei mariti, restando analfabete. E vengono sottoposte al taglio del clitoride, come rito di iniziazione per essere accettate dalla società, diventare donne, essere considerate pure, trovare un marito.

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Emanuela Zuccalà (a sinistra) con la direttrice della fotografia Valeria Scrilatti durante le riprese in Liberia

La cerimonia del “diploma” in un villaggio sperduto nella foresta

«In Liberia avevamo un fixer, un contatto locale, un attivista che abbiamo sempre tenuto segreto perché rischia la vita. Lui ci ha portato in un villaggio nel cuore della foresta, nella contea di Lofa, zona occidentale del Paese, un luogo sperduto, remoto, a tre ore di jeep dalla cittadina più vicina che a sua volta dista cinque ore di auto da Monrovia. Lì avremmo dovuto assistere a una cerimonia di graduation, la festa per la fine della scuola e la consegna del “diploma” delle bambine che frequentano la società Sande, ma ci hanno cacciate prima dell’inizio dicendoci: “Nessuno può venire qui a dirci di abbandonare le nostre tradizioni”. Dentro la scuola non abbiamo avuto accesso, non è possibile entrare se non ne fai parte, ma siamo riuscite a filmare, allesterno, le bambine e le zoe, le sacerdotesse di Sande, mentre si preparavano alla cerimonia di graduation».

Una situazione comunque al limite per le due documentariste, in un territorio particolarmente ostile. «Una avversione e un’ostilità che io non ho mai visto in altri Paesi dove ho fatto lavori sulle mutilazioni genitali».

Un circolo vizioso: analfabetismo, matrimoni precoci e sottomissione

Le bush school sono un affare fiorente: «Le famiglie devono pagare all’ingresso e all’uscita delle figlie, spesso si indebitano per mantenerle nella scuola, comprare loro da mangiare e il vestiario». Le bambine entrano nelle bush school anche da piccolissime, ad appena 2-3 anni.

Il tempo di permanenza varia anche a seconda di quanto la famiglia può pagare, in genere da un minimo di tre mesi a un massimo di tre anni. «Far parte della Sande dà alle ragazze una sensazione di sviluppo ed emancipazione. In realtà il problema delle mutilazioni genera un circolo vizioso di sottosviluppo: analfabetismo, perché le ragazze che entrano in Sande spesso non vogliono tornare nelle scuole regolari (il tasso di analfabetismo femminile, tra le ragazze di 15-24 anni, è del 56%, contro il 35,3 dei coetanei maschi); matrimoni precoci, perché quando la bambina è “tagliata” è considerata pronta per sposarsi, anche se ha solo dieci anni; sottomissione».

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Liberia nord-occidentale. Mary, 29 anni, fa parte di un gruppo di auto-aiuto per ragazze che rifiutano di entrare nella società segreta Sande e di essere mutilate – Foto: ©Valeria Scrilatti per Zona/Contrasto

La nuova legge contro la violenza di genere esclude le mutilazioni

Le società segrete vengono tollerate e protette perché esercitano un potere politico enorme e tengono in scacco il Governo: le zoe, le donne leader, sono molto influenti dal punto di vista politico e orientano il voto elettorale delle comunità e dei villaggi. Opporsi alla Sande significa non ottenere consenso politico.

«La presidente Ellen Johson Sirleaf, che ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2011 proprio per il suo impegno per i diritti delle donne, ha provato ad affrontare il problema ed è riuscita a far approvare una legge per mettere al bando le mutilazioni, ma solo per un anno, perché nessun politico vuole mettersi contro la società Sande. Il suo successore, George Weah, fino ad oggi non ha preso in mano la questione. Nel 2019 la Liberia ha approvato per la prima volta una legge contro la violenza di genere: ma le mutilazioni non sono neppure prese in considerazione come reato».

Per i politici liberiani le mutilazioni genitali non vanno neppure discusse

In certe società e culture il percorso di emancipazione dalle Mgf è lungo e difficoltoso. Continua la documentarista: «In Paesi come la Liberia il tema non va neppure discusso. Nel documentario un alto funzionario del ministero dell’Interno, che ho intervistato, prima mente dicendo che le scuole nella foresta hanno banchi, sedie e lavagne come scuole normali, quando invece non sono che recinti di foglie di palma dentro i quali le bimbe dormono e mangiano per terra. E poi afferma che le mutilazioni fanno parte del curriculum vitae di una ragazza: una dichiarazione sconcertante, soprattutto perché proviene da un uomo di Stato».

In Liberia – Paese afflitto da una povertà diffusa, che ancora subisce gli strascichi di due guerre civili devastanti – il cammino verso l’affermazione dei diritti delle donne è appena iniziato.

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In Liberia l’omertà diffusa rende difficile affermare i diritti delle donne

«Nel resto dell’Africa sono state le donne a dare vita al cambiamento. In Kenya, Etiopia, Somaliland ho incontrato attiviste femministe che lottavano da anni, ho toccato con mano i traguardi raggiunti e le conquiste fatte da donne semplici ma molto coscienti dei propri diritti. In Liberia tutto questo è ancora un miraggio, anche a causa dell’omertà diffusa. Basti pensare che delle mutilazioni in questo Paese si è cominciato a parlare apertamente soltanto otto anni fa, grazie alla giornalista Mae Azango».

Pochi dati statistici, «serve indignazione internazionale»

Il numero delle donne liberiane che ha subìto la mutilazione non è certo: secondo lUnicef una percentuale del 44%, ma il dato si basa sui sondaggi in cui le donne hanno dichiarato di appartenere alla società Sande, quindi poco affidabile.

Conclude la Zuccalà: «Mi piacerebbe tanto che questo documentario arrivasse al Parlamento europeo, alle istituzioni internazionali e contribuisse a sollevare l’indignazione internazionale. Le mutilazioni genitali femminili in Liberia sono un abuso di Stato talmente conclamato che non è più possibile tollerarlo».

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